mercoledì 12 settembre 2012

Lussi "estremi": L'orfanesimo


Ci sono persone talentuose che sanno fare di ogni circostanza un occasione. Ma per cosa?
Tutti crediamo di crescere, di emanciparci da uno stato all'altro, o di volgerci comunque verso una più nitida immagine di noi stessi, ma in tempi in cui l'immagine ha violentemente preso il sopravvento sulla personalità, questo percorso peraltro impervio da sempre, non è più tanto scontato.
Ovvero, prima dell'avvento della rete, il proprio profilo, era si qualcosa che si sceglieva anche allora come il “migliore” da mostrare, ma il massimo a cui si poteva aspirare, restava nient'altro che una eccellente istantanea, e tra l'altro avere un buon profilo non era cosa da tutti.
Le persone che provenivano da ambienti culturalmente elevati, lo tenevano basso in quanto era già sufficiente ad un uomo, un buon titolo, per incutere il timore e la distanza necessari, mentre per le donne era il cognome,(specie se acquisito dal matrimonio) a fare la differenza.
Il resto del mondo si divideva tra lavoratori sottoposti, sciagurati e orfani.
Questi ultimi, da sempre hanno nutrito l'immaginario letterario, per la terribile sorte che li rendeva tali, ispirato racconti pieni di desiderio di riscatto e lieti fini, o tragici finali considerati l'ineluttabile destino degli sbandati. Ciò che rende l'orfano una figura misteriosa deve risiedere nella frattura che il non avere i genitori crea nelle certezze delle società di tutti i tempi. Mi spiego meglio. Ogni società che forma nuclei familiari si aspetta che i suoi “piccoli” vengano indirizzati dalle famiglie verso un ruolo produttivo a vantaggio della collettività. Delle pagine bianche su cui i genitori avrebbero il diritto/dovere di imprimere la propria “firma”. Di conseguenza un orfano sarebbe una pagina bianca su cui chiunque potrebbe scarabocchiare. L'assioma secondo cui i genitori “sviluppano” il figlio, spezzandosi genera caos, e il caos è da sempre frutto di angosce e mistero.
Solo nelle epoche più recenti un certo caos è stato sdoganato come creativo, anche se già le teorie darwiniane vorrebbero il caos come “inizio” di una evoluzione migliore.
Comunque ciò che suscita maggiore emotività, è che l'orfano subisce una perdita incolmabile e riceve per questo un segno meno sul suo ipotetico valore futuro, e produttività sociale.
Il senso della perdita come la personalità è stato centrifugato dai mezzi di comunicazione, finendo per assumere connotazioni alquanto curiose.
Oggi più della felicità, o di ciò che si raggiunge di buono i social network sono invasi da post riguardanti ciò che le persone ritengono di aver perduto, o di non avere avuto, in parte a causa del fatto che si è imparato a considerare ciò che abbiamo come un diritto inalienabile frutto di un qualche merito indiscusso. Per tale motivo ci sono una marea di persone afflitte da ciò che il dizionario definisce come orfanezza!
Il senso cioè di “non avere”. Dato che ormai ogni persona ad ogni strato sociale può avere un profilo su Internet, questo ha generato la sensazione di essere tutti “visibili”, e in qualche modo dovrebbe avere contribuito a evitare l'isolamento e il senso di mancanza di affetti o relazioni.
Abbiamo invece trovato di nuovo il modo di concentrarci su ciò che conta di meno. Risolto il problema di “essere” con il surrogato social di “apparire connesi”, ora siamo desiderosi di avere.
Ecco, che magari dopo un ventennio trascorso a tentare di essere qualcuno, capiti pure di riuscirci e dato il progresso anche di farlo sapere a tutti, ma invece di ritrovare equilibrio ci si trovi a lamentarsi di aver perduto qualcuno o qualcosa. Come se perdere uno o entrambi i genitori dopo i quarant'anni fosse una terribile ingiustizia che il destino non doveva riservarci! Ma mi chiedo: che ne è del naturale percorso della vita?
Fino a che età un uomo o una donna possono considerarsi orfani? Di solito il termine è riferito a minorenni, date le implicazioni, ma tuttavia ci si può trovare senza genitori a qualunque età. Qual'è dunque, la profonda differenza?
Decisamente la confusione nasce tra la profonda differenza tra essere adulti o meno. Se ci considerassimo sempre giovani bocciuoli, ancora da schiudersi, la sensazione di orfanezza prenderebbe il sopravvento sulla “perdita naturale”, anche oltre l'età in cui è sensato dirsi tali. L'orfano si chiede cosa ancora poteva imparare, quali necessarie malizie il suo genitore poteva insegnargli circa la vita e i suoi complessi misteri, e specie se giovane può sentirsi sprovvisto dei fondamentali strumenti necessari a timonare la sua personalità, nel mare della vita, o ancora dubitare che qualcuno lo ami davvero. Ma se a dichiararsi orfano è una persona adulta, di cosa si sta parlando? Di rimpianti o di rimorsi?
Temo che le definizioni che imperano sui social network, abbiano stravolto le concezioni e lo scandire del tempo. Così ci si riunisce e ci si chiede l'amicizia, come se un click bastasse, dopodiché si presenta il proprio miglior profilo, e si afferma l'immagine che intendiamo diffondere di noi o di ciò che facciamo. Alcuni selezionano per compiacenza, numero di contatti, reali conoscenze, opportunità e sa Dio cos'altro...Tutti si ritengono giovani belli e di successo, e accolgono solo coloro che glielo confermano.
Per esempio, io sul mio profilo facebook dico spesso che scrivo, e così spero che qualcuno legga, che mi confermi che lo faccio bene, ma se invece non lo fa? Nel mio caso capisco che logicamente ciò che spero non c'entra con ciò che mi spetta per ciò che faccio, e continuo a scrivere, senza preoccuparmi se qualcuno se ne accorge, dissente o gradisce,( non che queste parole abbiano lo stesso valore s'intende). Ebbi modo grazie al social network di contattare una mia vecchia conoscenza e appresi che aveva fatto proprio ciò che diceva di voler fare quando era solo una ragazza. Questo mi riempì di gioia, perché non vi è, credo maggiore pienezza di quella di “divenire” ciò che abbiamo sempre sognato di essere, quindi tentai di saperne di più, ma niente.
Forse il fatto che io, ai tempi, fossi stato solo il lavorante della sua parrucchiera, non facilitava la cosa, ma non ci pensai. Le mandai un link dove le chiedevo senza fretta un parere sui miei scritti.( deve aver pensato mendicassi qualcosa)ma niente. Mi dissi che forse data la sua posizione doveva essere troppo impegnata per parlare con me,o leggermi, così provai a commentare di tanto in tanto qualche sua attività non professionale, ma anche qui, la mia conoscente, la stessa che mi chiamava “amore”, se la incontravo in qualche locale milanese, (perché tante donne comincino a sperimentare la popolarità con noi gay, non lo capisco)sembrava voler mantenere le distanze.
Mi accorsi che le sue amicizie altro non facevano che lodarla e compiacerla, ma pensai che fosse logico avere un po' di lacché, quando si diventa “qualcuno”, e ancora non ci diedi peso.
Fino a quando però una sera pubblicò qualcosa di apparentemente generale sul fatto che un orfano scopra di essere stato la cosa più importante, solo per sua madre.
La frase mi colpì dapprima per la sua stesura, dopodiché andai su un noto dizionario etimologico a chiarirmi la questione dell'orfano, e allora premettendo l'ignoranza, ma ancora confidando nella sua grande evoluzione le chiesi chiarimento. Forse potevo imparare qualcosa, pensai.
Quel “qualcuno”, mi rispose in battuta, come mai prima aveva fatto, dicendomi che avrei dovuto evitare quelle domande visto che non sapevo quando lei avesse perso i genitori! Come se non la conoscessi, ma io sapevo eccome che di genitore le era rimasta solo la madre, avendola io pettinata più volte, e provai un grande dispiacere nel comprendere che doveva essere morta, così cercai di vincere lo stupore per la sua reazione ostile( mi sono abituato a considerarmi irritante,date le reazioni della gente alle mie domande e me ne prendo facilmente la colpa) e le scrissi in privato per spiegarle che non volevo affatto provocarla chiedendole fino a che età una persona potesse dirsi orfana, ma scoprii che lei mi aveva “bloccato”(modalità con la quale si impedisce ad un contatto di visualizzare il proprio profilo) ed eliminato.
Nonostante fosse diventata “qualcuno”, doveva mancarle “qualcosa”! La madre, immagino, o qualche nozione che quella donna tanto educata e mite poteva ancora darle?
Sì, ci si sente “orfani” quando si vuole procrastinare il sentirsi “figli”. Figli sempre giustificati o protetti, adorati, fatti oggetto di una devozione che gli impedirà non già di divenire “qualcuno”, ne di “avere” mariti, professioni, persino altri figli, ma più banalmente di sentirsi contraddetti, o interrogati da un altro, soprattutto se ritenuto “non alla pari”.
Così come, ci si sente vecchi solo se si insegue la gioventù eterna, o belli solo se magri, o capaci solo se approvati.
Per questo credo che sentirsi orfano sia un lusso che un adulto non dovrebbe (pur potendo) concedersi. L'Orfanesimo,(definizione mia) cioè il sentirsi privati di un particolare e indiscutibile favore, (ammesso che i propri genitori ce lo abbiano dato) che tutti devono riconoscerci, pena la nostra collera, è una religione pericolosamente commiseratoria, come la gioventù eterna. Entrambe vivibili solo nelle vite virtuali.
Ciò che rimpiango di più dell'amore mai avuto da non una ma ben due madri( sono stato abbandonato e successivamente adottato), non è l'incondizionato faro di luce su di me, ma la fiducia che esso genera di diventare un uomo forte e capace di stare sulle sue gambe, di mostrare un unico profilo di me stesso con la sicurezza che pur essendo discutibile, può continuare ad essere. Fiducia e sicurezza che ho dovuto trovare da solo proprio attraverso l'accettazione del rifiuto. Una circostanza che è accaduta ma che per me è diventata una occasione, per migliorare la mia personalità ben lungi oggi dall'essere giusta o piacevole per tutti, ma sufficientemente nitida da salvarmi dal senso di orfanezza, dal giovanilismo estremo, dalla lusinga menzognera del successo virtuale, e infine dal sentirmi privo di affetti e relazioni, quanto dal desiderarne di compiacenti.
Alla mia conoscente qualora dovesse riconoscersi tra queste parole: le mie più sentite condoglianze, per la tua perdita, e il mio più caloroso incoraggiamento a riconoscerti per ciò che inevitabilmente sei diventata: una donna adulta che dovrà farsi amare e amare, (da chi vorrà, non per forza da me), con la mitezza e la grazia di sua madre, senza poter più contare sull'indulgenza di nessuno. Parola di orfano e parrucchiere!

Nessun commento:

Posta un commento