martedì 6 ottobre 2015
La banda del 52 CAP 16: il mare dentro.
Il mare a Genova rientrava nella familiarità di ogni gesto . La sua risacca si rifletteva nel "mugugno" della gente per strada, il moto ondoso, nelle salite e nelle discese della città e il salmastro della acqua, nel carattere forte dei suoi abitanti come nella ruggine di ogni cardine.
Per i ragazzi che diventavano grandi, andare al mare senza i genitori, rappresentava la conquista della libertà che avrebbe raggiunto il culmine con l'esplorazione da Levante a Ponente della sua Riviera.
Da piccoli, c'eravamo andati al mare ma a causa del frastagliato litorale roccioso, le spiagge adatte a bambini e famiglie impegnavano una giornata di tragitto per essere raggiunte o soldi a sufficienza, per accedere ai lidi privati presenti nella città. Dei miei, solo mio padre sapeva nuotare ma ansioso come era si guardò bene dall'insegnarcelo, mentre la Maria Luisa sfidava la fisica elementare non riuscendo a galleggiare neanche col salvagente. Del mare, da bambino, ricordo solo la sabbia nel sedere e il fastidioso concetto di digestione, secondo il quale mare e cibo non si potevano coniugare, come anche le parolacce di papà in coda con la macchina a passo d'uomo, nella via del ritorno.
Il bello del 52 era che essendo un palazzo di ferrovieri, noi famigliari, godevamo di una preziosa tessera del treno gratuita e per ragazzi adolescenti e squattrinati come noi, questa era già ricchezza. Ad un certo punto, dovevamo essere diventati abbastanza grandi o insopportabili da aver ottenuto il permesso di prendere il treno per andare al mare il pomeriggio.
Si trattava in realtà di un paio di fermate dalla stazione principale ma di certo, il treno, era più rapido di un bus e gratis. Dopo fiumi di raccomandazioni, si andò zaini in spalla verso lo scoglio di Quarto al mare, dove c'era una spiaggia libera, una parte ricavata da scogli, e alcune piazzole di vecchio cemento realizzate anni prima per chissà che, ormai ricoperte di muschi e parte del panorama. Come ci sentivamo grandi seduti nello scompartimento a ridacchiare di questo o quello, o a mostrare le tessere ferroviarie al controllore, che ci sorrideva come avrebbe fatto ai suoi figli.
Giuseppe e Alessandro sapevano nuotare mentre io invece no, così le prime volte rimanevo sull'asciugamano o li aspettavo sulla battigia per decretare chi di loro era il vincitore del tragitto dalla "piattaforma" alla spiaggia in velocità, ma certo non ero proprio felice del compromesso.
La sensazione di esclusione da loro e da quell'elemento così a portata di mano mi faceva sentire come di fronte ad una torta in vetrina. La sorellina di Giuseppe, che sua madre mandava obbligatoriamente con lui, sembrava capire la mia frustrazione e, forse perché anche lei era un po sola, tornava festosa da me a dirmi ogni cosa che aveva visto con la maschera sotto l'acqua: i ricci di mare, gli oggetti sul fondo, o che altro. Strizzava i suoi lunghi capelli di ragazzina portandoli di lato con la grazia di una fatina del mare e con la sua voce allegra, mi invitava più volte a scendere in acqua con lei, " vieni di qui che è più facile e si tocca" mi diceva certissima della affidabilità delle sue "ispezioni", e io la seguivo fino magari a sedermi su uno scoglietto mentre lei saliva e scendeva dalla superficie per prendere fiato!
Mi prendeva conchiglie sempre diverse o vecchi pezzi di vetro che rimestati per anni nel moto ondoso del fondo si erano arrotondati fino a sembrare giade chiarissime e preziose. Tenendoli tra le mani riflettevo su come si fossero trasformati e mi chiedevo se anche io avrei avuto quella occasione, se anche per me ci fosse una trasformazione possibile che da "coccio d mi potesse rendere "gemma". Il mio sguardo, mentre lei pescava i tesori, si volgeva alle persone che ci circondavano: tutti sembravano sentirsi in dovere di prendere il sole e mostrare così i loro corpi senza l'imbarazzo che provavo io. Come avevano vinto quel senso di vulnerabilità e vergogna che incuteva il costume da bagno? O non lo avevano mai avuto? Si lasciavano bagnare come quei vetri fino a sembrare lucidi e scintillanti al sole. Abbarbicato allo scoglio cercavo di mettere in acqua la maggior parte del mio corpo per essere brillante al sole anche io.
Di certo quell'imbarazzo, non l'aveva Giuseppe, che ne indossava un costume bianco e fin troppo trasparente se bagnato, e che non appena steso il telo sullo scoglio, si spogliava impaziente con le sue gambe pelose e i bei piedi per correre con Alessandro alla Piattaforma: una lastra di cemento posata tra due scogli da cui le onde potevano coglierti alle spalle, come l'imbarazzo coglieva me in quei momenti. Io ero l'ultimo a rimanere in costume e nonostante fossi agile in pineta, i miei piedi sembravano troppo delicati per i ciottoli della spiaggia o le creste rocciose degli scogli, tra i quali più spesso mi trovavo carponi a tentare di valicarli.
La naturalezza con cui quella bambina affrontava il mare così vasto e mosso, mi diede coraggio è un giorno mentre i ragazzi si spingevano in acqua dalla piattaforma io e lei, ci mettemmo in un punto riparato dalla confusione e li accadde!
Con la sua mascherina mi indicava dove mettere i piedi e mi trovai con fuori dall'acqua solo la testa. "Vado a controllare com'è sotto" mi disse la sirenetta!
Ci sono momenti magici nella nostra vita che si rivelano in modo inaspettato e che suggellano in noi cambiamenti profondi come il mare: in quell'abbraccio liquido la mia mano si staccò dalla durezza della pietra a cui era aggrappata, senza che quasi me ne accorgessi. Mi trovai sospeso e contrariamente a ciò che la paura mi aveva detto circa il mare, questi mi cullava come non mi aspettavo. Per la prima volta, un elemento del mondo che temevo sembrava volermi affrancare da ogni peso, da ogni incapacità dicendomi silente col suo moto, di non far niente, che niente c'era da fare che non fosse già fatto. Eravamo io e lui e mi parve, che tutta la gente chiassosa e i ragazzi spavaldi fossero spariti, come inghiottiti da un silenzio nel quale il mio respiro e le onde si sincronizzavano leggeri. Non sapevo se era l'acqua salata a rigarmi il viso col sapore di una lacrima o le mie lacrime ad aggiungersi al mare, ma fu come se una cataratta dei cieli si fosse aperta nel cuore ed ogni dolore lavato via dalle onde di quel mare di sale!
Nella bolla di quell'istante di felicità assoluta che poteva sembrare una nascita o una morte senza che ci fosse differenza, una vocina arrivo' chiara alle mie orecchie: " Fabri ma ci tocchi?"
I piedi che fino a quelle parole mi erano parsi fluidi come le alghe, tornarono a pesare nel cercare la risposta e non trovando nulla sotto di essi, si comportarono da bravi macigni quali erano stati portandomi a fondo. Il battito del cuore e il respiro, stonavano tra loro cercando di vincere uno sull'altro, come se ne bastasse uno soltanto a sopravvivere e di nuovo, mentre l'acqua mi invadeva in ogni vuoto del corpo come un barattolo, un'altra scoperta mi colse sotto le onde. Gli occhi si spalancarono mettendo gradualmente a fuoco un panorama sommerso di suoni, colori e immagini e il fiato misto ad acqua che avevo in bocca mi costrinse a rinunciare all'acqua, trovandomi di nuovo immobile e in pace. La faccina di Federica ingrandita dalla maschera subacquea mi fece addirittura ridere e riemersi in una fragorosa risata come venendo al mondo per la seconda volta ma senza piangere.
Una volta raggiunta la terra ferma, la mia sirenetta mi abbraccio' felice e alle spalle, come le onde, Giuseppe e Alessandro, che avevano visto tutta la scena festeggiarono il mio "varo" da veri compagni. Ancora una volta la banda del 52 si era comportata come una famiglia ma più felice di come sarebbero stati i miei se avessero visto tutto ciò, non immagino neanche quali genere di punizioni e reprimende avrebbero potuto darmi ripetendo che potevo anche morire, senza aggiungere che potevo anche invece, aver imparato a nuotare sebbene non come ci si aspetta che succeda.
Sul treno di ritorno, mi sembrava di sentire ancora il rullio del mare nello stomaco. Le mele verdi avevano lasciato posto al sale e alla sensazione di aver vinto da solo, le paure che avevo di non essere come gli altri. Di essere per forza destinato a guardare la vita come guardavo il mare prima di quel giorno: senza entrarci dentro con tutto me stesso. Il mare mi aveva fatto morire e rinascere in un solo giorno o forse ero solo pronto a vivere davvero?
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