In una grande città come Milano, il denaro in quegli anni, girava ancora, ricordo giornate di lavoro titaniche, che non avrei più visto negli anni a seguire, eravamo ancora lontani dall'avvento del terrorismo globale, e dalla schiacciante morsa della crisi economica, i domestici delle mie clienti erano per la maggior parte filippini, e i cinesi sembravano solo turisti da prendere in giro per la loro curiosa abitudine di girare in gruppetti, per le vie del centro.
Pagare un affitto, era comunque oneroso anche allora, e per niente facile da ottenere, e quindi gran parte del mio guadagno era già destinato alla sola uscita, di giorno non sentivo altro che parlare di acquisti griffati, di vacanze, o della nuova casa al mare di questa o quella, ma la cosa che mi incuriosiva, era la naturalezza con cui queste persone ne parlavano,mentre io con una naturalezza simile, parlavo solo di brufoli e bollette, la sera invece, la passavo a far quadrare i conti, la mia prima televisione, mi fu regalata usata, da amici per un mio compleanno, ed io ne fui comunque entusiasta.
Avere denaro, non faceva parte dell'educazione che avevo ricevuto, mia madre infatti associava alla ricchezza qualità come l'avidità, l'egoismo, la presunzione e forse anche alcune malattie come il colesterolo, la gotta e l'alluce valgo, quindi mi ero fatto l'idea che fare soldi, portasse sfortuna, e a guardare le facce delle mie clienti, c'era da crederci, dietro i loro costosi rossetti e la settimanale manicure impeccabile, gli occhi erano quelli di una moglie tradita, di una vedova distrutta dai conflitti patrimoniali con i parenti, o di una ragazza senza niente da sognare, ma devo riconoscere, che lo stesso sguardo velato, ce l'avevo anch'io ogni volta che aprivo l'armadio.
La cosa veramente orribile, era l'armadio di uno che soldi non ne ha, perché quella maglietta o quel giubbotto urlava Fai cagare, ogni volta che vedeva la luce del sole.
Un immagine modesta, era ciò che le nostre clienti si aspettavano, in quanto parrucchiere e portinaie erano considerate gemelle diverse, ma di ugual sorte, e in fondo, chi vuole vedere una parrucchiera rionale competere con le sue clienti? Nessuno, infatti per questo, le parrucchiere portavano i capelli raccolti con le pinze e quegli orrendi completi da lavoro, e non di rado alcune clienti oltre a riciclare i regali sgraditi in negozio, portavano alle mie colleghe gli scarti dei loro armadi, che pur essendo qualitativamente alti, erano di almeno dieci anni prima, la fortuna di essere uomo, mi risparmiò l'orrenda novena dei ringraziamenti fasulli, ma il problema restava, e mi chiedevo: le mie clienti avrebbero mai saputo di essere tanto ricche se noi non fossimo stati tanto raffazzonati?
Nonostante l'equilibrismo economico, riuscivo ad avere il mio pantalone nero con la riga in sintetico, ed una maglia sempre pulita con cui lavorare, e lucidavo solo le scarpe che tenevo in negozio perché pur rischiando l'esplosione ogni volta che accendevo una sigaretta, ero riuscito ad evitare gli zoccoletti bucherellati e la cappettina bianca, e in centro ci andavo a camminare, con la mia prima borsa( anticipai di una ventina d'anni, l'ingresso degli accessori nella moda uomo) in plastica similpelle, che ti faceva sudare le mani, anche d'inverno, e vedevo i commessi della Rinascente, farsi prestare un terzo sopracciglio da alzare con disgusto, al mio passaggio, ma credo che molti di loro all'uscita sul retro, non avessero più allegria di me, ciò nonostante non riuscivo proprio a sentirmi invidioso di nessuno, certo, non ero serenissimo come Venezia, ma neanche dimesso come Genova!
Il mio sogno di ascesa sociale, prevedeva la ricchezza? Diciamo che la contemplava, ma sempre troppo da lontano, avevo per esempio dei clienti gay molto benestanti, ma nessuno mi prendeva in considerazione, perché avrebbero rischiato la reputazione nel quartiere, ma di solito in qualche locale al buio, erano meno schizzinosi, perché come cantava Milva "le gatte al buio si assomigliano", quindi compresi che per quel tipo di treno, io non avevo il biglietto, eppure immaginavo che ci fosse un qualche rapporto tra ricchezza e fantasia, immaginavo cioè che se le persone ricche si vedono in mille posti diversi e in mille modi, e finiscono per farlo, forse se io potevo immaginare scenari più ampi, almeno avrei potuto inciampare e guarda caso, finire proprio dentro a uno di quegli scenari. Comprai alcuni libri new age che descrivevano il potere della visualizzazione mentale con semplici esercizi da fare anche sul tram, per il quale il biglietto non mi mancava: immagina, fabrizio, immagina, non così un po più in la, più grande quella casa, più bello quel pantalone, più pregiata quella borsa, sentine l'odore, la consistenza senti come scivola il satin sulla gamba...ma finivo per addormentarmi in posizioni ambigue svegliandomi ai capolinea più remoti della città.
Provai allora con l'atteggiamento. Come cammina chi non ha nuvole scure sulla testa? come lo chiede quel caffè al bar, come osserva una vetrina? Mi recai nella prestigiosa Via Vincenzo Monti, dove ci sono negozi eleganti, gioiellerie, e curiosissimi caffè, e mi avvicinai ad una vetrina dove due signore distinte discutevano sul capo esposto come segue:
- beh, ha un bel quid, e il taglio svasato lo rende informale, che ne pensi Maria Beatrice?
- mah ti dirò, Benedetta, il due fili è un pò difficile da portare sulla pelle, magari con sotto una canottina in tinta forse, è che il cipria ti costringe a truccarti di più!
Ma, lo comprate o no, sto maglione? Mi chiedevo, alle loro spalle, c'è un solo motivo per non farlo che riguardi il denaro, siete uscite con i soldi contati come me? Si, voltarono come intuendo i miei pensieri, ma in realtà la mia osservazione era stata troppo ravvicinata, e mentre il vento spostava dai loro visi abbronzatissimi qualche mechès di troppo, si presero a braccetto, e aumentarono il passo velocemente. Insomma, ma a che serve avere possibilità, se invece della gioia di poter fare, si instaura l'apatia?
Aggiunsi l'indifferenza alla lista di cose nocive che mia madre aveva messo in relazione con la ricchezza, e per consolarmi entrai in un bar, dove dovevano essere tutti avvocati, perché il barista continuava a dire: un caffè all'avvocato, avvocato cosa desidera, un caffè macchiato in tazza grande con del latte freddo a parte e lo zucchero di canna tiepido in cubetti da due per due, per l'avvocato, e come sotto un incantesimo, alla domanda,cosa desidera?
Risposi sfinito, Un Avvocato per favore!
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