Una pagina bianca, un nome, un lutto troppo grande da contenere in uno spazio bianco, e al tempo stesso, troppo piccole le parole possibili, per non fare altrimenti.
Ai tempi della crisi, si muore lavorando. Mentre i nostri politici si affannano, a difendere posizioni che ci vedono assegnati a questa o quella parte, mentre il nostro prossimo si divide tra "i giustizialisti dello scontrino" e gli "evasori per vivere", tra "couponisti compulsivi" e " maghi del fai da te", si muore lavorando.
Ma lavorando come? In condizioni precarie? Senza le giuste norme di tutela e sicurezza? Non solo. Si muore facendolo quel lavoro, cercando di farlo per la gioia di qualcuno, come nel caso del povero Matteo.
Lui schiacciato da un peso innocente, dal crollo di una struttura che doveva stare in piedi, da una volta celeste di luci che dovevano renderlo fiero di sè.
Muoiono silenti, queste persone. Non in una rivolta idealista contro qualche grande opera, non durante una meritata crociera, non per mano di un "malvagio" rapinatore. Nessun regolamento di conti, nessuna follia omicida nè raptus, nessun illustre avvocato da nutrire, nessun talk show da farcire di grasse opinioni, nessuna cattedrale per questi funerali di gente comune.
Come matteo, muoiono in silenzio, con le mani nel proprio lavoro, coloro che dedicano la loro vita professionale agli altri, alle persone, schiacciati da liberalizzazioni necessarie come quel palco, ma che come quello, potrebbero anche schiacciarle. Un sacrificio necessario, pare, resta in piedi il più forte.
Avevo creduto, che la peggior cosa fosse perderlo un lavoro, nè averlo a tempo, ne pagato male, solo non avercelo più, invece, scopro che si può morire nel farlo il proprio lavoro. Una banalità direte, forse lo è, ma il male peggiore sa assumere la forma di cose semplici. Semplici come scegliere il miglior offerente, semplici come un risparmio che dobbiamo all'Europa, semplici come montare un palco, o scegliere il giusto colore da fare a quella persona.
Semplici come accogliere i clienti. Come mettercela tutta per fare la differenza. Semplice come vederli andare via contenti. Eppure oggi, le poltrone del mio salone sono vuote, lo è l'agenda nella quale era difficile inserire persone, che oggi semplicemente non vedo più. Quella struttura che ho costruito per un "concerto di bellezza", non era una gloria personale, era un luogo per accogliere, che oggi mi riempie di dolore.
Si interrogano gli artisti, su come non perdere i propri tecnici, per loro sono più di questo, una famiglia itinerante. Annullano le date dei concerti, soffocano la gioia che si apprestavano a distribuire a tutti, in una pagina bianca. Ma cosa possono fare? Non c'è una spiegazione che serva, una misura che salvi.
Muore chi vuole raggiungere gli altri? Che sia con un concerto o con una acconciatura, con loro chi un lavoro ce l'ha, chi lo fa senza pensare a nient'altro che alla voglia di vedere ancora una "comunione" col suo prossimo, uno scambio di meriti e giusta ricompensa da dividersi.
Muoio, anch'io un poco con loro, perché gli anni spesi a raggiungere il privilegio di "servire" gli altri, non hanno valore proprio agli occhi di quegli "altri".
Sono stato "sostituito" da un competitore che non potevo affrontare, al quale è stato concesso più di quanto io posso ottenere, proprio dallo stesso Stato che mi chiede di gioire della maggior quantità di offerta, da un parrucchiere cinese, da uno sterile sconto stampato su un coupon, oggi manna dal cielo per chi ha "occhio per lo spreco".
Ma l'unico spreco che mi sembra di vedere, è quello di mé stesso, dell'onore con cui ho vestito le persone che servivo, e dalle quali senza complimenti sono lasciato lì, ad aspettare che la struttura che ho costruito per loro, mi cada addosso.
E i miei torti, e gli errori, le scelte sbagliate? Non dovrei dare la colpa solo a me stesso? Senz'altro, forse anche Matteo si chiede se non abbia sbagliato qualcosa, ma non per questo non sarebbe stato magnifico se si fosse potuto salvare? Se qualcuno lo avesse salvato?
"Sono certa che la tua professionalità, ti salverà"! mi dice una amica, ma io mi sento come Matteo, so di avercela messa quella, eppure il crollo arriva comunque, ma a differenza di lui, il mio funerale me lo godrò tutto, non dall'alto, ma al fianco di coloro che mi diranno "mi dispiace, avrei voluto fare qualcosa", a chi mi ha chiesto " cosa posso fare per aiutarti"?
Quelle che sono certo, sarebbero più lieti di seguire il mio corteo funebre, che vedermi li, vivo ma finito ugualmente. Non c'è peggior compagnia di quella dei perdenti, in questo mondo pieno di "scelte".
Io e matteo l'avevamo fatta una scelta. Lietamente ne abbiamo condiviso oneri e onori con quella che è diventata la nostra "famiglia". Per lui, i colleghi, ballerini, Laura. Per me le clienti. Chiedo umilmente scusa a Matteo e ai suoi familiari, per volermi sentire come lui. Un ultimo atto di presunzione, forse, ma spero saprà perdonarmi se oggi l'unico a cui credo, l'unico che voglio onorare sia lui.
L'unico vicino al quale mi sembra ancora di condividere un qualcosa, l'amore per ciò che si fa, per quelle molte persone per cui moriamo facendolo, o aspettando che tornino.
La pagina bianca della mia agenda, oggi mi sembra persino un onore. Un folle onore.
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