Il giorno che mi ci portarono, era un giorno in cui tutti erano felici. Si celebrava la nascita di una bambina e io ero stato incluso nella lista dei felici o meglio di quelli da cui ci si aspetta che lo siano. Gli ospedali, li avevo già visti a otto anni quando mi corressero un difetto del tendine di Achille con cui ero nato.
Non fu una esperienza particolarmente drammatica e mi ero fatto amico di un bambino nato con le dita delle mani attaccate senza troppi drammi, mentre invece avevo preso malissimo la proiezione di Biancaneve! Essendo un reparto di ortopedia pediatrica, era logico che ci fossero bambini con problemi più seri del mio ma non fu facile vederlo.
Normalmente, i bambini vengono messi al riparo dalle realtà divergenti dalla linea delle favole che li vogliono circondati di persone felici e contente. Nessuno regala una bambola senza una gamba ad una bambina e ai maschi, al massimo si inceppa la ruota dell’automobilina, quindi i bambini, che devono credere a Babbo Natale, al nonno in cielo che galleggia, che il dottore non ti fa male e il cagnolino che si è perso, non resta che improvvisare di fronte alle “differenze”. Nel migliore dei casi, ti dicono di non fissare le persone sennò apprendi l’esistenza di chi “ non è normale” con la severa ammonizione a non prenderli in giro ma di “lasciarli in pace”. Quando entrai con la mamma , nella stanzetta dove avremmo dovuto vedere i sette nani felici che andavano a lavorare, mi misi a piangere perché c’erano dei bambini con le gambe corte e piene di ferri e la mamma, mi spiegò che erano loro i nani, che quelli veri erano fatti così. Biancaneve aveva mentito.
Quando l’ascensore dell’ospedale si aprì, lo scenario che vidi era molto diversi da come me lo ricordavo, c’erano grandi passi colorati sul pavimento colori, tanti colori. No, in effetti solo due, rosa e celeste.
“Qui nascono i bambini” mi venne detto, ma me lo potevano dire che appena nati, non siamo bellissimi! Ridevano tutti intorno alla parente sul letto e le anziane facevano versi che non avrei fatto nemmeno io ma non ci vedevo perché erano tutti più alti di me, così una voce disse “ vieni, avvicinati, vuoi salutare Alessandra”?
Il muro di adulti si squarciò aprendomi la visuale sulla parente sdraiata che tra le braccia, teneva un fagotto di coperta rosa piena di qualcosa di molto delicato a giudicare da come si muoveva piano, mentre si inclinava verso di me. Avanzai e rimasi paralizzato alla vista di una creatura dalla pelle rattrappita e arrossata coi capelli neri che spalancava la bocca quasi a mangiarmi! Dopo un attimo di silenzio, le signorine col camice bianco, accorsero allarmate e le vecchie zie si sedettero in preda a mancamento e una mi disse: “non lo sai che una volta eri così anche tu? Dato che un urlo non era bastato, ne feci un altro. Fui portato via e rimproverato nel corridoio da mio padre che mi disse “ sei un ometto ormai, non puoi metterti a strillare come una femmina, non farlo mai più”.
Soffocai gli ultimi singhiozzi e lasciai cadere le ultime lacrime sul maglione. Celeste.
Da quel giorno, quando le emozioni sconosciute mi travolgevano o quando prendevo qualche sberla o se cadevo e provavo dolore, non piangevo più, piuttosto spingevo le labbra in avanti e rimanevo immobile e corrucciato anche per ore.
I maschi non piangono aveva detto papà, perciò anni dopo, quando lui era morto non avevo versato una lacrima perché di anni ne avevo ventiquattro quando accadde, anche se allora ci si aspettava che piangessi e mi disperassi come per la neonata della parente.
Venne fuori che mio fratello, che aveva tre anni più di me era troppo emotivo per vederlo morto e mamma, era, impegnata in un pianto dirotto, quindi entrai io nella sua stanza coi vestiti puliti e feci quello che c’era da fare.
La nascita e la morte, ci trovano impreparati e vulnerabili, ci sradicano da un luogo sicuro ci troviamo circondati da persone che sorridono o piangono ma in fondo circondati di emozioni. Perché dunque se nasci celeste non dovresti permettertele?
Mi chiedo spesso se la longevità delle donne, statisticamente destinate a sopravvivere ai loro uomini, non sia dovuta al permesso di vivere le emozioni, di incarnarle addirittura, mentre i maschi, impediti precocemente a esprimerle e costretti poi anche a vergognarsene, ricevano in dono un miserabile cortocircuito cardiovascolare, in cambio di un altrettanto miserabile concetto: la virilità secondo gli altri.
Discutevo con lei sul passato quando un giorno mi disse “ tuo padre piangeva per com’eri” riferendosi alla mia omosessualità.
“Gli uomini non piangono, mamma” risposi “ e se lo fanno, mentono alle donne sul vero motivo per cui lo fanno”.
Quello fu il giorno in cui mi comprai un maglione rosa.
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