mercoledì 8 settembre 2010

"la fata dentina" Ge-Mi storia banale di un gay speciale cap 11


In quei giorni, l'ego del mio fidanzato, lo portava a contemplare nuove possibilità, come ad esempio, quella di frequentare una prestigiosa scuola per truccatori a Milano. “diventerò la Gil Cagnè-tta, di manesseno” esclamava trionfante, agitando in mano la brochure dei corsi.

Io lo guardavo ammirato perché l'amore si sa, rincoglionisce! Lui non chiedeva l'opinione dei suoi, più semplicemente, gli comunicava le sue decisioni!

Già, Milano. Per noi gay genovesi, quella città era come l'America, un luogo dove tutto è possibile, lì pulsava la moda, la vita notturna era rutilante e varia, ed essere gay....un valore aggiunto!

Le migrazioni di “principesse “ liguri, erano già cominciate diversi anni prima.

Per esempio ricordo quand'ero adolescente il caso dell'Alessandro M. Il mio radar gay, aveva cominciato a suonare dalla prima volta che lo vidi al capolinea dell'autobus!

Ma la conferma me la diede una ragazza, che filava mio fratello. Lei era decisamente brutta, ma con me era gentilissima, e quando scendevo in piazzetta a giocare, la chiamavo da sotto il suo balcone e lei usciva a fare due chiacchiere con me. In cambio di una foto di mio fratello, mi regalò una bambola di pezza, che avevo visto in camera sua. Era figlia unica e nel quartiere la sua famiglia era considerata sopra le righe. Suo padre era un omone altissimo, e poteva fare paura, ma era buonissimo e schivo in realtà, e la irsuta peluria bianca, di cui era ricoperto davanti e dietro in egual maniera, lo rendeva simile ad un orso polare. La signora Amelia, invece, molto più brillante del marito, e con un tono di voce impressionante, portava sempre un rossetto rosso su bellissimi denti bianchi, e si depilava il mento sul balcone con la lametta. Loro mi volevano bene, e a me piacevano un sacco. Nonostante la differenza di età, tra me e la figlia, noi riuscivamo a comunicare perfettamente.

Comunque, lei mi parlava spesso del suo amico Alessandro, che era andato a lavorare a Milano, nella moda, e di quanto, una volta finito il corso di figurino che frequentava, le sarebbe piaciuto fare altrettanto. Avere un amico a Milano, era troppo chic, e lei ne andava fiera.

Così, grazie alla mia “spia”, riuscivo a sapere quando lui arrivava, e ad essere guarda caso, proprio vicino al portone di casa sua! Gli appostamenti erano un arte in cui ero abile da ragazzo, lo scambio di sguardi mi elettrizzava, ed era una carica sufficiente per sopportare il resto delle mie giornate noiose. “un giorno lo conoscerò” mi dicevo, per me lui, era come il divo di Hollywood, per una ragazzina. Ormai, avevo già i denti definitivi, ma rivolsi un pensiero alla fata dentina, ed espressi comunque un desiderio.

Mia madre, aveva capito qualcosa, e cercava di tamponare con divieti inutili, le mie attività. Credo di aver lasciato la scuola, qualche anno dopo, perché quel genere di studi, credevo mi allontanasse dal mio obbiettivo! Quello di imparare un mestiere, che mi permettesse di raggiungere quella Terra Promessa di nome Milano....ungiorno!

Io feci due anni di superiori, poi mi ritirai, e lavorai un po' dappertutto, ma non mi piaceva fare quei lavori, così per fare contenti i miei mi iscrissi al corso regionale pincopallo, dove conobbi l'Armanda e la Cinzia, lo superai col massimo dei voti, inutilmente, ma finalmente ebbi l'occasione che cercavo! Trovai un lavoro per caso, in uno squallido ufficio, come impiegato amministrativo, e così convinsi mia madre a comprarmi il motorino, approfittando dei soldini guadagnati, e della sua stanchezza. Eravamo sfiniti entrambi, dall'incompatibilità delle nostre nature, e quella volta vinsi io! Mio padre, ansioso com'era, e data la mia distrazione patologica, non senza ragione, si dichiarò contrario all'acquisto, ma io mi ero lavorato la mamma a dovere, niente stranezze, niente gaiezze, un lavoro vero di cui fingevo entusiasmo, furono sufficienti a farle credere che mi fossi “raddrizzato”, e a sganciare la ricompensa. Allora si andava senza obbligo del casco sui cinquantini, e io col mio “ciao Piaggio”, attraversavo la città per andare a lavorare.

La via Sampiardarena era trafficatissima, e pericolosa poiché piena di traverse da cui sbucavano automobili all'improvviso. Alle due del pomeriggio di un giorno qualsiasi, una di queste mi centrò in pieno scaraventandomi da qualche parte...in condizioni disperate. Rumori di ambulanza e un vociare agitato intorno a me ...poi più nulla!

Mia madre, si trovava a fare la spesa, quando si vide venire incontro la nostra vicina. “ Buongiorno signora Traverso!” - la salutò contenta, non notando che la signora era viola in faccia, continuò, “guardi che bel portapane che ho comprato”.- ancora silenzio e rossore. La nostra vicina non era quel tipo di donna che parla molto, ma tacere del tutto non poteva essere normale,” venga, maria, si sieda un attimo” disse finalmente. Fu solo piegandosi per sedersi, che mia madre notò che la signora Traverso non aveva ai piedi le scarpe, ma le ciabatte! “cos'è successo?” disse gelata mia madre, cominciando ad intuire, “Niente, fabrizio è caduto col motorino, ma niente di grave..” mentì la signora, “magari però l'accompagno dal lui!”Non tornarono a casa, e raggiungendo l'ospedale e il reparto di rianimazione, mia madre non trovò più il suo portapane tanto bello.

Mi scoccia ammetterlo, ma io non provai nessuna delle sensazioni meravigliose che alcuni, usciti dal coma, descrivono, nessun tunnel n, nessuna luce, nessun volo extracorporeo, ma per certo non ricordo di aver provato dolore.

81 3591, 868331, e una fila di altri numeri mi uscivano dalla gola, senza un motivo apparente, quando dopo due giorni circa tornai ad essere cosciente.

Non vi annoio con la lista dei danni, ma girandomi verso le sbarre metalliche del letto, vidi la mia faccia, e siccome la lingua mi stava dicendo che c'era qualcosa di strano, aprii le labbra per vedermi i denti, o meglio quel che ne restava, e piansi.

Mio padre mi fu vicino per una notte intera, (forse per far riposare sua moglie, o forse perchè a lei non andava di farlo), non c'era rabbia nei suoi meravigliosi occhi verde bottiglia, questo lo so per certo, e amorevolmente, con tocco garbato mi sistemava il cuscino, perché mi faceva male il collo.

“mi dispiace”, credo di aver detto fischiando a causa dei denti rotti.

Mia madre non me la ricordo, ma quella non sarebbe stata l'unica volta in cui la sua presenza in ospedale, risultava inutile per me, se non gravosa. La sua freddezza, già nota, divenne gelo autentico misto a disprezzo, il tocco delle sue mani, trasmetteva fastidio e non sarebbe mai più cambiato! Forse, era arrabbiata con se stessa per avermi preso il motorino, ma di fatto, era me che non tollerava più, io dal canto mio, mi ero abituato a non averla mai avuta.

Per fortuna c'era il tecnico di radiologia!

Io ero il più giovane del reparto, e venivo coccolato da tutti, in particolare da Antonio, il tecnico per l'appunto. Mi portava ogni giorno, un regalo diverso, un giorno un sasso colorato, un altro le bacchette cinesi, e mi raccontava dei suoi viaggi in Oriente! Gli antidolorifici, mi rendevano torpido ma ero felice quando, aprendo gli occhi, lo trovavo lì. Avrà avuto almeno il doppio dei miei vent'anni, i capelli biondicci e la pelle rovinata dal sole, mani grandi e delicate e due occhi azzurri limpidissimi. Mi andava il cuore a mille, ma speravo non si vedesse. Di lui, non seppi più nulla una volta dimesso con le cicatrici e i denti nuovi. Magari era un angelo gay! I suoi regali sparirono con il suo ricordo, probabilmente per mano della mia genitrice.

Io in ospedale c'ero già stato ad otto anni, per allungare il mio tendine d'Achille. Al Gaslini di Genova, l'ospedale dei bambini. Mia madre a quell'epoca era in camera con me, e dei simpatici scarafaggi, che la rendevano cattiva con le infermiere! Nel reparto i bambini c'erano, ma io con la mia gambetta corta ero uno spettacolo in confronto, un bimbo con le dita annodate, un paio di idrocefali, sette nani, mi convinsero a sentirmi biancaneve, con tanto di matrigna! Incredibile come molti anni più tardi, qualcuno mi trovasse attraente vero? Ma la mia fatina è stata generosa con me! Per una gambina sifula, in cambio mi donò la gaiezza e un paio di genitori, e per i miei dentini, mi regalò di diventare parrucchiere. Mestiere perfetto per i miei intenti non credete anche voi? Forse però, a pensarci bene, non era bella come la immaginavo!

To be continued


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