domenica 29 agosto 2010

" la macaia" Ge- Mi storia banale di un gay speciale4


Nei giorni seguenti, pensai a Claudio e al nostro incontro, ma soprattutto, al suo modo libero di porsi. Fino a quel momento avevo conosciuto altri ragazzi gay, ma non vi dico la fatica! Quando a Genova il cielo è coperto, e sembra che debba piovere, ma non accade, si dice che c'è “macaia”.

Una macaia perenne aleggiava nei rapporti sociali tra i genovesi, i quali, sono ben più che riservati.

Si sprecano una serie di convenevoli dialettali, le persone seppure in confidenza non si chiamano per nome, “scià maria” e “sciù vincenzo”, sono la signora Maria, e il signor Vincenzo, e compresi di suffissi saranno sempre menzionati.

Scarsamente ospitali, i genovesi non amano esporsi ai “ceti”(pettegolezzi), ma amano farli su altri che non conoscono, quindi ognuno a casa sua! Ma a nessuno sfugge ciò che accade fuori dalla finestra. Sospettosi e diffidenti i genovesi hanno sempre un aria molto perbene, che non include il parlar sboccato, di sesso, di soldi, e di sé. Un vestire dimesso e poco appariscente e un costante imbarazzo, che rasenta il fastidio.

In un simile ovattamento di tutti gli estremi, essere gay, vestirsi gaiamente, ma anche essere semplicemente spontanei risulta impossibile ancorché sconveniente, quindi i miei “colleghi” sembravano giustificati ad incontrarsi e riconoscersi solo nei cessi pubblici o tra gli enormi blocchi frangiflutti del litorale marino, o nella penombra della “Cage”.

Ma mai capirò perché, una volta ben certi di essere in luoghi convenuti e tra simili, non smettessimo mai di vergognarci! Nell'intervallo di pranzo andavo a piedi a prendere il sole in Corso Italia(la passeggiata fascista di cui beneficiano ancora gli innumerevoli comunisti genovesi)e lì sotto il depuratore nel più scomodo dei posti c'era il “ritrovo delle pie donne”, come lo chiamavo io! Appena preceduta dalla spiaggia appannaggio delle famigliole, la barriera frangiflutti, consentiva di stendere il proprio telo come sugli scogli, ma via via che la percorrevi, le famigliole si diradavano insieme al genere femminile, lasciando il posto(ormai esiguo) a più gradevoli paesaggi e in alcuni casi, "generosi promontori". Generalmente, continuavo a camminare come se fossi lì per caso,almeno fino a quando non intravedevo un costume da bagno di mio gradimento, visto il quale, per i motivi di cui sopra invece di avvicinarmi e fare amicizia, mi allontanavo di un bel po', e stendevo il mio telo.

Raramente ne vedevi due insieme, tranne i gay anziani, che forse si aiutavano a vicenda per non spaccarsi le gambe, si perché tra un blocco e l'altro c'erano fessure dentro le quali, potevi comodamente sparire.(appartandoti con qualcuno o cadendoci fatalmente). Rido ancora al ricordo di certi salti che si facevano da un blocco all'altro. Così novelle camosce di Trento, tutte noi saltellavamo seriose come se fosse normale. Ma parlarsi sembrava più difficile che saltare in lungo. Una volta completato lo scacchiere della seduzione, gli sguardi si facevano intensi, ma si continuava a fingere che non ci fosse intenzione, talvolta se nessuno dei due faceva il primo passo, poteva diventare estenuante come il pranzo domenicale dai parenti! Non ricordo di aver mai avuto niente più che un nome in quel posto. E talvolta anche dopo aver stabilito un contatto, avevo l'impressione che l'altro si tirasse indietro” non gli piaccio” pensavo, ma forse semplicemente la luce del sole era troppo forte per essere guardata ad occhi nudi!

Per questo motivo Claudio mi restò impresso. Lui, era come avrei voluto essere io, viveva apertamente la sua condizione, e questo lo rendeva sincero, pronto a correre il rischio di vivere davvero.....Nel silenzio della mia cucina, al tramonto, spensi la luce e il gas sotto il caffé, mentre decidevo di chiamarlo il giorno dopo.

I telefoni cellulari in quegli anni erano grossi come mattoni, e costosissimi, per tale motivo erano pochi ad averli, ed io quasi non sapevo di cosa si trattasse. Ma c'erano le cabine telefoniche e ricordo che erano sempre occupate. Il mio portafoglio, era sopra il telefono mentre una voce bassa e garbata rispondeva “Nero e cobalto buongiorno!”... e lì lo dimenticai per non ritrovarlo più!

La parte a ponente di Genova non mi era mai piaciuta, era decisamente grigia forse a causa della vicinanza dell'Ansaldo o forse per mancanza di fantasia, inoltre la cadenza dialettale cambiava spostando il suono delle parole, ma mentre raggiungevamo la casa dei genitori di Claudio, mi facevo un altra idea. Non avevo ancora deciso nulla circa quella frequentazione, ma l'allegria di quel ragazzo e il suo aspetto trasgressivo mi piacevano molto. Portava molti orecchini e anelli alle dita, anche se le sue non erano molto lunghe, e i capelli lunghi e ricci non erano proporzionati alla sua scarsa statura, ciononostante, per qualche incantesimo, non era volgare, forse per questo accettai di andare a casa sua. Quel ragazzo, col suo coraggio sfidava l'ipocrisia genovese, che ci voleva tutti nascosti, camuffati, o al massimo definiti come anormali. Ogni giorno si alzava e con orgoglio e semplicità alzava la serranda del suo negozio e offriva alle reticenti signore genovesi, nint'altro che un luogo dove potersi togliere la maschera e ...indossare la parrucca!

Mi confessò che fu molto dura ingranare all'inizio, la prima cliente ad entrare era stata “ Scià Grillo” Rosa, di nome.

La dentiera della signora Grillo, non ne voleva sapere di stare attaccata, così quando parlava le labbra, i suoni e i denti non erano in sincronia, forse anche lei era “diversa” e trovò il suo posto. Claudio parlava il dialetto perfettamente e questo lo aiutò moltissimo a conquistarsi il rispetto della gente del quartiere( la stessa però che chiamava i carabinieri, quando la notte di carnevale, vedeva entrare sette uomini e uscire sette Regine della notte sfolgoranti con tanto di costumi, trucchi e parrucche), a tal punto che ben presto lui e la signora Grillo, si parlavano come vecchie amiche.

Lei gli disse all'ennesimo “scià Grillo buongiorno” - “Nu me ciammi scià grillo claudio, Rosa, sulu( non mi chiami signora Grillo, claudio, solo Rosa) e lui le rispose “Ben alua buogiorno scià Grillo Rosa sulu!”( “va bene, Signora Grillo rosa solo!”)

Il profumo della “cima” mi inebriava ancora quando la signora Maria Pedemonte, aprì la porta avendo sentito la macchina di suo figlio Claudio nel vialetto di casa, e dal suo sguardo capii che la mia visita non era stata annunciata! To be continued


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