venerdì 19 luglio 2013

Tacchi e rintocchi capitolo 6: Donne in carriera.

Prima che la domanda trovasse la sua risposta le mie amiche avevano raggiunto tutte la posizione che volevano nel mondo del lavoro( credo). Quelle di loro che non avevano ottenuto ruoli alti nelle aziende per le quali lavoravano, avevano però lavorato in modo da essere ben conosciute e stimate nel proprio ambiente, tristemente noto per la carneficina femminile negli strati intermedi d'azienda e l'inefficiente maschilismo dei suoi vertici.


La moda, o quello che era la moda negli anni 90 quando cominciarono ad affermarsi, consentiva a ciascuna di mettere a frutto le proprie peculiarità. Ahia, analittica Vergine pignola pur essendo socialmente furba come una faina, otteneva il meglio nella pianificazione numerica e nella parte di contatto con il “prodotto” moda, mentre Secondo te, che era fuggita dal performismo carrieristico di quegli anni, aveva preferito agevolare quel lato arietino un po maschile che la rendeva imbattibile in simpatia e pragmatismo dedicandosi a full immersion di lavoro in un tempo limitato come quello delle campagne vendite, dopodiché rassicurata dal guadagno e dalla propria agiatezza, meditava il da farsi su una spiaggia esotica(cosa che la faceva sempre apparire in salute). Assolutamente, invece, forte della sua imponente statura, di una capigliatura da guinness e di tre lingue parlate persino mischiandole nella stessa frase, stupiva il suo ambiente con una ostentata e brillante competenza che nessuno osava contestarle. Nessuno poteva guardarla dall'alto in basso nel vero senso della parola, e questo non forniva alle aspiranti stronze che la volessero schernire neanche l'osservazione della sua ricrescita! Che lavorasse per una azienda di livello o che vendesse stracci, lei sapeva ammantare grazie, al suo acume mediorientale, ogni cosa di dorato e talvolta nel farlo non risparmiava neanche se stessa.

Le maglie del mondo moda, fatto di uffici stile, addetti stampa, commerciali e venditori, non erano allora sufficientemente strette da non permettere fantastiche occasioni. Poteva succedere che se tu ci lavoravi dentro e avevi un amico gay con taglia e numero di piede da perfetto campionario,(come me) questi venisse omaggiato  da te di capi o calzature che poi non venivano prodotti, o che dopo aver giaciuto negli uffici stile per un po ad utilizzo dei servizi fotografici diventassero  disponibili.

Così le mie ragazze fecero di me quello che sono oggi. Ahia mi insegnò tutto ciò che so sui tessuti rendendomi schiavo del Cotton satin, per dirne uno, oltre a mostrarmi col suo stesso stile possibili contaminazioni tra i generi di abbigliamento. Con Secondo Te persi finalmente quel timore ad entrare nei negozi di lusso, scoprendo che l'acquisto in sé era solo una parte del piacere che si può provare di fronte a tanta bellezza disponibile agli occhi. C'era il piacere del cortese atteggiamento delle commesse, i colori, gli odori di quei templi di una manifattura allora ancora molto italiana, che mi facevano sentire immerso in un bagno ristoratore di eccellenza.
Assolutamente era invece colei che meglio sapeva solleticare la mia vena “eccessiva” e i suoi regali erano “assolutamente” particolari, non mancavano di frange righe e maculati che però potevano convivere in un guardaroba maschile, senza dare al termine la connotazione inutilmente virile che dovrebbe avere ma senza nemmeno trasformarmi in una macchietta di una notte romana!

Il loro affetto per me e per il fatto che la natura mi avesse regalato un fisico per nulla atletico ma che si sposava bene con i dettami moda di magrezza e particolarità, le rendeva particolarmente inclini a coccolarmi da quel lato, e posso dire che mi crebbero fino a quando cominciai a definire il mio “stile” più precisamente e autonomamente. Inoltre, credo che, come solo le donne sanno fare con i loro uomini, avessero voluto prendere due piccioni con una fava: dal momento che ci avrebbero visto insieme, era il caso di rendermi meno imbarazzante, per tutte loro. Quello che forse giunse inaspettato e che credo le abbia rese fiere di se, fu che io ero letteralmente assetato di ciò che mi diedero da bere in questo senso!


La scarpiera di una, l'armadio dell'altra, erano per me il modo più fico di giocare alle bambole in scala reale, e certe volte avrei concepito che  diventare il loro Guardarobiere Esclusivo, sarebbe stato il mio miglior successo professionale da raggiungere, ma per fortuna un lavoro vero ce l'avevo già!


Intanto che le mode passavano, insieme agli anni,  rendendo i miei “scavi” nei loro armadi interessanti come quelli dell'Acropoli, si rideva del fatto che avessero potuto indossare certi capi, così come del fatto che  ognuna di loro in fondo pensasse che l'altra non sapesse proprio vestirsi!

La “stilosità” delle mie ragazze, ovviamente influenzava anche il tipo di uomini che attraevano i quali  passavano dall'essere i classici Yuppies milanesi attempati e  troppo spesso sposati, quanto l'uomo distinto e un po' molliccio della finanza che conta. 

Uomini che ogni volta che mi venivano presentati, avevano due atteggiamenti tipici: lo yuppie fascinoso e brizzolato mi stringeva la mano mantenendo la cintura a notevole distanza il che gli faceva produrre un inchino fuori asse degno dell'equilibrismo degli eroinomani di quand'ero un ragazzo, mi sgranava un sorriso bianchissimo, e improvvisava una “apertura mentale” di cui io non sapevo che farne. In quei casi sfoderavo le barzellette sconce, nel dubbio tentativo di compiacerlo virilmente. L'idea che fossi gay, li eccitava a vantaggio degli orgasmi delle mie amiche suppongo.


L'uomo distinto invece, meno prodigo di inchini ma cordiale, cercava di accettare la mia presenza come si farebbe con una sorta di “dama di compagnia”, la cui autorità non si discute apertamente ma dalla quale non piace essere esaminato. Se seduto accavallava le gambe come per proteggere le sue “nobili origini” da sguardi indagatori, e cominciava a farmi domande su come conoscessi la mia amica. Domande alle quali io rispondevo con la mia frase preferita: mi ha conosciuto ad un gruppo di autoaiuto. Quando questo succedeva in casa l'amica urlava: piantala, dal bagno o dalla camera, se eravamo in un locale, rideva fragorosamente per connotare la mia uscita nel genere battutona.
In entrambi i casi la mia espressione facciale era neutra ed immobile come il mio sguardo negli occhi dell'interlocutore!

No, non amavo sabotare le mie amiche, mi andava però che si sapesse che, quanto a brutte compagnie,  loro erano già appagate da me. Inoltre, quegli uomini manipolatori e vanitosi che spesso credono che le donne siano una “materia plasmabile”, non amano la concorrenza e questo era un  deterrente sufficiente!  Queste occasioni erano un po' come i casting di modelle: dopo un po ti sembrano tutte uguali e ti domandi se la scelta non avvenga per sfinimento.
Forse “tutte” noi, in fondo saremo finite a fare il conto col tempo, con noi, con ciò che eravamo e ciò che non potevamo più essere, con il fatto che la vera indipendenza è una promozione che non arriva da nessun capo che non sia tu stessa!



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