venerdì 28 agosto 2015

La banda del 52 cap6: mugugni



La mappa del nostro territorio non poteva dirsi vasta, almeno quella parte che eravamo liberi di girare senza permessi. Per noi al momento andava dal piazzale alla grande barra che fingeva di dare al 52 l'aria di un condominio privato.
Un ragazzo, poteva dirsi grande quando si fosse potuto spingere ben oltre, come facevano quelli coi motorini o coetanei meno soggetti di noi al controllo familiare e dei vicini. Un po figli di tutti com'eravamo, il controllo avveniva anche per la tendenza a spiarsi. In realtà, ciò che gli adulti controllavano erano i cambiamenti nella vita di altri adulti: macchine nuove che determinavano sospette promozioni avvenute, i collier d'oro al collo di neo vedove che non ti avevano invitato al funerale dei mariti e via così. In tutto ciò non era perciò difficile che in assenza di news i nostri spostamenti costituissero una equivalenza d'interesse. 
I margini estremi della mappa del mondo per noi, si spingevano poco oltre il capolinea del 50, l'autobus sgarruppato che da piazza Garassini saliva fino da noi. Non è che il resto della via non sapessimo com'era, ovviamente, solo non lo avevamo ancora conquistato in piena autonomia. Essendo quella via una zona popolare e periferica, era popolata di curiosi personaggi. Aspettando il 50, che quando arrivava pareva in procinto di fondere il motore, potevi capire la reputazione di tutti. Le signore perbene, stavano rigide in piedi come davanti al plotone di esecuzione, cercando di non sporcarsi con i rivoli d'acqua per terra, le scarpe nuove e costose,  mentre altre decisamente non sembravano occuparsene. Queste, si sedevano sguaiatamente sul muretto con le gambe aperte, fumavano nell'attesa o dicevano parolacce. Mia madre, lei non era né l'una né l'altra, semplicemente appariva a disagio ovunque, come se il mondo intero le facesse schifo. 
I tre palazzi che davano sul capolinea erano curiosamente disposti in una fila obliqua e sfalsata alla fine della quale si sapeva ci fosse una misteriosa  scorciatoia, e chissà per quale umorismo urbano li chiamavamo "i tre pini". 
Scendendo col 50 si incontravano i negozi della via che prendevano il nome dal loro proprietario, per esempio, non si andava in cartoleria ma "dalla Marisa", non dal panettiere ma "dalla Francesca"( questo fa eccezione poiché lo diceva mio padre ma Francesca era la avvenente commessa, mica la padrona), non all'alimentari ma dal Claudio, non dal tabaccaio ma dal Giuvan. Se il negozio faceva schifo, allora gli veniva affibbiato un nomignolo, come per la latteria, che era solo la "zozzona" senza nome, dove compravi il latte perché sigillato ma mai le brioches con le mosche sopra. 
Alcune signore di quelle sguaiate erano autentiche celebrità a causa della mole di imbarazzo  che erano in grado di suscitare. "Smettila di fissarla" mi redarguiva la mamma " non guardarla che tra l'altro è maleducazione, girati!" Ma la "Tabaccaia" come la chiamavano non si poteva ignorare: portava i capelli cotonati biondo platino, e vestiti attillati su un corpo decisamente sformato la cui pancia sembrava un marsupio vuoto, si diceva che le prostitute facessero quella fine e io sapendo che le prostitute facevano le porcherie a pagamento, non capivo che gusto ci fosse a pagarle perché mangiassero come maiali. 
Comunque, lei se ne sbatteva di quello che si diceva di lei e quando saliva sul 50, la nostra "bocca di rosa" rionale intimava all'autista: autista? Cu vagghe cianin che me scappa u pisciu ( autista vada piano che me la faccio addosso).
Che brutta vita le prostitute genovesi, dopo aver mangiato a pagamento per anni, finivano incontinenti a vendere le sigarette nei carruggi!
Una volta giunti in piazzale Garassini, a piedi si raggiungeva piazzale Parenzo, dove facevano il mercato, e dove c'era la parrucchiera di mia madre!
Questa, di nome faceva LaParrucchiera, o almeno mia madre credeva così perché mi diceva: chiama Laparrucchiera, chiedi alLaParrucchiera e saluta LaParrucchiera. Ciao, LaParrucchiera. 
Non ho mai capito perché dovessi andarci anche io con lei, ma grazie al cielo mia madre ci andava una volta ogni tre mesi a fare la permanente. Puzzava tutto nel negozio della LaParrucchiera. Puzzavano i lavandini colmi di peli, puzzavano di vecchio i giornali, e puzzava anche lei, solo che lei sapeva di aceto. "Mamma perché LaParrucchiera puzza di aceto e tu di acido"? - e lei, " se non la smetti ti do una sberla". 
Di origini meridionali, la parrucchiera di mia madre aveva un orrendo segreto: non le piaceva fare i capelli! Come feci a saperlo? 
Una volta mentre mia mamma era sotto il casco, spostai la tenda di plastica a strisce verdi che copriva il retro e le vidi!!! Li tutte infila c'erano le melanzane e i vasetti di vetro, o meglio, le "melenzane", come le chiamava lei. Se i ragazzi della banda avessero saputo che andavo dalla parrucchiera con mia madre, mi avrebbero espulso, per cui non denunciai il fatto e divenni complice. 
La bella mamma di Alessandro i suoi lunghi capelli castano ramato, non li avrebbe mai portati in quel posto, ma per la testa di merda che si faceva mia madre ce n'era d'avanzo! Una volta finita, persino mia nonna, sua madre Verdina, era più giovanile. Per due giorni, non si poteva stargli vicino dall'odore acre. Per quanto loffia mia madre si stufo' di LaParrucchiera e prese a farseli fare in casa da mia zia Giacomina, tali e quali però. Mah!
A me del resto non toccava sorte migliore. Io ero destinato al Tonino, il barbiere zoppo con l'unghia del mignolo più lunga del righello di scuola. E ci dovevo andare ogni volta che i capelli si erano ripresi dal suo intervento! 
Nei pressi di li c'era la mia scuola media, e per quel che ne sapevo la mappa del mondo era finita. Almeno per ora.
La variante più eccitante di quella geografia,  fu solo l'inserimento del nuovo percorso del 50 barrato che invece che tutto il giro ne faceva solo metà. La Tabaccaia non ne fu affatto felice, ma del resto eravamo a Genova, dove "il mugugno e' libero", e i cambiamenti se avvengono sono sempre all'insegna del un po in meno che in più. Meno strada, meno negozi, meno casino, meno fantasia. Un luogo magico che resta immobile e tagliato in due da un fiume chiamato Bisagno che anche nel nome trascina con se quella malinconia rassegnata di chi non si aspetta un granché dalla sorgente alla Foce. 




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