sabato 28 agosto 2010

ge mi storia banale di un gay speciale 2


Iniziare a vivere a 24 anni, significa perdere un bel po' di tempo, ma nel mio caso se fosse vero, che si vive davvero, solo quando si è in grado di fare la prima scelta libera, allora potrei dire che ho cominciato a vivere quando ero pronto, esattamente come chiunque altro... Il lavoro in negozio andava bene, e a Genova questo significava essere assunti a libri e poter pagare un affitto.

Già, perché se da una parte la Superba si dava le arie, dall'altra amava compiangersi. Genova deve il suo nome a Giano bifronte, infatti la città guarda il mare e si arrocca sui monti. Questa dualità era possibile vederla ogni giorno. Fisicamente il ridicolo fiume Bisagno( che corre per tutta la città dai monti sopra Prato fino alla Foce) segnava lo spartiacque tra ricchi e poveri, o fra poveri e mezzi montanari ancor più miseri. Ma il denaro quello era un altro discorso...ce l'avevano e molto, grezze signore sudicie di periferia....come impalcate signore altrettanto sudicie ma con i vestiti puliti nelle vie centrali!

Il denaro e il suo economato è per i genovesi, una scienza istintiva, lo chiamano “palanche” o “dinè”. Chi lo aveva fingeva di non averne, chi non poteva fingere miseria, consumava le belle cose comprate fino all'ultimo....prima di ricomprare le stesse identiche cose! Si calcola che una donna genovese compri nell'arco di una vita media la prima borsa di Vuitton verso i trentacinque la porti fino ai 50 la aggiusti verso i 55. e verso i 65anni cambi modello, avendo cura di regalare quella precedente a qualche nipote come se fosse nuova, e lasci in eredità l'altra.

L'orientamento politico condiziona solo la gioventù che veste hippy fino al matrimonio, e i capelli, le donne di sinistra fanno l'henné, quelle di destra la tinta,(che scelgono dello stesso colore del fondotinta per mascherare crescite indecenti).

La mia migliore cliente era una signora della genovabene, anziana, ricca, e bionda. Mi era affezionata e pur non vedendoci quasi nulla veniva due volte a settimana. La signora Casiccia, era orba ma non scema e neppure tirchia. Il gioco era sempre lo stesso, lei entrava ,sbatteva nell'appendiabiti salutandolo cordialmente, io le lavavo i capelli o le facevo il colore e alla fine le domandavo “Si piace?” -“sono bellissimi” rispondeva lei, ma non credo abbia mai saputo cosa avesse in testa, il giorno che le facevo i capelli dopo una notte in discoteca! Voleva solo che la sua giornata dal parrucchiere fosse come quella di una donna qualsiasi, ed io l'accontentavo!

Lo sapevo mi sono distratto un altra volta, volevate sapere della Cage e di come la mia prima volta lì, cambiò il mio destino.

Fino a quel giorno, diciamo che non ero convinto di essere l'unico in città ad essere “buliccio” (così si chiamano i gay in dialetto), ma non immaginavo l'effetto che avrebbe avuto vederne altri fare liberamente ciò che di solito si faceva di nascosto. Quel bar era in uno scantinato, la porta d'ingresso era nera ed in fondo ad un piccolo corridoio dopo le scale. Suonavi un campanello e ci mancava solo la parola d'ordine!

Per la banalità anche gli arredi erano scuri, la luce soffusa e l'ambiente piccolo. Questo rendeva lo “struscio” obbligatorio favorendo le relazioni sociali, dietro il bancone stavano un uomo piuttosto grande, e il suo giovane compagno brasiliano “Manuel”. Quel monumento al peccato mortale era l'esca per rendere le consumazioni...a dir poco copiose. In fondo al locale c'era il bagno, e una stanzetta con dei divanetti, dove la televisione proiettava filmini porno.(mi ci volle un tempo eccessivamente lungo per rendermene conto, ed un nanosecondo per voltarmi di scatto) Disinvolto come un lampadario, mi feci largo in qualche modo tra la folla, che da subito compresi essere di frequentatori abituali. La prima cosa che notai tra le voci, era che tutti avevano un loro nome. Direte che stupidaggine! Ma il nome alla Cage, non aveva a che fare con l'anagrafe, tutti lì sembravano voler lasciare il proprio genere maschile all'ingresso, con i documenti . Tutti si salutavano con “ Ciao cara” e io ero viola in faccia ma tanto la penombra aiutava. Ordinai a manuel qualcosa da bere, appollaiato sullo sgabello, in reltà mi ci ero avvitato sopra, e lui scaltra volpe dagli occhi cerulei, mi fece gli onori di casa.

“Amore di là ci sono i cazzi in televisione, ma il più bello è nel bagno...non te lo perdere! Sei nuovo? Non ti ho mai visto qui!”- “infatti” risposi, dato che dire che ero nuovo mi sembrava sciocco, e ringraziai cercando di sfuggirne lo sguardo. Di per sé quel posto faceva cagare, ma anch'io restai rapito di gioia nel sapere di avere un luogo dove poter limonare senza dovermi imboscare. Al lato del mio sgabello, una chioma corvina e riccioluta si dimenava, mi chiesi se per caso non fosse una donna, ma per fortuna mi sbagliavo! Si girò verso di me e mi sorrise, io mi voltai, nella certezza che sorridesse a qualcun'altro, ma quando mi rigirai, lui continuò a sorridermi, quindi se non era una paresi, doveva essere proprio ciò che sembrrava, un saluto rivolto a me.

“Claudio piacere, ma tu puoi chiamarmi la 51!” “piacere mio, dissi, tu chiamami Peroni”.

Ridemmo di gusto e l'incontro andò ben oltre le mie aspettative, poiché sebbene diverse mani mi avessero toccato il culo, lui non lo fece, lui mi parlava, mi offrì da bere e mi presentò i suoi amici più cari! Non dimenticherò mai i loro nomi alla Cage:

Roberto La Betty, un sorriso tanto bianco e perfetto, l'avevo visto solo nei film, la sua somiglianza con Mina era per lui motivo d'orgoglio, di giorno lavorava in un ufficio e Lorenzo la Cielo Alto, così chiamato poiché il riporto a cui non rinuciava mai richiedeva abbondanti dosi di lacca, di giorno netturbino.

Claudio mi spiegò che lui si chiamava la 51, perchè le parrucche lunghe delle Drag Queen erano tutte lunghe 51 cm, ed inoltre era l'unico a portare i capelli tanto lunghi ...di giorno, Claudio faceva il parrucchiere.....originale vero? Da quel giorno fui battezzato/a “ La Carminati”. Avevo anch'io il mio nome alla Cage!!!!

Andai via col suo numero di telefono del suo negozio(mica c'erano i cellulari) “Nero e cobalto, e con una strana sensazione di felicità allo stomaco.

TO BE CONTINUED


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