mercoledì 26 agosto 2015

La banda del 52 CAP 5: Bau Bau micio micio


Santo cielo, che commedie  i castighi. L'unico vantaggio di prenderne a iosa sta nel fatto che si apprendono certe verità fondamentali: 
il fattore temporale è di rado mantenuto ed è invece sempre eccessivo rispetto alla voglia dei tuoi genitori di subirlo con te. Se dicono che starai a casa un mese, lo fanno per impressionarti, non supereranno i sette giorni escluse le domeniche che non hanno nessuna intenzione di passare in casa.
la perdita dei tuoi cosiddetti "privilegi"  è uno spauracchio che serve a loro per credere che il tuo slancio, sia sotto il loro controllo. Nessun privilegio, quello che ottieni di fare permette a loro più libertà, tu, l'avrai comunque e sicuramente l'hai già avuto in ritardo
La ramanzina sulla responsabilità che sentirai quando hanno deciso che il castigo è finito è una palla pazzesca.
il perdono che si aspettano e che tu sai di non chiedere onestamente non ti impedirà la comunione, ne il paradiso, come del resto fingere di dartelo ( dopo 40 anni sapranno ancora elencare come gli hai rovinato l'esistenza) non lo impedirà a loro. moriremo tutti e non si sa  in che ordine. 
a proposito di morte, non si muore di castigo.

La mia, la passai lavandomi i capelli con lo shampoo tutti i giorni, dal momento che,  mentre al super la mamma me ne negava l'acquisto, fece l'errore di annusarlo e allora disse: lo prendo per me e il papà capito? Certo.
Si diceva in casa che fossi distratto, lo si diceva anche al postino, per cui, "distrattamente", s'intende lo usai tutto.
Dalla finestra della mia stanza, osservavo la enorme pineta: i cespugli di rovi o di ginestra, alberi, orti,  e più su, fino ad arrendermi all'incapacità del mio sguardo di coglierne i sentieri, perché c'erano, lo aveva detto Alessandro che ci era stato con suo padre. La osservavo con nel naso odore di mela verde e fantasticavo.
I grandi, i ragazzi coi brufoli le fidanzate e il motorino ci andavano di sera, ma a noi ancora non era consentito. Ci andavano con le femmine, ma anche tra di loro.
Finiti i castighi ci ritrovammo nell'indecisione. A cosa giochiamo? Meglio non far casino, ma tutti i nostri giochi preferiti ne facevano. Subbuteo? Non ho voglia di andare su a prenderlo...cose nomi città? Che palle.
Affacciati alla ringhiera del piazzale, ci fu chiaro che, dovevamo trovar qualcosa da fare fuori dalla portata delle finestre dei nostri.
Il piazzale del 52 era per metà parcheggio e per metà piazzale e sporgeva talmente tanto che sotto questi avevano fatto una grande aiuola piena di piante erba e  merde di cane. Trovato il posto, uno alla volta, a passo lieve, dagli scalini del portone scendemmo la "scaletta" che colmava il divario di altezza tra il piazzale e l'aiuola.
Li di solito, oltre a cagarci i cani di tre condominii, poteva capitare che una gatta partorisse. Di fatto, anche quello era un terreno di guerra tra gattare  e cinofili. A sorvegliare la situazione c'era un'altra figura fondamentale della mia pre-adolescenza: la signora Penza. Tutti pettegolavano su di lei e la sua famiglia dicendo che lei avesse la barba, o che mangiassero i bambini, o che la sera si trasformassero in mostri assetati di sangue, che fosse stata un uomo, ma la verità era che, la signora aveva la voce di un baritono e un petto impressionante ai lati del quale, due grossi ciuffi di pelo facevano capolino dalle ascelle, ed effettivamente, sotto il rossetto rosso sempre impeccabile, il mento appariva un po peloso a giorni alterni. Ma a farle guadagnare la sua fama di Cerbero era il fatto che nessuno poteva dirle di non dar da mangiare ai gatti randagi, come di urlare da fare paura a chiunque vedesse maltrattarli o togliere loro le vaschette che lei quotidianamente riempiva di acqua e cibo. "Minnin, minnin"  faceva per chiamarli, aggiungendo " vieni che ti do il cibo". Nel farlo la sua voce assumeva un forzato tono femminile, che noi ragazzi, nascosti sul piazzale del 52 spesso ripetevamo senza farci vedere e al quale lei rispondeva dandoci dei "bagasci" ( la parola bagascia in genovese significa prostituta ma nel gergo paesano è anche un modo affettuoso per dire mascalzone).
Una volta giunti nell'aiuola i ragazzi proposero di riuscire a passare davanti al suo balcone tirare un sassolino piccolo per farla uscire e riuscire a raggiungere il piazzale attiguo senza farci beccare. Tanto i grandi,  se anche l'avessero sentita, non potevano sapere a chi stesse urlando.
Alessandro partì per primo. Tac sul vetro. Urlo,  ma lui era gia al 50. 
Giuseppe partì non appena lei rientrò, ma fece cilecca col sasso, mentre Alex lo tirò talmente forte che si sentì urlare una voce ancora più terribile! La Signora Aveva un marito, e che marito! Grande come un portone blindato, uscì a torso nudo tirando ogni tipo di improperio possibile, dal momento che, il vetro della porta finestra si era frantumato facendo scaravoltare la sua gatta nera, ( altro fattore che generava dicerie) quasi giù dal balcone dove si sarebbe potuta infilzare nelle punte del cancello sottostante.
Io, impietrito dietro l'oleandro e tra le merde di cane, persi ogni speranza di rivedere i miei amici, perché, non c'era per loro altro modo di tornare indietro se non passandogli davanti e lui si era piazzato li come sicuro che avrebbero dovuto farlo prima o poi.
Già ma prima o poi? Quanto tempo è prima o poi?
Dovevo fare qualcosa, ma cosa? Nemmeno io potevo uscire allo scoperto, e nel rintanarmi lì, notai uno strano movimento alla radice dell'arbusto: un gattino, ancora con gli occhi chiusi, doveva aver avvertito la mia presenza e scambiandomi per sua mamma, cominciò a miagolare, arrancando verso di me! La Signora non poteva sentirlo, date le urla tonanti di suo marito, così feci un azzardo.
Con il "neonatto" in mano, (come chiamare un gatto neonato?), come presi a chiamarli in seguito, mi feci avanti dicendo solo : signore mi può aiutare? Fu come assistere alla frana di una diga con in mano un ombrello tascabile, tuttavia quel gigante alla vista del micetto si girò' e con gli occhi acquosi chiamo' la moglie che pianto' li vetri e tutto e con parole dolcissime mi disse di raggiungerla al portone. Il balcone rimase deserto e i ragazzi poterono trovare la via di fuga tanto agognata. 
Mi spiego' col garbo di una madre il rischio di rimuovere un cucciolo da dove la madre lo avesse lasciato, che avrebbe potuto rifiutarlo è quel rifiuto essergli fatale. Lo disse accarezzandomi e sentii il forte profumo che emanava. 
La banda del 52 smise di prenderla in giro, anche perché Alessandro era comunque anche lui appassionato di animali, come avrebbe dimostrato in seguito. 
Ogni giorno che potevo, cominciai a scendere dalla signora portandole il prosciutto dei miei panini e mangiando solo il pane e lei, da quel giorno, prese a chiamarmi  Gioia. Io e alessandro cominciammo a prenderci cura di gattini e smettemmo di abbaiare. 
C'erano altre persone un po' "diverse" intorno a me, persone che, non potevano mostrare a tutti il loro "profumo" ma che non per questo non ne avevano uno ottimo, checche' ne dicessero di loro. Un dopobarba può anche  nascondere un profumo di rosa. 


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