“Cosa vuoi che voglia per te? Che tu abbia una moglie e dei figli, perché questa è la vita normale, non altro sai”?
Così tanti anni fa, vincendo un certo imbarazzo nel parlare di abitudini sessuali, mi scriveva la mia genitrice, non chiarendo se le abitudini sessuali normali fossero meno noiose di una qualunque altra abitudine. L'ossessione della normalità non ha afflitto solo chi si sentiva diverso, anzi mi viene da pensare che fosse più difficile da sostenere per chi la concepiva come unica possibile!
I più grandi sostenitori della famiglia naturale, hanno infatti l'aria di chi sopportando un grosso peso , cerca di sentirne meno la spinta gravitazionale verso terra, un po' come quando carico di borse della spesa sono solito dirmi che se ne ho quattro, e ne tengo due per mano, mi pesino meno!
Tuttavia, proprio questi hanno dovuto impegnarsi su fronti diversi, in quanto mentre strenuamente difendevano l'ordine costituito, ne sgasavano i fumi soffocanti in amene compagnie clandestine o con doppie vite talora virtuali o reali.
Si cominciò così a vedere che se la famiglia era un valore da difendere, come tale era anche soggetto alla naturale tendenza umana all'accumulo, infatti, certuni di famiglie cominciarono ad averne più di una nella stessa vita.
Le prime vittime di tale fenomeno, che dei social network faceva il naturale terreno di caccia, furono proprio le donne. Quelle donne che vuoi indaffarate tra cambusa e stireria, o scrivanie e governanti, ritenevano di essere “a posto”. Certune, più indagatrici di altre cominciarono a beccare il naturale marito, in strane conversazioni cellulari o in rete, o a concedersi piacevoli escursioni in video chat, mentre altre di solito più benestanti stufe di fingere naturale il fatto, che il marito imprenditore incontrasse i clienti a mezzanotte per parlare di lavoro fino a mattina,e di consolarsi con lo shopping, cominciarono a concedersi un Toy boy. Per un periodo di assestamento geologico nello strato di mogli e amanti, il conflitto fu tutto interno proprio alla famiglia naturale, con qualche eruzione “divorzista” o un bradisismo della struttura familiare verso la “separazione in casa”. Ma le donne, cominciarono a pensare che ci doveva essere qualcosa di molto gratificante, che né il divorzio ne la separazione, (che ancora le figurava comunque come mogli) poteva dargli, qualcosa che lenisse meglio di un assegno, la propria perdita. Qualcosa di più interessante di una cinquantina di sfumature del solito grigio.
Così, che si trattasse di ex o di single le donne svilupparono creativamente una nuova “specie” sociale: le Coguare!
Diverse dal “lumacone coniugale”, il quale invischia le prede con la sua bava vittimistica e l'aria innocua e fragile, le coguare si inseriscono tra i predatori audaci della savana sociale. Grazie all'estinzione del “Leone di Riccione”(tipico maschio piacione abbronzato e tamarro), e alla già pacificata “procreazione”, si concentrarono su prede facili come “l'Impala impalato”( giovane ed energico maschio imberbe dai muscoli allungati). Pioniere di questa nuova rivalsa, celebri star hollywoodiane, mostrarono a tutte i prodigi mimentici che la chirurgia estetica poteva offrire affinchè la caccia fosse più efficace! Anche coloro che non potevano permettersela però intuirono che se una donna matura doveva risultare letale era necessario che apparisse innocua come una ragazzina, quindi il mimetismo nei livelli sociali più bassi si espresse con l'abbigliamento rubato dall'armadio delle figlie adolescenti, e il timbro di qualche discoteca sulla mano.
Funzionò eccome se funzionò! Branchi di Impala impalati furono letteralmente ghermiti dalle coguare e schiavizzati a suon di zumba dance ombelicali e pranzi e motel pagati, ma si sa che la natura, come dice mia madre sa quello che fa, e le coguare ben presto accoppiandosi con gli impala impalati generarono una nuova ibridazione famigliare: il branco allargato o più conosciuto come la famiglia “volemose bene, finché dura”.
Nel frattempo però, intanto che la famiglia tradizionale creava nuove tradizioni, (curioso come il termine tradi-zionale, sia del tutto simile al termine tradi-mento), la specie “Ghèi Ridens”che fino ad allora si era salvata dall'estinzione accoppiandosi dietro ai cespugli dei parchi pubblici, reclamò il suo posto nella Savana Sociale, e nonostante qualche rumorosa opposizione da parte dei “pappagalli porporati”, riuscì a costruirsi un habitat nelle rovine della famiglia tradi-zionale, ri-arredando con un certo gusto per l'eccesso le abitazioni lasciate sfitte dai lumaconi e dalle coguare( che si adattarono a più modesti appartamenti). Ma i Ghéi Ridens non riuscivano a fare i cuccioli, nonostante ci provassero non sai quanto, tranne alcune varietà americane che parevano capaci di convincere alcune femmine a partorirli per loro, forse per osmosi.
Come per i dinosauri, ogni specie emergente dalla brodaglia primordial-tradizionale sente la minaccia di una probabile estinzione, dovuta ad un meteorite Vaticano, o al semplice scatto evolutivo di una specie superiore, e coguare e ghèi ridens confidavano per la propria sopravvivenza nello scarso conflitto per la “preda” che la natura gli aveva concesso.
Questo fino a quando, proprio mentre le coguare si sentivano al sicuro, alcuni ghèi ridens furono affetti da una inspiegabile malattia autoimmune: la paternità.
Questo gene che il “lumacone coniugale” aveva inibito, e che gli “Impala impalati” invece subivano per volontà delle coguare, mutò la specie ghèi ridens in una specie polimorfa assai micidiale per entrembe le specie: il ghèipardo( l'anagramma del suffisso pardo farebbe padro).
Mancandogli una E e avendo invece una O il ghèipardo non poteva essere padre a meno che non trovasse una compagna con il gene a lui mancante con cui accoppiarsi.
Mia madre aveva torto. La natura non sa quello che fa, il sospetto è che lasci fare, che faccia come lei, che continui a fare quello che ha sempre fatto, mentre il caos genera la novità.
L'appetito sessuale del ghèipardo che per la prima fase della sua vita si rivolge ancora verso i suoi simili lo spinge però ad indugiare nella ricerca della prole, e a sentirsi a disagio nella livrea della sua specie d'origine. Infatti sebbene mantenga i colori del Ghèi Ridens, e il suo gusto per il maculato, il ghèipardo si mimetizza tra la savana sociale, assumendo il passo dell'Impala e rifiutando il branco come le coguare. Annoiato dalla facilità con cui si può essere ghéi ridens, e smanioso di ottenere il potere delle coguare, il ghèipardo si propone come antigenere.
Cacciatore solitario, adora circondarsi di ogni creatura, dal momento che non riuscendo a classificarlo, nessuna specie si sente da lui minacciato. Libero si aggira tra gli habitat più disparati riuscendo a passare quasi inosservato, nei mercatini, nei centri commerciali negli spazi di design, e persino in chiesa. Solo la “ Gina Bradipa” è in grado di destare il suo interesse!
Data l'immobilità anche mentale di cui questa mutazione di struzzo femmina è capace,( di cui conserva l'abitudine di mettere la testa sotto la sabbia anche di fronte all'evidenza) non è facile scorgerla e il ghèipardo ricorre per stanarla al suo miglior sistema! Tra mille pollastre rumorose che gli girano intorno lei è l'unica in grado di non eccitarsi ai suoi ruggiti!
Dopo aver allontanto le altre specie il ghèipardo mostra alla gina bradipa tutta la sua femminilità, accudendola per un periodo piuttosto breve in tutto e per tutto, inoltre, secerne per lei dalle sue ghiandole fashion un guardaroba piumato con cui le garantisce la supremazia sulle altre. La gina bradipa per sua natura, non si oppone ma emette qua e la flebili sussurri di gradimento più simili a lamentele e quando il gheipardo è pronto la feconda intanto che lei si finge addormentata. Dopo nove mesi il ghéipardo diventa ghéi-padre. Generalmente la Gina Bradipa, non accudisce il cucciolo avendo lei donato il gene E al suo compagno, ma questi per un certo periodo le consente di rimanere nel nido tutta bella, impiumata, e mantenuta.
Non ci è dato sapere quale evoluzione farà questa nuova generazione di cuccioli, ma presto la specie Ghèi Ridens sarà archiviata come le Coguare, e il Lumacone coniugale. Presentate nei manuali scientifici come semplici transizioni evolutive, ancor prima che io e mia madre riusciremo a sciogliere la questione, o che i gay vengano accettati da Chiesa e Stato.
Di una cosa potete star certi, che grazie alla distrazione con cui la natura sa quello che fa, non ci estingueremo nemmeno se i maya avessero ragione, nemmeno “se tutti fossero come te”, come dice mia madre. La perfetta condanna che questa strana umanità davvero merita è la frustrazione dei suoi tentativi di affermarsi come unico “genere superiore”. La frustrazione di chiedere e ottenere una parità intanto che si continua come cellule impazzite a dividerci e a creare più velocemente di quanto siamo in grado di scorgere, nuove varietà umane e comportamentali sulle quali pretendere una conoscenza che ci resterà ignota.
E sapete che penso? Sarebbe fantastico se il castigo fosse eterno, non credete?