domenica 30 agosto 2015
La banda del 52 cap7: cuori di nespola
In Liguria non è raro che durante lo stesso giorno il tempo atmosferico cambi drasticamente. Per questo, quando saremo stati più grandi e liberi di andare al mare, ci avreste visto partire una mattina con lo zaino da spiaggia pure se avesse piovuto. Il sole avrebbe fatto la sua comparsa in poche ore.
Succedeva così, che magari nel bel mezzo di una guerra a "cannette"(spirali di carta strette e incollate con la saliva, che sparavamo con dei tubi), ci dovessimo rifugiare alla svelta nel portone o in un box, perché da dietro la grande pineta, le nuvole erano così scure che non le distinguevi dai cespugli di rovi!
Io e i ragazzi ci dicevamo spesso che sarebbe stato bello fare una casetta in pineta, un rifugio solo nostro. Non doveva essere difficile con qualche asse e un telo come quello con cui si coprono i teneri lamponi dalla pioggia: lo avevamo visto dal balcone di Giuseppe che dava sugli orti abusivi a grandi terrazze. L'unico che andava in pineta era Alessandro perché mio padre e il padre di Giuse non avevano l'orto.
Eppure mio padre lo voleva, ne parlava, perché allora visto che nessuno aveva chiesto il permesso non si prendeva anche lui un pezzo di pineta? La mamma diceva che papà era onesto. Un giorno sarei stato onesto anche io?
Comunque, un pomeriggio Alessandro prese di nascosto la chiave che chiudeva il cancello dell'orto di suo padre, e dicendo che andavamo a dar da mangiare ai gatti della barriera salimmo in pineta.
Come per l'intercapedine, la consapevolezza di una trasgressione accese i miei sensi. Dopo la pioggia gli aghi di pino si ammorbidivano, e la terra fradicia profumava. Salendo potevamo scorgere il piazzale del 52 e le finestre di mia mamma, ma loro oltre a non immaginarci li non ci avrebbero visto nemmeno volendo, dati i rovi incolti carichi di more succose. Alessandro era una lepre in pineta come Giuseppe sarebbe stato un delfino al mare, ma io santo cielo non ero proprio portato alla ginnastica - perché corriamo?- chiesi intanto che le gambe si graffiavano tra arbusti e spine, - perché non abbiamo molto tempo, prima che mio padre torni e la chiave deve tornare al suo posto - mi zittì Alessandro.
Era essenziale non sporcarsi di fango i vestiti, se volevo che mia madre non facesse domande, ma quella maledetta radice scombinò i miei piani. Mi trovai con la faccia per terra, proprio vicino ad una pozza dove Alessandro diceva che i rospi andassero a bere. Non l'avevo mai visto un rospo, ma se era marrone come dicevano ci dovevo somigliare un bel po..
Una grossa macchia di fango sulla maglietta e mezzo pantalone non erano proprio facili da giustificare. La banda si sedette e ragionò: beh puoi dirgli che uno del 50 te l'ha tirato addosso perché odia i gatti, propose Alessandro, che di scuse aveva una laurea. Intanto, il panico si prendeva quel poco respiro che mi rimaneva e la mente mi presentava delle immagini tremende a base di urla e affini! Non ci torno a casa.
Poi Giuseppe fece una domanda: Ale ma c'è l'acqua nell'orto? Certo! Rispose lui.
L'idea era quella di lavarmi i vestiti e farli asciugare al sole. Ma secondo voi, quanto ci mettiamo? Facciamo presto dai.
L'orto di Ale era tra le terrazze più alte e c'era una specie di casetta dove suo padre ci mangiava pure.Controllammo che quello dell'orto di sotto non ci fosse e quatti come ratti entrammo. Il rumore della serratura ci diede una soddisfazione enorme!
Il pavimento era di cemento e le pareti di legno e lamiera. Al centro un tavolaccio delle sedie mezze rotte, un fornello a gas e la lampadina sul soffitto. Ci sedemmo li tra l'odore acre di urina di gatto randagio e un po di muffa: cavalieri di una tavola quadrata!
La canna dell'acqua legata col filo di ferro scolava in un lavandino di fortuna, dove bagnammo i miei abiti sporchi tutti contenti! In mutande e canottiera, non ero proprio a mio agio e mentre loro andarono a prendere qualche fico maturo e delle more, io li aspettai in casetta!
Guardavo con disagio la mia gambetta secca, quella operata da piccolo, quella che mi faceva sempre cadere e che mi impediva di giocare a pallone, e sospirando mi dissi che era proprio brutta! I mei amici tornarono con un bottino delizioso, che forse senza nemmeno lavare, mangiammo scoprendo che ero l'unico a cui piaceva la pelle dei fichi! Ci fu anche chiaro che una capanna come quella potevamo sognarcela e si decise che la banda avrebbe fatto base in quella così com'era.
Li avremo deciso le nostre avventure o le rappresaglie da fare a quelli del 50 che ci erano rivali. Il tempo passa in fretta a quella età e non ci sembrava di aver bisogno di nient'altro che ritrovarci ma il sole non entrava più dalla finestra e mi ricordai del bucato!
Se era asciutto? Si, lo era, ma nessuno di noi poteva immaginare ciò che vedemmo!
Le macchie di fango, bagnate con l'acqua si erano allargate come se nel fango, mi ci fossi immerso e i bordi erano diventati biancastri: molto peggio di prima.
Dovetti comunque vestirmi e dall'angoscia, vomitai i fichi e le more nell'orto di quello di sotto.
Alessandro e Giuseppe mi guardarono con lo sguardo di chi vede un compagno avviarsi al plotone di esecuzione, e provarono debolmente a incoraggiarmi con un: magari non se ne accorge?
Chiudemmo la casetta e ci avviammo scendendo per il sentiero. Avevo anche io il mio " miglio verde" da compiere. Mi venne da piangere, da ridere e poi da piangere di nuovo. Perché la felicità che provavo con loro doveva costarmi tanto? Ero più fradicio della Pineta da cui scendevo.
Fu alla fine del sentiero che accadde il miracolo! "Guarda che schifo" esclamò Giuseppe fissando la bratta che c'era sotto il nespolo mentre Alessandro coglieva le ossa dei frutti marci caduti per terra. Li rigirò un po tra le mani poi sembrò avere una illuminazione. I noccioli di nespola sono quattro per frutto ( devono aver paura di estinguersi, le nespole) ed erano perfetti per la canna delle nostre cerbottane. Soffiò con tutta l'aria che aveva e il "proiettile" fece sobbalzare Giuse con un violento Ahia!!!!
"Ma vi sembra il momento?" sbottai trovando impensabile che potessero divertirsi al mio funerale. " ma non capisci?" disse Ale
Raccogliemmo quanti più noccioli potemmo, riempiendoci le tasche anche di polpa marcia e pelli e belli fieri andammo verso il 50 con le cerbottane dietro la schiena. I ragazzini del 50 non so che avevano ma erano tutti perfettini e ben vestiti e i loro giochi erano costosi come le biciclette con le quali giravano in tondo per non sporcarle. Fu un attimo.
Ci dissero che non eravamo i benvenuti, men che meno io con le mie macchie, e al segnale scatenammo l'inferno!
Imbrattammo quei figurini, come maiali in un porcile e alle urla dei genitori scappammo su al nostro piazzale, ma lo facemmo come se fossimo stati inseguiti! Conciati com'eravamo chiamammo i genitori a nostra volta. Non potete immaginare come gli adulti furono impegnati a litigare con gli altri sui figli da difendere! " Sono stati loro" ci urlavamo spingendoci noi ragazzi tra gli adulti.
Ci misero così tanto a cavarsi d'impiccio che una volta finito per "decenza" di dirsene quattro, non ebbero più la forza di stabilire un colpevole.
Le mie macchie trovarono una spiegazione onorevole, i panni finirono in lavatrice e il mio corpo sotto la doccia. Mentre l'acqua calda scorreva lavando via tutto, il cuore, batteva all'impazzata di gratitudine per i miei amici che mi avevano salvato la vita. Chiudendo il rubinetto, mi parve di sentire l'eco dei loro battiti.
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