lunedì 20 settembre 2010

"un caffé non può bastare" Ge-Mi storia banale di un gay speciale cap 15


Quando volevano fare i fantastici, quelli dell'età di mio fratello, andavano a bere il caffé a Milano. A me, sembrava che andassero a Las Vegas! Mia madre non lo sapeva che suo figlio maggiore faceva questi giri, ma se per questo, non sapeva neanche dei giri che lui faceva con la 500 di mamma sulle alture della città, scendendo a tutta birra per le curve col freno a mano tirato, né delle mie traversate della pineta fino a casa della nonna.

Lei, non voleva sapere, lei non lo poteva sopportare.

Lasciarsi Genova, alle spalle di mattina mi dava la sensazione di “fuggire di nascosto”, e mi sentivo eccitato mentre passando sulla sopraelevata l'odore del pesce impestava l'abitacolo della macchina di Claudio. Il mercato del pesce, è come tutti i mercati del pesce, o almeno come erano una volta, l'unica particolarità di quello genovese, era che stava vicino alla “casa del Boia”, e che tutti lì dentro gridavano. La casa del boia era una casa situata nei pressi di una delle antiche porte della città , ma ormai le uniche teste ad essere mozzate erano quelle delle acciughe !

La sopraelevata, partiva dalla Foce del Bisagno(zona del noto Salone Nautico), e con i suoi altissimi tacchi, calpestava il Porto, sottoripa, Caricamento, fino a congiungersi con la zona di sampiadarena. Come una modella sinuosa e curvilinea, si credeva una top, e guardava dall'alto i tetti dei caruggi, li snobbava piantando i suoi piloni, con il disprezzo dei giovani, per gli anziani, ma ai miei occhi, era solo una battona urbana col tailleur, e le scarpe “troppo alte”.

“prendiamo solo una striscia di focaccia” avevo chiesto prima di partire, l'unica cosa che adoravo della mia città, e che desideravo avere con me.

Luci e ombre, trafiggevano il mio finestrino, e mentre l'odore di pesce spariva, e la focaccia si freddava tra le mani, i miei occhi diventavano pesanti, troppo per rimanere aperti. Da bambino, mi addormentavo puntualmente alla funzione domenicale, la mamma mi scrollava un po' se la testa mi ciondolava. Io volevo vedere la “superclassifica show” alla tv ma non potevo mai vederla tutta perchè bisognava prepararsi per andare lì. Mio padre non ci veniva, e se la guardava tutta.

Continuo ad avere un sonno insistente, quando faccio qualcosa che non mi aggrada.

Ma quella mattina, io ero nella carrozza/zucca/opel mègane, del mio principe azzurro , diretto verso il regno di molto molto lontano, e il sonno non era una via di uscita , quella volta, ma un lusso “principesco”.

La barriera di Milano, era davanti a me quando Claudio mi svegliò, ed era la più grande fila di caselli mai vista prima, e Milano, non dava l'idea di ricevere volentieri delle visite, ma passammo ugualmente. Appena superata la barriera Claudio imboccò con sicurezza la tangenziale che le indicazioni suggerivano come la migliore. La sopraelevata, si sarebbe dovuta vergognare di fronte a tutte quelle “ragazze di buona famiglia”, vestite a festa! Pareva dunque che Milano fosse fatta a cerchio, come i gironi dell'inferno, ideale per il peccato non credete? Comunque il concetto è semplice se la giri tutta ti ritrovi dov'eri partito!

Ma dentro un cerchio ce ne sono altri, e in ogni viale decine di rotonde! Un travelgum sarebbe stato utile in tutto quel girare intorno! “ se continuiamo a girare faremo un buco!” dissi una volta chiaro che ci eravamo smarriti. Ma che ce ne fregava a noi di perderci in quella città meravigliosa?

“ se facciamo un buco, amore sappiamo cosa farne!” rispose Claudio col suo solito buonumore!

A mia insaputa, Claudio aveva ben chiaro le tappe del nostro pellegrinaggio fashion, infatti, parcheggiò la macchina vicino ad una stazione della metropolitana, che ci avrebbe portato in centro.

La prima sorpresa la ebbi proprio nei corridoi che uniscono la linea rossa alle altre due.

C'erano bar, edicole e negozi sottoterra a Milano, e pensai che essendo la città della Moda, forse persino i topi, curavano il look! La verità è che, nessuno a Milano può rientrare a casa senza almeno un sacchetto. Mica come da noi, che se dovevi fare acquisti, lo facevi un giorno solo ed in un unico posto. A Genova chi va in posta va solo lì, e se deve pagare, non compra, se deve versare, non compra per risparmiare! Tant'è vero che nei sottopassaggi al massimo trovavi il tabacchino per comprare le sigarette “ di nascosto”.

Ma il negozio nel quale Claudio mi invitava ad entrare era a dir poco incredibile! Boa di piume copricapi, e scarpe altissime si mescolavano a completi sexy e a piccoli cazzetti a molla che saltellavano sul bancone, era lungo e stretto, ma lo spazio, era sfruttato al massimo! Ecco dove lui aveva preso le scarpe che gli avevo visto in camera, quelle di vernice nera con le fibbia.

Non chiedetemi per farne cosa, ma comprai anch'io un paio di altissime décolleté zeppate nere, e lo feci solo perché nel provarle non incontrai lo sguardo stupito di nessuno, unitamente al fatto che calzarle mi diede un brivido! Con i nostri sacchetti, uscimmo nella zona di Cadorna, per raggiugere a piedi la scuola di trucco. Donne giovani e bellissime si mescolavano con signore raffinate a spasso con cani molto “perbene”, (solo in seguito capii che era la zona delle agenzie di modelle) e nonostante ci fossero mille bar erano tutte magrissime e più o meno bionde. Non potei fare a meno di controllarmi gli abiti, temendo che ci fosse scritto “genovese” a luci intermittenti. Claudio era decisamente più adeguato, con i suoi stivaletti borchiati, e i pantaloni di pelle nera, peccato la statura....Di sicuro comunque, il mio indice fashion si incrementava, poiché le macchie d'olio della focaccia erano ovunque nei miei pantaloni, ma almeno ben distribuite!

I gay di Milano, erano ovunque, ma a differenza nostra, che a Genova tenevamo gli occhi ad altezza “cavallo”, loro gli occhi li tenevano ad altezza “Campbell”, infatti i nostri sguardi si incrociavano solo quanto bastava per “riconoscersi”, ma non si tratteneva oltre. Provai a camminare gurdando così alto, ma inciampai in un dislivello e rinunciai. Pieni di sacchetti, potevano portare la borsa come io portavo la stempiatura “tutti i giorni”. Quello per me fu un vero imprinting! A vevo sempre desiderato poterlo fare, ma quando cercavo di comprarne una a Genova, al massimo trovavo uno zaino, o una ventiquattr'ore ! Loro, milanesi, avevano tracolle, postine, borse tipo bowling, shopper etc... un vero paradiso.

Pagammo l'iscrizione di Claudio e ricevemmo in cambio una lista di oggetti extra necessari al'”allievo” per assurgere al ruolo di “discepola truccatrice” e un indirizzo dove comprare tali meraviglie. “ te la daranno la bacchetta magica?” gli chiesi, “ ce l'ho già!” e mi pentii subito di averglielo chiesto.

Se guardavo le case, mi chiedevo se mai avrei potuto abitarci anch'io, e se i cessi di quegli appartamenti, non fossero piccoli come il mio! Potevo vedere alcuni lampadari e data la grandezza, persino dalla strada, e immaginavo “stanze da bagno” dove per prendere la carta igienica , ti servisse il tapis roulant! Mi scoppiavano gli occhi a fine giornata, e quando chiusi la portiera della macchina, per tornare indietro, mi chiedevo: “ ma come cazzo faceva mio fratello a venire a Milano , solo per bere un caffè?”

to be continued!








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