martedì 20 marzo 2012

avrai cura di me?




Non ne posso più di questi uomini, in crisi di identità, virilità, onestà, in crisi totale insomma.
E voi? Lo so, sarà banale, dire che non ci sono più gli uomini di una volta, di quella volta che non erano messi in discussione, ma nemmeno tanto apprezzati diciamocelo! Quindi, come derimere la questione?
Potrei fare come fanno in tanti, dare la colpa all'autodeterminazione delle donne, ah no meglio ancora, è colpa della crisi, o del rapporto con la madre, di qualcos'altro o di qualcun altro insomma. Così le vittime sono tutti, le donne che volano dai cavalcavia senza elastico, e gli uomini che proprio non ce la fanno a non ucciderti per un no di troppo!
Eppure nel frattempo, tutte le mie amiche dormono al fianco di un uomo dei loro sogni, e finché restano nel sogno posso stare tranquillo, ma se si svegliano col piede storto?
Non posso fare a meno di chiedermi: avranno fatto un test di pressione a questi uomini ideali?
Non so, avranno dato il giusto peso a quella sfuriata per un armadio dell Ikea montato male, o a quel divieto di scoprirsi la schiena in pubblico?
O come al solito, la questione si chiude nel solito "poverino è stressato" o " lo dice perché mi ama"?
Eppure non possono essere sempre loro, le donne, ad autodeterminarsi e a giustificarli, a partorirli e abortirli, a gestire la propria evoluzione, durante l'altrui involuzione!
In tempi in cui si plaude la Cassazione per una sentenza senza valore, che dichiara che tutti hanno diritto ad una vita familiare, (capirai che sorpresa) chi determina il grado di responsabilità da assumersi personalmente? Chi ne leggifera?
Vogliamo leggi chiare, diritti, e punizioni esemplari, come bambini incapaci di una visione del mondo più grande di noi, vogliamo che qualcuno butti via la chiave di una prigione nella quale non ci va più nessuno, perché nessuno è colpevole, fino ad una prova contraria sempre più rara da trovare, ma vogliamo anche essere liberi, di lavarci i panni in famiglia, di farceli lavare da una famiglia che non può ammettere di aver allevato una figlia che volerà da un cavalcavia o un figlio che si sentirà giustificato a buttarcela. Ma cosa vogliamo davvero?
Se ogni essere umano ha diritto ad una vita famigliare, come diavolo deve essere questa vita?
Che gli uomini tornino a fare gli uomini, e le donne a fare le donne, propongono alcuni, ma a me sembrerebbe meglio che gli uomini comincino a farsi gli uomini e le donne a farsi le donne.
Si me lo dice il mio compagno che io vedo tutto il mondo gay, e mia madre che se tutti fossero come me la razza umana sarebbe già finita, ma se vi fermaste un momento a pensarci e vi chiedeste:
Chi fra i due uomini sul cavalcavia finirebbe giù di sotto? Non sarebbe più tanto certo il risultato, e forse questo solo sarebbe un vero deterrente! Se due lei finissero il loro rapporto di coppia, una delle due madri potrebbe davvero nuocere ai suoi stessi figli?
Lo so, sono folle ma lo è anche questa benedetta famiglia naturale. Una famiglia nella quale sembrano tutti incapaci di essere felici, tranne coloro ai quali questa possibilità è negata per la paura delle famiglie naturali di finire a non essere più "normali". Se i gay potessero avere una famiglia legalizzata, a cosa assisteremmo? Leggeremo una notizia che fa più o meno cosi?

"famiglia gay, lanciata giù da un cavalcavia"!
La famiglia naturale dopo una breve convivenza di quartiere, soffriva probabilmente di depressione, a causa dell'eccesso di autodeterminazione della famiglia gay, la quale dava feste ogni sera. Al termine di una di queste la famiglia normale, che non accettava di essere dimenticata, ha picchiato ferocemente la famiglia gay, dopo di che l'ha portata su un cavalcavia gettandola di sotto. Un volo di quindici metri. Presa dallo sconforto per aver eliminato l'unica famiglia che sembrava felice, intorno a lei, la famiglia naturale si è gettata anch'essa. Un passante che percorreva il sentiero sottostante ha udito i lamenti di tutte queste persone e ha chiamato i soccorsi. I paramedici chiedono loro quali familiari possono chiamare. "siamo tutti qui" rispondono le famiglie a pezzi, avevamo solo loro!

Non mi sembra una soluzione neanche questa, e forse una soluzione non c'è se non quella di scegliere che prenderci cura dell'altro, è l'unico antidoto possibile all'abbandono, e alla violenza, perché nel momento in cui le cure date o ricevute finiscono il loro vero e naturale scopo, non siamo abbandonati nè abbandoniamo. Siamo solo guariti e pronti a vivere ancora con la consapevolezza di aver imparato come si fa ad aver cura di qualcuno, e pronti a diventare noi quel qualcuno che curerà magari un qualcun'altro. E siccome ciò è possibile per tutti nessuno resterebbe davvero senza cura o senza qualcuno di cui aver cura.
Certo questo prevede che si rinunci ad un tornaconto nel prendersi cura, o nel farsi accudire, ma in fondo se così non fosse perché si chiamerebbe "amore incondizionato"?
Nessuna cassazione dovrebbe più occuparsene, nè qualcuno farebbe più caso se a darsi questo sentimento fossero un uomo e una donna o due uomini e due donne. Nessuna famiglia sarebbe poi tanto diversa perchè tutte si sforzerebbero solo di amarsi senza condizioni, senza doversi sentire normali, o speciali, senza doversi difendere o rinchiudere e scoppiare.
Un cavalcavia in fondo è solo un ponte gettato solidamente tra due sponde apparentemente irraggiungibili, un modo per raggiungersi, un percorso che dovrebbe essere solo attraversato.


martedì 6 marzo 2012

La Pretesa di essere Matteo

Una pagina bianca, un nome, un lutto troppo grande da contenere in uno spazio bianco, e al tempo stesso, troppo piccole le parole possibili, per non fare altrimenti. Ai tempi della crisi, si muore lavorando. Mentre i nostri politici si affannano, a difendere posizioni che ci vedono assegnati a questa o quella parte, mentre il nostro prossimo si divide tra "i giustizialisti dello scontrino" e gli "evasori per vivere", tra "couponisti compulsivi" e " maghi del fai da te", si muore lavorando. Ma lavorando come? In condizioni precarie? Senza le giuste norme di tutela e sicurezza? Non solo. Si muore facendolo quel lavoro, cercando di farlo per la gioia di qualcuno, come nel caso del povero Matteo. Lui schiacciato da un peso innocente, dal crollo di una struttura che doveva stare in piedi, da una volta celeste di luci che dovevano renderlo fiero di sè. Muoiono silenti, queste persone. Non in una rivolta idealista contro qualche grande opera, non durante una meritata crociera, non per mano di un "malvagio" rapinatore. Nessun regolamento di conti, nessuna follia omicida nè raptus, nessun illustre avvocato da nutrire, nessun talk show da farcire di grasse opinioni, nessuna cattedrale per questi funerali di gente comune. Come matteo, muoiono in silenzio, con le mani nel proprio lavoro, coloro che dedicano la loro vita professionale agli altri, alle persone, schiacciati da liberalizzazioni necessarie come quel palco, ma che come quello, potrebbero anche schiacciarle. Un sacrificio necessario, pare, resta in piedi il più forte. Avevo creduto, che la peggior cosa fosse perderlo un lavoro, nè averlo a tempo, ne pagato male, solo non avercelo più, invece, scopro che si può morire nel farlo il proprio lavoro. Una banalità direte, forse lo è, ma il male peggiore sa assumere la forma di cose semplici. Semplici come scegliere il miglior offerente, semplici come un risparmio che dobbiamo all'Europa, semplici come montare un palco, o scegliere il giusto colore da fare a quella persona. Semplici come accogliere i clienti. Come mettercela tutta per fare la differenza. Semplice come vederli andare via contenti. Eppure oggi, le poltrone del mio salone sono vuote, lo è l'agenda nella quale era difficile inserire persone, che oggi semplicemente non vedo più. Quella struttura che ho costruito per un "concerto di bellezza", non era una gloria personale, era un luogo per accogliere, che oggi mi riempie di dolore. Si interrogano gli artisti, su come non perdere i propri tecnici, per loro sono più di questo, una famiglia itinerante. Annullano le date dei concerti, soffocano la gioia che si apprestavano a distribuire a tutti, in una pagina bianca. Ma cosa possono fare? Non c'è una spiegazione che serva, una misura che salvi. Muore chi vuole raggiungere gli altri? Che sia con un concerto o con una acconciatura, con loro chi un lavoro ce l'ha, chi lo fa senza pensare a nient'altro che alla voglia di vedere ancora una "comunione" col suo prossimo, uno scambio di meriti e giusta ricompensa da dividersi. Muoio, anch'io un poco con loro, perché gli anni spesi a raggiungere il privilegio di "servire" gli altri, non hanno valore proprio agli occhi di quegli "altri". Sono stato "sostituito" da un competitore che non potevo affrontare, al quale è stato concesso più di quanto io posso ottenere, proprio dallo stesso Stato che mi chiede di gioire della maggior quantità di offerta, da un parrucchiere cinese, da uno sterile sconto stampato su un coupon, oggi manna dal cielo per chi ha "occhio per lo spreco". Ma l'unico spreco che mi sembra di vedere, è quello di mé stesso, dell'onore con cui ho vestito le persone che servivo, e dalle quali senza complimenti sono lasciato lì, ad aspettare che la struttura che ho costruito per loro, mi cada addosso. E i miei torti, e gli errori, le scelte sbagliate? Non dovrei dare la colpa solo a me stesso? Senz'altro, forse anche Matteo si chiede se non abbia sbagliato qualcosa, ma non per questo non sarebbe stato magnifico se si fosse potuto salvare? Se qualcuno lo avesse salvato? "Sono certa che la tua professionalità, ti salverà"! mi dice una amica, ma io mi sento come Matteo, so di avercela messa quella, eppure il crollo arriva comunque, ma a differenza di lui, il mio funerale me lo godrò tutto, non dall'alto, ma al fianco di coloro che mi diranno "mi dispiace, avrei voluto fare qualcosa", a chi mi ha chiesto " cosa posso fare per aiutarti"? Quelle che sono certo, sarebbero più lieti di seguire il mio corteo funebre, che vedermi li, vivo ma finito ugualmente. Non c'è peggior compagnia di quella dei perdenti, in questo mondo pieno di "scelte". Io e matteo l'avevamo fatta una scelta. Lietamente ne abbiamo condiviso oneri e onori con quella che è diventata la nostra "famiglia". Per lui, i colleghi, ballerini, Laura. Per me le clienti. Chiedo umilmente scusa a Matteo e ai suoi familiari, per volermi sentire come lui. Un ultimo atto di presunzione, forse, ma spero saprà perdonarmi se oggi l'unico a cui credo, l'unico che voglio onorare sia lui. L'unico vicino al quale mi sembra ancora di condividere un qualcosa, l'amore per ciò che si fa, per quelle molte persone per cui moriamo facendolo, o aspettando che tornino. La pagina bianca della mia agenda, oggi mi sembra persino un onore. Un folle onore.

giovedì 1 marzo 2012

elogio del bastone.

Nel fantasticare circa la mia vecchiaia, ho immaginato diversi scenari, nei quali non contemplo una salute di ferro, anche se potrei augurarmelo, ma più realisticamente spererei di poter continuare ad usare la testa. Con l'affievolirsi degli impulsi, che rendono la vita degna di essere vissuta da giovani, bisogna pur trovarsi una qualche forma di appagamento che non preveda un vigore a cui non si ha più accesso. Ricordo mia nonna che a ottantacinque anni aveva sicuramente smesso di: - fare sesso,(non abbiamo dati certi). - cucire. - cucinare abilmente. - tagliarsi da sola le unghie dei piedi. - fare il cambio degli armadi. - camminare stabilmente in posizione eretta. Circa quest'ultima rinuncia, spenderei due parole sull'ironica inutilità della teoria evolutiva. Se l'evoluzione ci ha fatto raggiungere la posizione eretta per assicurarci velocità ed efficienza nel procurarci il cibo, cosa aveva in serbo per noi da vecchi? Che ricominciassimo a mangiare la frutta marcia caduta dagli alberi? Sembra quindi evidente che nella teoria evolutiva la vecchiaia non fosse contemplata, in quanto con ogni probabilità nessuno l'avrebbe raggiunta nella maniera in cui oggi la conosciamo. Inoltre sebbene come per l'attività sessuale di mia nonna, non ci siano prove certe, la vita media di un essere umano terminava nello stomaco di qualche grande carnivoro. Sembrerebbe in fondo, proprio questo lo scatto evolutivo, il progresso raggiunto, e cioè l'allungamento del brodo organico da cui pare proveniamo. Oggi possiamo invecchiare. Possiamo contemplare lo staccamento della cute dallo scheletro, possiamo avere il privilegio di immedesimarci in un maglione afflitto da anni di "cicli" di lavaggio, che lo rendono informe, possiamo gioire dell'estinzione del carnotauro, quanto della scomparsa degli estrogeni, del collagene e dell'acido ialuronico dalle nostre giunture. Ma c'è un premio di consolazione? certo! L'appetito è l'ultimo stimolo che perdiamo. Nel periodo meno produttivo della nostra esistenza in realtà consumiamo maggiormente. Ecco perché le famiglie oggi in crisi economica non possono permettersi un anziano in casa. Dico l'appetito perché in realtà anche il più alienato degli anziani riconosce una polpetta o almeno può credere di mangiarla al posto del semolino che qualche badante gli propina facendo la cresta sulla spesa, e di certo la trova più piacevole della vista di parenti che potrebbe anche non riconoscere più. Un altro progresso del raggiungimento dell'età avanzata sta nel fatto che ogni genere di discriminazione sessuale è impraticabile. Infatti la persona anziana perde gran parte dei connotati che la assegnano al suo "genere", quindi potrebbe vestirsi da uomo o da donna passando del tutto inosservata, il che rende maledettamente spiacevole il fatto che la disforìa di genere si sviluppi solo in gioventù. Potrei per esempio andare in un pubblico ufficio per un certificato e venire trattato con sufficienza perché sono un "vecchio rompicoglioni", e presentarmi il giorno dopo come una più "amabile signora" alla stessa impiegata, suscitandone l'efficienza, o viceversa! Una vera risorsa non credete? Ma resta comunque un fatto, chi sarebbe il "bastone" di questa mia vecchiaia? Non ho figli e il mio compagno o sarà già morto, o sembrerà essere più simile ad un coinqulino, un compagno di briscola nella più lieta delle ipotesi, ma di certo non in grado di sorreggermi. E' da molto che noto la curiosa abitudine che hanno gli anziani malfermi sugli arti inferiori, di camminare nei cantieri stradali, o in prossimità dei più pericolosi fossi lasciati dall'incuria comunale. ogni volta mi chiedo se non è così che inconsapevolmente vogliono farla finita, ma poi mi ricordo che mia nonna mi raccontava come durante le alluvioni, persone tutt'altro che anziane si accalcavano sui ponti ad "ammirare" l'ondata di piena in arrivo, e allora capisco che il fascino della distruzione, non cessa di esercitare il suo potere! Se la vecchiaia si potesse considerare una progressiva distruzione, si potrebbe rimanerne affascinati? Quindi alla luce di ciò, il mio "bastone della vecchiaia" atri non potrebbe essere che lui. Il mio compagno? No, il bastone stesso. Non ho mai capito perché tutti i vecchi si lamentano del fatto che nessuno li sostenga, e rifiutino però l'utilizzo di un oggetto tanto semplice e perfettamente in "linea" con l'adempimento del detto popolare. Chi meglio di lui può impedirmi di caraccollare per strada o di trasformare in talloni i miei malleoli tanto per farne a meno? Inoltre è anche un oggetto elegante, vagamente fallico per chi gradisce ancora, ecosostenibile, e antistress! Se gli esami della glicemia fanno schifo, invece di smettere di mangiare le merendine di notte, potrei dargli fuoco nel camino. Se la schiena mi si insacca posso segarne via un pezzo senza comprarne un altro e se voglio rompere le balle, al centro commerciale, non gli metto il gommino! Quanti utilizzi ha il bastone, pensate che con un po di fantasia potreste far scolpire il manico con il volto dell'odiata cognata o del politico di turno, e passare amabili pomeriggi ad insultarlo, incastonare negli occhi di una civetta i diamanti che l'artrite
non vi permette più di indossare, e per i nostalgici ve ne sono ancora in giro alcuni con la baionetta, o se possedete già una gamba di legno, potrete finalmente far cessare la sua solitudine! Insomma, il progresso o l'evoluzione dimostra che l'anzianità offre anche innumerevoli opportunità di scelta ma su un fatto non si discute: l'estinzione dei dinosauri, non può essere avvenuta per niente! Non facciamo in modo che la nostra ascesa al primo posto della catena alimentare finisca con una storta. Che la scomparsa del T-rex ci abbia reso ottusi, oltreché inutilmente longevi?