martedì 23 luglio 2013

Tacchi e Rintocchi capitolo 7: in coda per il futuro.

Quand'è che un desiderio normale come quello di essere amati,  diventa ossessione? Quando nemmeno ti accorgi che ogni tuo gesto, pensiero, azione è parte della sceneggiatura che finisce con: e vissero tutti felici e contenti. Quando soprattutto sei convinto di non averne affatto bisogno!
Un bisogno normale come quello di essere amati in modo esclusivo da qualcuno che non ci abbia generato, diventa il tempo forte di ogni musica che ascolti, e il bello è che la convinzione che debba succederti non è frutto di una ostinazione ma della realtà materiale che   talvolta sotto forma di partecipazioni, ti informa che due persone estranee tra loro hanno deciso di vivere insieme finché morte non li separi. Questo ti convince che ci sia qualcuno la fuori che sia stato generato per riconoscerti tra tanti ed essere da te riconosciuto.
In particolare alle bambine viene insegnato ad essere pronte quando questo succederà anche se ho il sospetto che in realtà gli si insegni ad aspettare di essere scelte, mentre ai maschi si accordi il diritto di scegliere. 
Sebbene questi criteri arcaici siano stati messi in discussione fino a sembrare definitivamente superati, io sono convinto che quelli della mia età non abbiano affatto avuto parte nel cambiamento che pur li ha visti ribellarsi alle favole.
Ci siamo piuttosto accodati come in fila ai saldi per una occasione da non perdere con la stessa eccitazione di coloro che si erano aggiudicati i primi posti della fila, e abbiamo creduto che l'articolo “cambiamento” sarebbe stato disponibile anche per noi. Ma come potevamo pensare che una posizione tanto arretrata nella fila ci consentisse di aggiudicarci il meglio?
Non saremo forse usciti dal negozio della vita con in mano una t-shirt troppo stretta o troppo larga, presa giusto per non ammettere di non aver trovato la nostra taglia, dove la frase “cambiamento” risultasse troppo tesa o invece talmente lasca da non essere leggibile da nessuno?
Comunque in buona fede abbiamo “indossato” il cambiamento nella convinzione che la felicità fosse proprio quella di non avere più bisogno che qualcuno ci riconoscesse come parte del suo lieto fine, di un fine unico soprattutto.
Con le nostre magliette strizzate o sciatte, io e le mie amiche guardavamo con compassione coloro che si sposavano, con orgoglio coloro che divorziavano, con scetticismo chi “stava bene da solo”, con pena chi diceva che il suo uomo non era poi così male. Noi credevamo di essere diversi, più liberi, e la città con i suoi mille incontri sembrava darci ragione, intanto che il tempo scorreva lento e in fretta.
Ricordo ancora quando dopo l'amore fisico, ciò che immaginavo come “intimità” con il lui di turno, fosse una cena alla quale mi chiedesse di non mancare. L'avergli concesso il mio corpo, l'aver ricambiato i suoi baci, e averlo visto fremere e supplicare il mio permesso al piacere ultimo, non era più  intimo di una bistecca per due? No, credevo, credevamo che quello fosse solo una dimostrazione del nostro avvenuto affrancamento dalle favole, del nostro far parte di un futuro più moderno, ma ebbi modo di rendermi conto che quel futuro io lo stavo solo interpretando, che mi era già passato davanti e non ero riuscito ad afferrarlo. 
Eppure ogni volta che ci sdraiavamo in un letto che non fosse il nostro, era proprio quella maglietta a farci sentire scomodi, quella la prima cosa che sentivamo il bisogno di toglierci, e mi chiedo se i nostri amanti una volta spogliate non vedessero in noi una di quelle bambine pronte per essere scelte. La mattina seguente o solo poche ore dopo, lui che aveva diritto ad una scelta più ampia, aveva già deciso e senza bisogno che ce lo dicesse tornavamo a indossare il “cambiamento”, ma questa volta per coprire il nostro imbarazzo e la delusione per quel mancato: ci rivediamo.
Per molte di noi il giorno dopo sarebbe state un po' oltre il nostro trentesimo compleanno. Tic tac..

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