sabato 28 giugno 2014

Chi ha paura del buio?

Quand'ero "piccola  dormivo sempre al lume di una lampada ...per la paura della solitudine, paura che non mi ha lasciato mai nemmeno adesso che sei qui e dormi accanto a me..
Queste le parole di una celebre canzone che mai ho dimenticato dalla prima volta che le ho udite.
Non intendo annoiarvi con la mia sindrome abandonica di cui francamente chissene ma in fondo ciascuno di noi cerca un compagno o una compagna proprio per sconfiggere la solitudine.
 Ce lo ricordano i genitori quando ci dicono di sposarci, soffrono gli anziani quando nessun caro gliela toglie con un po di compagnia e la scacciano i bambini da piccoli piangendo o volendo la luce accesa.
Per questo motivo oggi hanno coniato parole dal suono affascinante, come la parola single e amici  che descrivono la condizione dell'esser soli senza il peso della sfiga ma facendola quindi apparire come una scelta di vita basata sulla piena autonomia e un mal interpretato, a mio avviso, senso dell'autostima e della vera indipendenza.
Dico questo perchè la maggior parte delle persone sole, ops single, ops amici, che conosco, mai come oggi, mi paiono talmente bisognose di qualcuno e lo si evince dall'incremento degli interventi estetici femminili che non penso nascano dal bisogno di passare inosservate e per contro al maschile, dall'incremento delle paranoie relazionali come gelosia patologica, sindromi adolescenziali da "cumpa", o panico da "inizio della fine" ad un semplice anche no della compagna.
Effettivamente "il lume di una lampada" riconosco che era un sistema un po blando per sconfiggere quella paura ma diamine i punti di sutura mi sembrano un tantino cruenti, così come per gli uomini passare da "me le trombo tutte e non ti cago" a "ti prego cagami fa niente se non trombiamo" è a dir poco una waterloo del testosterone!
Noi gay invece, che per decenni abbiamo dovuto sopportare il marchio di "promiscui", di "sentimentalmente immaturi", di "edonisti" o come si diceva una volta al posto di omosessuali, persino "uraniani"( nel tentativo di spostare le nostre origini addirittura fuori dal pianeta Terra), sembriamo essere stati morsi dalla mosca bonton ( a differenza di quella tse-tse che faceva dormire, questa provoca attacchi di velo da sposa), e reclamiamo le "promesse" invece dei soliti cazzi come si faceva ai bei tempi andati!
Lasceremo  volentieri agli eterosessuali le nostre dark room, i cespugli dei parchi, gli scambi ai parcheggi, le saune e le piazzole di sosta in cambio di quello di cui loro non vedono l'ora di disfarsi: la famiglia. Anche perché nel nostro caso nemmeno dormire accanto a uno diverso ogni sera ci ha giovato.
Vuoi vedere che tra un pò avremo coppie gay che con bambini e Golden Retrivier, passeggeranno nel centro della città sentendosi scandalizzati da gruppi di etero che manifestano per ottenere il diritto di essere scopati gioiosamente senza tanti complimenti all'urlo di "più Rimming e meno Rimini"!
Oppure dovremo stare attenti a non dire parole discriminanti come: eterosessuali perché nel frattempo avranno cominciato a chiamarsi che so monosessuali o stereosessuali? 
In fondo essere discriminati fa sentire soli, così come si può essere dannatamente soli anche "in famiglia" e quando le persone stanno sole troppo a lungo si organizzano e cercano un modo per smettere di esserlo, magari persino scambiandosi "le prigioni". Così chi si può sposare vuole essere single e chi non lo può fare lotta per farlo per primo o quantomeno non proprio quando farlo non fregherebbe più a nessuno! L'irresistibile fascino della minoranza.
Beh, divagazioni a parte, alcuni suggeriscono che la paura della solitudine scaturisca dall'eccesso di prospettiva, come dire che guardare l'orizzonte da fermi  provochi il mal d'auto e quindi sia meglio fissarsi i piedi,  suggerendo dunque un po di spirito "epicureo"( mangiamo e beviamo che domani moriamo) come antidoto all'ansia, ma sembra non funzionare perché guardandosi i piedi diventa davvero difficile morire domani, piuttosto si potrebbe finire facilmente investiti oggi da un tram o anche da un semplice passeggino!
Per questo sono nati i social network e la rete. Finalmente anche comodamente seduti a casa e al sicuro possiamo interrompere la solitudine  sostituendo la "luce della lampada" con l'illuminazione del desktop e pensate, non dobbiamo nemmeno "dormire accanto" a qualcuno che russa o non ci interessa. Naturalmente in questo contesto siamo tutti "amici" ma ci chiediamo l'amicizia, condividiamo senza apparecchiare la tavola e le cose ci piacciono senza doverle masticare! Non è fantastico? Siamo così connessi che la maggioranza dei miei amici su fb non arriveranno alla quinta riga di questo testo ma potrò contare comunque sul loro "mi piace".
Non ho ancora capito perché, quando incontro qualche amico per strada a cui su fb piacciono millecinquecento pagine di diverse attività, e gli chiedo: cosa fai di bello, la risposta è invariabilmente "niente di che", dopodiché incomincia una lagna di cose che non gli piacciono per niente. Probabilmente la realtà virtuale che ci vuole pieni di cose che ci piacciono e di amici deve averci reso la vita reale terribilmente pallosa... e piena di nemici. Infatti, è sufficiente che saliamo in macchina ed improvvisamente  vorremmo essere soli al mondo!  
Allora mi chiedo, quando ero piccola, perché cazzo non ho spento quella merda di luce pensando: fanculo ma voglio proprio vederli sti mostri se sono poi tanto più spaventosi di quelli che vedrò da grande !





martedì 24 giugno 2014

La vita è un gioco.

Arriva un giorno che te ne accorgi, uno di quelli in cui ti sembra, anzi ne sei certo, di avercela messa tutta ma nonostante ciò pare che un destino cosmico abbia messo il rallenty ai tuoi progressi. Del resto io te l'avevo detto che succedeva. Che tu stia facendo un corso di ballo, una ricetta o semplicemente pianificando una spesa, hai la sensazione che quell'anziano o quel giovane ti passi avanti nella fila delle "cose che sai fare" , con la nonchalance di chi ti dice "scusa ti sposti che stai solo bloccando il flusso"?
Tutto ciò è drammatico proprio per questo, perché non ti accade da giovane o da vecchio, ma proprio li nel mezzo del cammin, negli anni di maggior vigore, quelli in cui devi "spaccare", quelli in cui vorresti poter dire: ah quella roba li? Sciocchezze si fa così.
Gli amici a cui confidi la frustrazione della tua "fase da mediano", ti confortano per carità con i loro: ci siamo passati tutti ma tu lo sai che quella faccina gentile e rilassata col cazzo che si è mai sentita come ti senti tu, perché altrimenti sarebbe solo in grado di dirti: e che vuoi farci? Lo sai, che in fondo ti vogliono bene perché sei quello che le fa tutte e non eccelle in niente, sei loro amico perché agli audaci piace come li guardi mentre hanno successo, li fa sentire importanti e nonostante tu sia seduto con loro allo stesso tavolo e le loro case ti siano aperte in realtà tu sei il pubblico o nella migliore ipotesi la simpatica comparsa che ogni protagonista vorrebbe avere.
Insomma, non è che poi tutti possono guidare l'autobus e nessuno fare il passeggero, fa niente che per l'appunto il problema è proprio che tu il passeggero lo fai da sempre. C'eri andato tra l'altro da uno bravo per capire dove affondassero le radici quei tuoi bisogni, che tutti ti dicono di non dover essere tanto performisti,  e te ne eri uscito con una domanda nuova nella testa: se avere umili radici e una stima non troppo pasciuta aiuta a "farsi da soli", perché a te sono toccate solo le radici, e per giunta quelle di un baobab secolare?
Allora hai provato il fai da te perché qualcuno che ti vuole aiutare ha detto: ma sai non sono le capacità che ti mancano è il modo che hai... e tu ci hai creduto perché come fai a non credere a chi è capace di vederti come se ce l'avessi scritto in faccia, quando tu invece al mattino in faccia vedi solo punti neri di domanda. Hai comprato libri che spiegano quanto è facile cambiando convinzioni aprire le caterrate dei cieli, hai fatto l'enneagramma di PNL ( la risonanza magnetica era meno soffocante), il coaching, l'automotivazione e anche lo yoga tantrico in posizione del salice piangente ma l'unico vantaggio che puoi dire acquisito è stato che bevendo il caffè al mattino ti è venuta la compulsione di girare lo zucchero un quarto d'ora!
E ti ricordi quando ci hai provato con la fede? Oh che sollievo ti pareva di provare a sapere che Dio più sei mediocre più ti offre la sua ricompensa, che meno ti si vede nel mondo presente più ti godrai quello dopo la morte tua o di tutti quelli che ce l'hanno fatta nella vita. Poi però siccome sei ostinato ti eri chiesto: e Dio come diavolo ha fatto a diventare il capo? Improvvisamente ti eri accorto che anche se devote le persone sgomitano per ottenere un ruolo che li elevi da quello di discepolo e  francamente quando lo hai fatto presente sei stato espulso anche da li...senza neanche essere diventato diacono.
Una cosa però bisogna riconoscertela, hai sempre saputo avere almeno una immagine estetica vincente! Devi esserti detto, se non posso elevarmi almeno posso vestirmi come uno di loro e difatti hai comprato l'equivalente di un appartamento in abbigliamento e accessori. Quanti complimenti che ti facevano quando arrivavi sempre così particolare in ogni occasione e per un po hai creduto che forse fosse quello il tuo talento.... Andiamo davvero non potevi prevedere che la moda avrebbe promosso ad icone i più straccioni che si potevano vedere? Davvero non ti sei accorto che la canotta sgualcita che mettevi alle medie oggi avrebbe sostituito la camiciola perbene che ti metti? 
Almeno però hai una salute di ferro, mica come tanti che alla tua età hanno almeno una o due patologie invalidanti e serie!!!! Fumi e non hai ancora l'enfisema, guarda che son soddisfazioni continua a dirti la tua amica e ha ragione, con tutti quelli che stanno negli ospedali poi..
Come dici? Sono quattro o cinque anni che non fai gli esami del sangue ? Beh in questo caso...chi può dirlo?
Si, arriva un giorno che te ne accorgi. Arriva e capisci cosa cazzo ti ha impedito di brillare, e finalmente puoi darci dentro tutta come hai sempre sognato! Finalmente, dovranno tutti smetterla di trovarti carino e tenero e simpatico da matti, dovranno invece cominciare a temerti come si teme colui che sa il fatto suo! Anche tu potrai dire: ho cominciato da zero e credetemi non me l'aspettavo proprio di arrivare tanto in alto,  ma penso sia così che accade quando fai ciò che ti piace pensando solo a quanto ti piace: i riconoscimenti? Semplici conseguenze collaterali..di una mossa casuale e vincente. Ti sembra persino di sentire una musichetta festosa ed ecco che hai fatto Sugar Crush  al livello 561 e non te ne sei neanche accorto! Quel giorno hai 44 anni e un tablet nuovo che ovviamente nemmeno hai comprato!






venerdì 14 marzo 2014

Svolte e risvolti

Ci pensava su da giorni e quel pensiero la costringeva più del reggiseno in cui ogni mattina rinchiudeva i seni ormai freddi da troppo tempo: così non poteva più andare avanti. Come sapesse che le sue risorse erano finite insieme alle speranze che lui cambiasse, non le era razionalmente chiaro, semplicemente comprese che dal momento che lui non cambiava a cambiare doveva essere lei. Scese in strada ma stavolta con un paio di valigie e senza reggiseno, e le sembrò di respirare per la prima volta. L'auto l'accolse nei suoi interni e lo sblocco dell'antifurto le sembrò un cinguettio primaverile e non il suono stridulo che fino a quel giorno sembrava dirle non hai scampo ora ti porto in ufficio ma è in questa casa con lui che tornerai stasera.
Altrettante primavere sembravano fiorirle intorno mentre si dirigeva verso se stessa e all'aeroporto.
Il notiziario raccontava di folle in rivolta nel mondo, di primavere arancioni, di masse oppresse che erano pronte a morire per quello per cui aveva rischiato di morire anche lei: un cambiamento..”
Quando cambiamo davvero?
Non lo facciamo quando ce lo dicono, anzi temendo che vogliano solo “adattarci”, ci rifugiamo nelle nostre misere routine, nelle sicurezze, nel controllo totale o nel nostro caos, talvolta giustificandoci con l'infantile asserzione: sono fatto così. Non lo facciamo neanche quando i fatti dimostrano che non ha funzionato, che il chiodo non regge il quadro e quando il quadro è visibilmente andato in frantumi sul pavimento, pestiamo rabbiosi il chiodo “colpevole” della nostra debolezza. Non lo facciamo nemmeno quando abbiamo speranza poiché essa ci costringe ad attendere.
Quando allora? Cambiamo solo se comprendiamo come pensiamo alle cose e alle persone, per primi a noi. I popoli non si rivoltano quando sono delusi o confusi ma quando hanno chiaro in mente che il governo gli appartiene che è loro di diritto e loro deve servire, così come le donne ci lasciano quando hanno la forza di non delegare più a noi la propria felicità e maturano il desiderio di condividerla con qualcun altro, sapendo quindi di doversela prima conquistare personalmente.
La nostra epoca sembra la più ricca di cambiamenti ma è davvero così o piuttosto è l'epoca in cui parlarne è diventato il “surrogato” più accettabile?
“Siamo pieni di chiacchiere con la pancia piena e la luna a metà...”dice una canzone appena uscita e non posso fare a meno di considerare l'immenso contenuto di queste semplici parole, alla luce di ogni cronaca politica, di ogni celebrato successo cinematografico o affermazione di successo personale. Parliamo fino allo sfinimento di cambiamenti e necessità di “riforme” ma la sensazione è che si lotti affinché questo accada il meno possibile. In parte perché il cambiamento prevede una nuova direzione, sradica abitudini, ci costringe per sua natura a tracciare un nuovo solco in noi e nella storia che tutti ci riguarderà, in parte perché somiglia alla verità: non può lasciarci esattamente come ci trova ne garantirci nulla.
Per tale ragione sembriamo volere il cambiamento ma invero lo temiamo maggiormente rispetto a ciò a cui siamo abituati a far fronte. Una luna a metà ci sembra contenere più misteri possibili di una luna piena i cui confini ben delineati tracciano un limite certo. Eppure la gente cambia in continuazione casa lavoro relazioni e pensieri, almeno così dice di fare, mentre la sensazione è quella di assistere a bruschi colpi di timone dati alla propria nave solo per insoddisfazione.
Un altra caratteristica del vero cambiamento sembra essere l'accettazione di un rischio, la rinuncia alla garanzia di successo col minimo sforzo e la preparazione al biasimo riservato a coloro che “osano” rompere uno schema fino a quel momento tanto caro a tutti.
Quante volte le aveano detto amiche e parenti: non ti manca nulla fai una bella vita con lui, vuoi davvero rinunciare a tutto ciò che ti sei costruita? E ancora: lo so che non è perfetto ma guarda il lato positivo...
Lei, dal canto suo sapeva quante di loro avrebbero digerito sassi per vivere la vita di cui lei non sapeva più che farne e quante non aspettassero altro che “prenderle” il posto..quando le dicevano: fai bene a lasciarlo non è l'uomo per te..sottintendendo che lo era per loro. La verità era che quell'uomo non aveva di sbagliato niente di più di qualunque altro poteva incontrare da quel momento in poi, semplicemente ciò che avevano fatto insieme non era che un cumulo di cose materiali, di simboli riconoscibili di un successo destinato ad altri, ma che l'aveva svuotata di senso.
Era certa che neanche lui provasse più molto insieme, ma sapeva che non avrebbe mai rinunciato all'immagine di sé che la loro apparenza perfetta gli garantiva.
Si ricordò di come da ragazzina era felice nel giardino della casa paterna e come rivedendosi si accorse che intorno a lei, in quel momento di pura gioia, non c'era altro che il muso festoso del suo cane”.
Un cambiamento non può germogliare in un cuore vuoto, ecco perché molte persone che virano bruscamente nella vita non trovano altro che il proprio vuoto. Sono concentrate maggiormente su ciò che non ricevono o non riescono a strappare a qualcuno nell'esatto modo in cui lo hanno immaginato, come tanto meno può essere autentico se spinto da un cuore pieno di rabbia poiché questo in realtà esige vendetta e quindi ci mantiene in relazione con coloro che diciamo di “lasciare”. Si cambia quando si dismette il giudizio verso se stessi e gli altri quando invece di star fermi ad arrovellarsi o a impegnarsi a cambiare l'altro ci accorgiamo di un punto fulgido di luce la in fondo e allora il buco rassicurante in cui ci eravamo cacciati si svela in tutta la sua cupa tenebra e attratti da quella minuscola luce ci dirigiamo verso di essa senza alcuna sicurezza ma più consapevoli di ciò che lasciamo, sia questo un comportamento, una persona, una vita intera.
Il cambiamento vero offre un viaggio verso se stessi ma senza la chiara idea di come saremo una volta giunti a “casa” ecco perché chiunque dica di cambiare identificando troppo precisamente come sarà, con chi, e come starà mente a se stesso.
Il viaggio le era sembrato lunghissimo ma in realtà le ci erano volute poche ore di volo per raggiungere la casa dove era cresciuta. Il suo cellulare era intasato di messaggi di amiche ma soprattutto di lui. Mentre scorreva le righe di testo si rese conto di come i toni passassero dalla supplica al rimprovero aspro fino alla minaccia e sorridendo come mai prima si felicitò con se stessa per aver scelto l'aereo invece di un pullman dal quale avrebbe potuto scendere.
Scrisse una sola riga di testo prima di premere invio: me ne sono andata e tu non puoi farci niente perché niente è ciò che ho lasciato.
Il cambiamento genera una rottura definitiva di schemi quotidiani obbligandoci a nuovi percorsi, ad una differente gestione del tempo, ad una concezione di rumori e silenzi da interpretare con strumenti ancora poco rodati dall'abitudine. Per tale motivo la sensazione che si prova quando si cambia davvero non ha niente a che vedere con l'euforia o l'immediata piacevolezza, piuttosto ha un effetto simile a quello che il fuso orario ha sul corpo: ci rende apparentemente fuori tempo.
Può capitare di trovarsi in mezzo a scatoloni da fare o da svuotare con nessuna forza per farlo o anche di guardarsi attorno e provare una vertigine simile a quella che si prova sul ciglio di un dirupo. In questo caos apparente ci offre però l'opportunità di fare esattamente come vogliamo di non rispondere a nessuna tabella di marcia razionale, di scegliere se rispondere al bisogno di “sistemarsi” o rimandarlo per godersene la conquista.
Si scopre in quei momenti il lusso di un dialogo interiore che all'inizio può ancora avere la voce di qualcun altro e il tono aspro con cui ci si redarguiva o si veniva redarguiti dalla ribellione al dovere ma che man mano lascia posto alla scoperta del suono della propria voce e addirittura alla possibilità di dare alla propria voce un tono dolce e nuovo..Vi sembra la descrizione di una perdita di senno? Può darsi che il cambiamento gli somigli.
Ecco perché nonostante le persone parlino di cambiamento in continuazione o vantino la facilità con cui lo praticano, in realtà più facilmente non abbiano ancora cominciato davvero a farlo. A nessuno piace sembrare un matto. La facilità con cui l'ottusità è stata scambiata per determinazione ha reso difficile individuare la predisposizione al cambiamento, che a mio avviso non determina ma rischia in virtù di una sensazione nuova e non c'è niente di davvero nuovo che possiamo definire in anticipo.
Dopo qualche mese di lavoro in cui si era immersa, la casa era pulita e di nuovo funzionale ma soprattutto il giardino era pronto alla sua nuova funzione. Si accorse in quel tempo folle di come le persone dalle quali si era staccata anche brutalmente fossero tornate alle proprie abitudini liquidandola probabilmente come una deficiente che era meglio perdere che trovare. Non sentiva di dover loro alcuna spiegazione e con le mani sporche di terra fresca e concimata a dovere si faceva beffe tra sé delle loro manicure impeccabili, le stesse che anche lei aveva quando le sue mani non servivano a niente.
Se avesse saputo quanto poco chi dice di volerci bene lotta per sapere come stiamo davvero quando non ci facciamo più vivi avrebbe avuto meno paura di ferirle, le sue amiche di un tempo, come ne aveva avuto quel giorno quando con la valigia era uscita dall'appartamento di lui per non tornare più senza dirglielo.
In quanto a lui, si era guardata bene dal sapere cosa facesse o chi vedesse come sapeva avrebbe fatto se avesse semplicemente traslocato col conforto delle sue “amiche” e della città in cui avevano vissuto insieme e anche lui dopo gli accenti iniziali smise di farsi sentire come tutti gli altri. Erano le dodici e mezzo: l'ora della pappa per i dodici Golden Retriver che ospitava in pensionato. Col sole sul viso si godette la vista di quei musi felici che le venivano incontro e dietro il pero, le sembrò che il suo aiutante, un uomo in pensione che era cresciuto li e col quale aveva giocato da piccola, la guardasse con una dolcezza di cui non si era accorta prima”.
Facendo ciò che vogliamo davvero fare, ridimensionando bisogni e aspettative, ma rinunciando a definirne i contorni, ci si rende disponibili alla vita e al suo fluire attraverso noi, si cambia anche radicalmente o non per forza ma si ridiscute tutto di noi e una buona volta si smette di farlo con gli altri. Si diventa più responsabili della propria idea di felicità e meno bisognosi di qualcuno che la realizzi perché nonostante possa essere molto diverso da come eravamo abituati a vederlo, quel qualcuno siamo noi e un nuovo noi potrà anche portarci dei nuovi “altri”.Qualora non fosse, cosa che è quasi impossibile sarebbe di certo più lieto incontrarsi allo specchio.


mercoledì 12 febbraio 2014

Dimmi tutto, non ti ascolto

Pronto ciao come stai volevo farti un salu...ah certo no capisco..ho pensato che magari avevi....ah beh, gli orari ormai, no è che...volevo dirti...mhh si mhh , sai ti ho chiamato anche ieri...la palestra ci mancherebbe....va bene dai ci sentiamo un altra volta. Sensazione di chi ha chiamato: arrangiati

Dimmi!!!!!!!  No guarda sto camminando che poi ho appuntamento, due minuti cazzo, cosa è successo????? no ti sento una voce ...oh ma io lavoro eh?! Vabbe senti ti chiamo dopo....Sensazione di chi ha ricevuto la telefonata: che palle questo...

I due tipi di conversazione se così vogliamo chiamarla cosa hanno in comune? Probabilmente il piano tariffario della compagnia telefonica, perché questi due esempi, credo di poter dire, costituiscono l'ossatura della comunicazione moderna e ben spiegano i fatturati miliardari dei gestori telefonici che particolarmente in questi tempi vedono incrementati i propri guadagni.
Chi rinuncerebbe ad essere “raggiungibile”?  Nessuno, sembra, ma poi lo vogliamo davvero? 
Se da un lato la telefonata, che una volta veniva fatta per casi eccezionali o formali come incidenti e condoglianze, oggi è il genere di consumo più usato, dall'altro se n'è smarrito il senso. Per esempio, può succederti di ricevere tre telefonate da un amico che è dietro l'angolo del palazzo dove dovevi incontrarlo, invece di vederlo esplorare coi piedi il circondario alla tua ricerca, ma è anche probabile che un passante ti chieda dove sia il luogo che deve raggiungere quando prima di uscire di casa sarebbe bastata una telefonata per saperlo.
Ci sono quindi telefonate intelligenti o importanti  che non si fanno e telefonate assurde che non si rinuncia a fare o ricevere. Perché? Evidentemente il concetto di ricevere telefonate deve aver assunto un significato nuovo. Il fatto che oggi il telefono non sia più nell'ingresso di casa o nello studio ma in tasca, ha modificato il valore di quello squillo, che se all'interno delle mura domestiche suscitava attenzione al messaggio che portava,  oggi attribuisce invece un valore alla persona che lo riceve. Il fatto di aver reso automobili mezzi pubblici marciapiedi e uffici o ospedali una unica grande stanza dove svolgere una telefonata(abitudine che detesto) ha dato ad ogni chiamata, anche la più inutile come quelle riportate sopra, il carattere di “priorità”. Le persone si sentono più importanti quante più ne ricevono al punto da convivere con auricolari e dispositivi per non essere da meno. In questa accezione il numero di telefoni e contratti pro capite raddoppia se contiamo che i nuovi modi di lavorare ne prevedono l'uso( anche per trovarsi in ufficio al solito posto alla solita ora pare che ci si telefoni), e  questa “raggiungibilità” forzata, svolge anche un ruolo di “controllo” della localizzazione reale delle persone fisiche.
Eppure con a disposizione una tecnologia,  ogni minuto della giornata per fare o ricevere una telefonata e un motivo sociale per non rinunciarvi abbiamo trovato un modo per non dirci niente. Curioso non vi pare? Finite le ore di registrazione della “fiction sociale” che ci vede fighi con un telefono incandescente, le telefonate che non facciamo e quelle che vorremmo non ricevere, generalmente ad alto contenuto umano, quindi dell'amico che ci vuole bene o del e al genitore, sono proprio quelle che pur non potendo dire di non vedere lasciamo in stand by per diversi giorni.
Se proprio non si può procrastinare, quella telefonata viene  subita gorgogliando mhhh fino a che l'interlocutore creda alla avvenuta lobotomizzazione o imposta per lavarsi la coscienza con la mia frase preferita:  ciao ho due minuti tutto bene?
Io questa,  la inserirei nelle “armi di distruzione di massa” della sincerità dei rapporti.  Innanzitutto, non mi spiego  come abbia potuto sostituire  il ciao come stai, anche se mi spiego il perché: evitare una domanda aperta accorcia di molto una telefonata di “dovere”, perché una telefonata che inizia con ciao tutto bene, finge un interesse ma realmente impedisce di dire esattamente il contrario. Nel qual caso uno dicesse no, ci si può allarmare urlando cos'è successo con un tono talmente fastidioso da costringere l'altro a rinunciare al racconto.
Nel contempo quindi ci sono una marea di persone incazzate perché non le chiami o non gli rispondi le quali per ottenere un tuo rimorso dovrebbero almeno essere attaccate ad un respiratore..perché se stanno bene che cazzo vogliono? Oppure persone incazzate perché le cerchi, perché dopo averti rimbalzato o non risposto gli chiedi cosa cazzo gli sia accaduto e allora lì,  sei costretto all'annovero totale delle pagine delle agende dei cazzi loro (nei quali non figuri mai ma sei il loro migliore amico, o amico come prima)riga per riga ora per ora, come una telecronaca mortale,un plotone di esecuzione in Excel,  una raffica di eventi che se fossero veri dovrebbero avergli causato una cistite( di fronte a tanti impegni come fanno ad andare in bagno?).
I tempi delle liete conversazioni in cui una telefonata di un amico  era come una lettera profumata d'amore sono finiti, d'accordo, ma dare la colpa alla velocità alla modernità è quantomai irresponsabile allo stato delle cose. Ciò che discuto non è la frenesia dei nostri tempi quanto la pericolosità di considerare quella chiamata rifiutabile con un click, quello squillo lasciato suonare perché tanto poi lo chiamo come qualcosa di poco conto..rimandabile ad oltranza e senza offesa eh!
A parte che, nel tempo in cui le persone si vomitano addosso accuse e scuse  o si negano potrebbero darsi spiegazioni e appuntamenti più che sensati, la cosa che più è insopportabile è che in fondo sanno di essere stronzi contraddittori e un po anche bugiardi ma questo sembra rientrare nel diritto alla propria privacy. Per inteso, anche io ogni tanto, devo impormi di ascoltare quella data persona, di fargliela quella telefonata soprattutto in considerazione della velocità con cui gliela faccio se ho bisogno di qualcosa! 
Ho conosciuto persone disperate perché nessuno le cercava, per il silenzio della propria suoneria e persone afflitte da una tale  popolarità telefonica da non saper più come uscirne.  Le ho viste  scambiare per solitudine  la pace di un silenzio o far sentire soli chi in silenzio, sperava di sentirli. Non credo che ci si possa davvero sentire “liberi” negandosi o  generosi offrendosi a minuti gratis, ..ne che si possa dare per normale una relazione del tipo “Dimmi tutto non ti ascolto”, ma sentiamoci che ci compattiamo eh?!
Sostenitori di un sano egoismo e telefonisti compulsivi entrambi negando o affogandoci dentro usano la comunicazione in modo auto riferito, ovvero considerando le chiamate da fare o che ricevono unicamente alla luce di uno stato d'animo che riguarda solo loro e che solo di loro tiene conto! 
Arrivati come siamo alla connessione totale ad una sorta di banda larga del contatto con gli altri abbiamo forse dovuto “gestire” una tale portata di richiesta e offerta da aver fatto un bel casino, non volendo ammettere che non essendo macchine non potevamo sopportarlo e come spesso accade ognuno ha operato il proprio adattamento...escludendo l'altro o fagocitandolo, ma c'era un tempo in cui il telefono era un bene condiviso e di cui ci si accertava l'uso responsabile con la consapevolezza che non era solo “nostro”.
Mi ricordo  ancora con emozione un giorno in cui sollevando di nascosto la cornetta pesante e nera del telefono di casa con il cuore in gola per la “trasgressione”, mi sentii come Eva con la mela quando mia madre urlò: cosa fai? Metti giù quel coso che la signora del duplex se ha bisogno del telefono lo trova occupato!

martedì 4 febbraio 2014

A pelle mi piace.


L'Evoluzione umana, la sua discendenza da questo o quello è tutt'oggi una “teoria” e come tale ritenuta probabile, in quanto l'anello congiuntivo tra alcune fasi resta mancante.
Non può dirsi lo stesso della Creazione, la quale però è ancor meno di una teoria, una tradizione orale direi. Scienza e fede hanno lottato per secoli cercando di accaparrarsi la soluzione dell'annoso mistero “originale”, per rispondere alla domanda: siamo l'apice di un processo, il frutto nobile di una trasformazione o siamo venuti al mondo così come siamo sin da subito? Siamo uomini, scimmie o caporali?
La teoria evolutiva che vorrebbe i primati come nostro genere di transizione più prossimo, trova di certo più conferme nel numero di estetiste diplomate di quanto la creazione possa vantare nell'annovero di nuove vocazioni ma estetiste e suore hanno in comune l'esser donne e mentre le prime hanno trovato conforto nella cera, le altre hanno radicalmente risolto il problema pelo, stendendoci sopra un “velo”.
Non ci è proprio nota quale sia stata la prima depilazione della storia umana, ne se sia stata femminile o maschile. Mi sento di escludere che la donna abbia deciso di depilarsi per distinguersi dai maschi perché per quanto pelosa potesse mai essere il suo mondo non prevedeva un guardaroba e i peli erano da considerarsi a tutti gli effetti “il suo guardaroba”!
Il racconto della creazione ci propone una donna liscia  vellutata e inconsapevole, con un inguine degno di una radura mentre la teoria evolutiva, assai meno poetica, presenta una femmina molto più pratica, laboriosa  e sveglia ma conciata da buttar via eh! Quindi, se da un lato Eva incorre nel peccato originale scoprendo il piacere, la femmina primitiva che di piaceri poco sapeva, si sarà stufata di vedere il marito accoppiarsi “da dietro” con qualunque ammasso di peli, quindi secondo un calcolo logico deve essere stata lei la prima a decidere di “distinguersi”, anche perché se la perdita del pelo fosse stata da attribuirsi a cambiamenti climatici del proprio habitat, non si spiega come mai i maschi ne avrebbero conservato la maggior parte!
La relazione tra peli e piacere appare perciò il vero anello mancante della catena, poiché Eva scoprendo il piacere avrà voluto indagare sulle sue origini, così come la femmina primitiva si sarà detta che era meglio che la sua vagina fosse ben visibile che diamine!
Nel procedere dei secoli, anche il maschio scoprì quanto i maledetti peli potessero essere fastidiosi.
Immaginate che follicoliti avrebbero patito i soldati che indossavano la cotta di maglia metallica, se fossero stati irsuti, quindi è da credere che anche loro abbiano cominciato a trovare espedienti. Te li vedi nel bel mezzo di un colpo di daga tirare un urlo perché un ciuffo di peli pubici, gli si fosse strappato a causa della preparazione al fendente finale?
Una volta liberati dalla “pelliccia” uomini e donne, ciascuno a modo suo, scoprirono che la pelle era molto più piacevole del pelo, acquisirono una discreta consapevolezza delle differenze fisiche tra i generi e come spesso succede quando un essere vivente scopre un piacere fecero anche un po di casino uomini con uomini e donne con donne....dato che tra guerre e fatiche entrambi passavano più tempo tra loro che con i propri opposti!
Agamennone dovette trovare il liscio e giovane Patroclo piuttosto interessante nella tenda da campo, tanto quanto Cleopatra, a furia di farsi fare tutto dalle ancelle e avendo con Cesare un rapporto “a distanza”, avrà cercato un po di dolcezza con qualche schiava profumata con olio di lino.
La pelle, potrebbe quindi essere stata la scoperta più interessante rispetto alla pietra focaia o a una mela del cazzo? Io credo di si. Perchè sennò Apollo fece venire a galla tutti i pesci con una palla di pelle di pollo?
In tempi moderni il mito del corpo liscio ha conquistato la quasi totalità di noi, a parte qualche Hamish e un paio di zozzoni con pretese mistiche o sociali, tanto che credo che il pelo sia in cima alla categoria dei rifiuti biologici dopo le bucce di zucchina!
Ma la natura, signora mia, è stronza e nonostante i ritrovati moderni, cerca sempre di riprendersi il suo posto, quindi ogni tanto anche io facendo la doccia mi accorgo che è l'ora di “contenere” la deriva involutiva che mi vorrebbe di nuovo primate ed è li che scopro una sensazione “ancestrale”.
Il corpo liscio, ma ancor più nello specifico i genitali, di cui la chiesa vorrebbe che ci vergognassimo ed in alcuni casi avrebbe anche ragione di chiedercelo, e l'evoluzione che invece ci ha portato alla consapevolezza di come siano fatti, trovano nella depilazione un azione a mio parere rinvigorente!
Sia maschi che femmine non fanno cerette e company per la presunta esigenza igienica o estetica ma per la piacevole scoperta di “sentirseli”. Lo so che non sta bene dirlo ma in fondo è meno scabroso di quanto sembri, in quanto se la natura ci protegge dai batteri( francamente non condivido questa opinione scientifica poiché nei boschi abitano sinistre creature)coprendoli coi peli, in realtà è facendone a meno che scopriamo a cosa servono!
Si, perché il pelo svolge una azione “insonorizzante” non permettendo alle sensazioni di comunicarci l'urgente messaggio che la natura primitiva reclama! Certo ogni vaso prezioso viene trasportato tra l'ovatta o la paglia ma cielo quando lo vuoi mostrare a qualcuno mica ce la lasci no? Immaginate un bel vaso di Gallè esposto con la paglia tutt'intorno? 
Magari non subito dopo, ma lo shock della depilazione, rende la pelle più ricettiva, gli da insomma una bella svegliata eh, che già si dorme abbastanza...e ci ricorda che non ce l'abbiamo li mica solo perché non si stacca!!!!!!
Nei maschi oltretutto una corretta “sistematina” giova anche all'illusione ottica, a quella gratificazione di saperselo, come dire, ad una certa altezza anche se non fosse proprio eccezionale!
Le donne che invece non si pongono problemi di dimensioni esterne particolari, tranne quelle che, come una mia amica, assumono Fluoxetina, (pare renda il clitoride molto più vistoso)trovano nella depilazione un santo motivo per non sorbirsi il solito “monologo della vagina”, o quantomeno per dargli un occhiata, che in tempi incerti come questi, fa anche tanto “prevenzione”!
La pelle liscia ci rende più desiderabili al partner, evita l'antipatico effetto “palla di pelo” e se anche non ci regalerà una nottata indimenticabile di certo diminuisce di una taglia l'intimo!
Negli ultimi anni, complice la crisi, alcuni sono ritornati all'idea del “naturale”, mettendo in discussione la necessità di sottoporsi a depilazioni rasatine e affini. In parte negli anni del boom economico forse avevamo un po' esagerato con uomini “lavandino” e donne “bambine”, ma del resto, ogni scoperta viene poi sottoposta all'inevitabile discussione circa la sua utilità e il “pelo” non fa eccezione alla regola.
Attenzione però alla deriva medievale che in tempi di crisi ci vorrebbe di nuovo tutti pelosi, riuniti all'addiaccio a sfregare una pietra in attesa della scintilla che inevitabilmente riattiverebbe lo stesso identico percorso di evoluzione! 
Non c'è regalo più bello della pelle che tutti ci avvolge, niente di più democratico che avercela tutti e gratuitamente, per cui io mi sento di non rinunciare alle sensazioni che può dare e darmi. Non ravvederei dramma sociale più devastante di quello che ci vorrebbe incapaci di usare al meglio l'organo più grande che possediamo dopo il cervello, l'unico e autentico vessillo democratico e distintivo al tempo stesso!
Forse discendiamo dalle scimmie o forse siamo figli di una coppia di giardinieri, non saprei, ma sia che siamo scesi dagli alberi, perso una buona parte del pelo inutile e cominciato a camminare eretti o che dopo aver scoperto che una mela al giorno toglie l'Eden di torno( tenere in ordine quel giardino deve essere stato un inferno), ci siamo comunque  resi conto che erba e peli  hanno in comune una cosa: crescono pervicacemente e stanno bene folti solo nei monti e negli animali....

martedì 14 gennaio 2014

SI PUO' FAREEEEEEEE!!!!!!


Urlando questa frase, il professore del racconto di Mary Shelley, non solo dava vita all'inerme corpo rattoppato di Frankestein ma anche affermava di poter scardinare la morte, sfidare l'immobilità che essa reca e infondere ad un corpo l'energia che ne contraddistingue l'esistenza!
Sono certo che anche voi condividete che la vita in sé,  non sempre è associata alla vitalità, tant'è vero che, quando stringete la mano a qualcuno che pur è vivo, potete sentirne la vitalità o altrettanto immediatamente, la sua apparente quanto inspiegabile mancanza! Avete presente quelle mani flaccide che nemmeno se le stringete sembrano ricevere la  vostra scossa? Che vi viene voglia di urlarglielo il titolo di questo brano!
Mi sono chiesto spesso quale ragione, quale casualità, quale ingiustizia si celi nella impari distribuzione della vitalità che sembra aver avuto luogo nella razza umana e per farlo, ho dovuto partire da me come cavia zero. Io ero vitale, e se lo ero, cosa lo rendeva evidente? 
Innanzitutto, suppongo che il principio fondamentale sia non solo che essere vivi sia una forma di “moto a luogo” per cui necessiti di vitalità ma che esserlo “a tempo determinato”, come per la mortale creazione, sia ancor più che  uno stimolo una vera e propria pedata nel culo, un conto alla rovescia che non preveda lo spreco nemmeno di uno, di quei preziosi quanto sconosciuti nel numero disponibile a ciascuno,  minuti di vita.  Io ad esempio ero un bambino silenzioso, apparentemente apatico, ma nella mia testolina frullavano mille domande e il mio silenzio, forse  una forma di sfiducia nei miei interlocutori, si ruppe non appena in grado di interfacciarmi con altri e la domanda divenne il mio incessante, sfinente, imbarazzante modo di urlare continuamente, fino ad oggi : si può fare!
Eppure, pare che nel volto stesso di alcuni ancorché nella stretta di mano tale urgenza non si ravveda, da non confondersi con la serenità zen di altri né che se anche immobili, vivono intensamente in qualche dimensione interiore!
Nonostante anche questi “morti viventi” emettano il primo vagito sotto forma di pianto, che potendo sarei certo si risparmierebbero anche quello, il loro sviluppo sembra essere solo temporale, cioè, crescono maturano e invecchiano con quella stessa insopportabile piattezza non rispondendo con stupore alla domanda si può fare né ponendosela come necessaria!
Queste persone vivono, come mia madre, una vita “normale”e attraversano gli eventi con apparente forza, perché devi credere che siano tali, se di fronte ad una notizia infausta, quanto alla più grande gioia, non leggi nessun picco nel tracciato piatto della loro esistenza, ma in realtà è proprio la forza quello che manca, la vitale risposta alla domanda che ogni evento pone: ce la posso fare?
Per essere del tutto onesti nemmeno bisogna intendere la vitalità come quella forma di esaltazione che prende alcuni da quando nascono a quando muoiono. Avete presenti quelli che lavorano, vanno a correre nelle pause che alle sei di mattina hanno già fatto yoga, colazione, beneficenza, spesa on line, depilazione e forse anche risolto il debito coniugale? Ecco.
Queste persone anch'esse venute al mondo con un pianto, non hanno più smesso di proclamare la loro urgenza vitale ma non per questo sono meno irritanti dei mollaccioni di cui sopra, anzi, a ben guardare, essi rappresentano l'iperbole opposta in quanto alla domanda si può fare, rispondono: già fatto! A questo punto, vi starete dicendo che l'argomento stagna nella palude delle differenze, nel brodo organico delle eccezioni che si risolve con: ognuno è diverso e chissene!
Torniamo per un momento alla domanda: si puo fareeee? Che cosa andrebbe fatto per dare una risposta vitale? Nel caso del povero Frankenstein fu sufficiente muoversi per rispondere si, mentre poi gli eventi che lo videro rapportarsi agli altri, avrebbero giustificato meglio la domanda: farlo era proprio necessario? Il giovane Frankenstein, in fondo, con tutta la sua mostruosa e goffa vitalità e nonostante una risposta sociale pessima, non perse mai di vista che essere vivo non era sufficiente, che per sentirsi vivo, doveva essere amato per quello che era da qualcun altro.
Ecco perché il caso di coloro la cui vitalità sembra esaurirsi con la velocità di un giro di corda al carrillon, è di gran lunga più curioso di coloro la cui vitalità li rende impossibili da ignorare, perché i primi non facendo quasi nulla ottengono quella conferma della propria esistenza, che chiamiamo amore, proprio  dai loro opposti vitali. Quindi una morta di sonno si sposa un iperattivo o un lesso viene circuito da una manza tutta pepe. Perché? Perché nel risparmio energetico di queste persone, nella totale opacità dei loro intenti, nel vuoto perso dei loro occhi c'è posto per l'altrui immaginazione! Si può cioè, come fece mio padre, immaginare che quel vuoto, che ancora oggi io vedo  nello sguardo di mia madre, nella foto che li ritrae al loro matrimonio, sia trasognato sentimento e quindi la totale mancanza di una emozione “riconoscibile”, ispira la fantasia del più vitale dei due che pensa: si può fare!
La punta più alta di vitalità di mia madre non furono i propri figli né la paura per la Guerra del Golfo, né la mistica figura di Dio e neanche la serie di malattie che avrebbero potuto sopraffarla, ma piuttosto la tardiva coscienza che mio padre, ormai morto, avesse sempre avuto ragione!
Dopo aver passato con lui una quarantina d'anni scarsa limitandone lo slancio vitale in ogni dove possibile, dal talamo al catasto, ed averci convinto del pericolo mortale che il mondo rappresentava(per lei), mia madre ebbe un sussultino ma piccolo piccolo eh, uno di quei “colpetti” che riuscirono a farla smettere di dondolarsi sulla sedia(non a dondolo) come era solita fare, cosa che le dava l'aria pensosa e profonda di una saggia sciamana ma che in realtà era un inutile moto perpetuo fine a se stesso. Piuttosto ligia però, avresti potuto prenderla con tutta la sedia e mettendola dentro un pendolo ottenere l'ora esatta il giorno dopo o anche usarla come metronomo durante una lezione di pianoforte, il tutto ovviamente, senza nessuna risibile differenza emotiva che la toccasse.
Comunque dicevo ebbe un colpetto di fulmine e, di fronte alla possibilità di acquistare settimanalmente i pezzi singoli della “casa delle bambole” de Agostini,(la vedovanza ebbe un effetto regressivo) per completarla forse qualche mese dopo assemblandola da sola, dovette dirsi: si può fare! Telefonò, individuando anche il numero nella confezione, alla casa editrice ottenendo con un lieve sovrapprezzo dell'ammontare della reversibilità di un mese del caro estinto, di avere la casa delle Bambole già bella che montata e finita! Non si può dire che il sogno immobiliare di mio padre fosse stato ben interpretato, né riscattato ma la Maria Luisa aveva fatto il meglio che poteva, tant'è vero che a quel guizzo seguì una catatonia che dura a tutt'oggi!
Ed ecco il vero senso dell'esistenza di quelli che chiamerei “apatici secolari”. Essi esistono affinchè la domanda, si puo fare, ottenga una risposta e siccome l'universo è benevolo non è da questi che la si pretende bensì da coloro che, per un istinto simile a quello che muove la coda agli spermatozoi, sentono l'urgenza vitale di immaginare un futuro, di trovare in quel vuoto, fatto a persona,  un contenitore adatto all'eccedenza del proprio spirito. Una sorta di teoria dei vasi comunicanti a livello genetico che soddisfi il bisogno dei mortali di sfidare il proprio limite esistenziale, riproducendosi per poter in qualche modo fregare la morte prima di consegnarsi ad essa...morte che invece giungerà più tardi per gli apatici secolari, in quanto anche La Nera Signora, non è una tipa a cui manchi la determinazione perciò troverebbe di gran lunga noiosa la compagnia prematura dei morti viventi, che a tempo debito, accoglieranno la sua visita con il disappunto di un peto muto che  ti sfugge senza che nessuno se ne accorga!
Se il compianto Dottor Frankenstein avesse incontrato la Maria Luisa anziché Frau Blucher avrebbe di certo risparmiato fatica nell'assemblare la sua Creatura, trovandosi una morta già bella che finita (come la  sua casa delle bambole)  e probabilmente si sarebbe posto una domanda più sensata di quella se si può fare, come ad esempio: chi me lo fa fare?
Senza contare che, una volta animata, la Creatura si trovò come dote soltanto un enorme Swanzstucker che alla Maria Luisa non avrebbe fatto nessun effetto, e all'urlo potente di Dottor Frankestein, SI PUO' FAREEEEEEEEEEEEEE, al nitrito dei cavalli imbizzarriti da Frau Blucher, allo Stupore di Inga la giuliva
assistente, e temo anche di fronte alla Creatura avrebbe opposto uno dei suoi commenti preferiti di fronte all'irruenza della vita e cioè: si può fare, dite?  Non c'ho testa !!!!!!!!!

venerdì 10 gennaio 2014

Magre consolazioni.




Dato che questo è il primo post dell'anno, dovrebbe contenere positive speranze e ottimistici auspici per cui, il titolo “magre consolazioni” merita un incoraggiamento a proseguire la lettura in quanto non parleremo di ciò che sembra: niente lamentele politiche, niente provocazioni per le taglie forti né pipponi alle fan della magrezza vegana e tanto meno dietrologie sull'anno passato.
Definire magra la consolazione è un modo poetico per ammettere che a malapena uno ha salvato la ghirba dal totale fallimento...o la vittoria in questione, la soddisfazione, giunge in tale ritardo o per vie tali per cui dimezza il senso di sazietà che ci aspetta giustamente dal pieno successo, dalla totale riuscita o dal riconoscimento indiscutibile che si cercava. 
Ricordo un tempo in cui non avrò avuto più che dodici anni in cui, uscito dalla vasca del bagno dove ero stato vivamente incoraggiato ad immergermi da mia madre , data la naturale pigrizia igienica dei maschi adolescenti e meditabondo, alquanto contrariato per quella perdita di tempo di asciugarsi e il cotton fioc per le orecchie, che se poi mi beccano che asciugandomi tra le natiche lascio il segno sulla salvietta, perché invero un culo immerso non è detto che ne esca pulito, insomma pensavo: che palle doversi lavare e poi tutti i giorni tutti tutti? 
Non era da molto che, di fronte ad uno specchio osservavo...il mio corpo come mica prima, cominciando invero ad indugiare su quella sagoma incerta e sgraziata che mi conteneva, alla ricerca di una qualche risposta sul perché fossi finito lì dentro, e ricordo che i gesti frettolosi  con cui mi asciugavo, i quali sarebbero tornati tali molti anni dopo, si fecero più lenti come se dovessero conservare una qualche memoria di quei confini. Le gambe erano due e pensai che forse era per quello che non erano affatto uguali, che mica c'era uno stampo per farle identiche, ma diamine il mio era davvero uno di quei lavori “a mano libera”, una dritta e secca l'altra ancora più secca e storta..mah comunque, passando più avanti nel mio screening corporeo, la pancia piatta e acerba seguiva le linee della schiena che neanche quella era dritta dritta, quindi i miei profili, i confini dalle ascelle alle anche erano di due corpi diversi o così pensai girandomi verso quello in cui, il mio preferito, la vita si stringeva poco prima dei fianchi creando un onda che accarezzavo con la mano pieno di piacere, per la sensazione di armonia che mi lasciava sul palmo ancora umido. L'altro lato, decisamente più maschile, non ne voleva sapere di regalarmi quella curva anzi resisteva gonfiandosi lievemente addirittura verso l'esterno se  piegavo un po la schiena e accidenti, anche se con la mano cercavo convinto di spingere quel pannicolo adiposo verso il punto dove secondo me doveva sparire, non ne voleva sapere!
La mamma alzava la voce sollecitandomi l'uscita dall'unica stanza da bagno della casa, ma ignorarla era facile per me e il mio corpo bifronte era di gran lunga più interessante di lei. Dovetti in quel momento, non privo comunque di coscienza che l'urgenza materna avrebbe prodotto delle conseguenze prendere in fretta una qualche decisione in merito all'involucro che come d'improvviso confezionava i miei misteri e che mi era apparso dopo il bagno per la prima volta altrettanto urgentemente, così facendo un passo indietro per migliorare la mia visuale notai una piccola    fila indiana di peletti che ordinati, come niente sembrava esserlo,  partiva dallo sterno depresso del mio piccolo torace asfittico, centrando l'ombelico  proseguendo poi verso l'inguine. Li sfiorai con il dito e li vidi scomporsi e ritornare in fretta alla loro posizione come soldatini a cui era stato impartito un comando sbagliato e che perciò ritrovavano pace nella loro formazione originale!
Sorrisi a quel ranocchio nudo e all'esercito di peletti che lo percorreva e una sensazione tiepida di calore si irradiò in me, che a quel punto avevo capito che il mio corpo a metà sarebbe stato il mio segreto felice, perché credetti che nell'indecisione dei miei natali, qualche forza benevola mi avesse concesso più che ad altri una scelta, un dialogo più dolce tra il maschile e il femminile tutto per me!
Nella determinazione di un momento magico come quello, il cui imperituro ricordo mi guida tutt'oggi, io pronunciai una frase ad occhi bassi: io sarò sempre magro! Alzai gli occhi coraggiosi e fotografai, credo immortalai, quello scatto come una dichiarazione solenne all'esercito peloso del mio addome. Io, Generale Due corpi vi ordino miei cavalieri della pancia piatta di vigilare sui confini che i miei occhi vedono oggi e difenderli!
Non c'era davvero un pezzo che fosse a posto in  quell'età meravigliosa in cui atti potenti e magiche profezie sono possibili.
L'associazione tra il mio corpo la sensazione piacevole e lo sguardo fermo creò quello che io timidamente definisco come il sortilegio cinestesico: cioè la remota possibilità di determinare attraverso l'incontro di percezioni tattili fortemente piacevoli  e immagini inconscie, una fotografia mentale che possa avere nel cervello la valenza di una direzione tracciata! Io a distanza di così tanti anni, non solo sono ancora magro e sgraziato ma non ho mai né in salute né in malattia visto modificati i perimetri del mio corpo, data anche l'assunzione per  quindici anni  di sostanze e farmaci come ad esempio potenti barbiturici e antidepressivi, che notoriamente gonfiano, e la mia unilaterale e autonoma scelta di smetterli senza nessun controllo medico.
Quando divenni adulto, sopravvissuto alla minaccia di sentirmi “malfatto” ancorché malato e deforme instillatami da sfavorevoli combinazioni concentriche di sfortunati eventi e ignoranza famigliare, non sapendosi spiegare altrimenti  la mia stranezza comportamentale, il mio piccato rifiuto all'obbedienza cieca che si pretende dai giovani e sovrappiù l'insofferenza degli adulti  all'impossibilità di piegarmi pur sembrando così fragile e stentato, cercai qualche conferma o smentita di ciò che avevo pensato in quel bagno!
Scoprii che il cervello non discerne il bene o il male ma piuttosto le neuroscienze indicano la sua tendenza a seguire delle “programmazioni” a tracciare solchi neuronali più o meno complessi e profondi che determinano comportamenti radicati che chiamiamo abitudini, ma ancor più recentemente si è compreso il ruolo che emozioni forti hanno nello sviluppo di tali tracciati.
La risposta certa non ce l'ho né posso in alcun modo proporre un modello, ma noto ancora oggi nelle forme fisiche delle persone che conosco un curioso abbinamento a sensazioni precise che se identificate sembrano avvallare la mia ipotesi e cioè che abbiamo su di noi maggior potere di ciò che crediamo di avere. 
Le persone in sovrappeso spesso hanno storie altrettanto forti o immagini ricorrenti di morbidezza nel loro archetipo familiare. Può essere che il grasso non si accumuli solo per l'introduzione di cibo? Oppure che la facilità con cui i magri non lo accumulino sia solo una casualità?
Il rapporto che si crea col cibo è davvero l'unica risposta? Ebbene nel mio caso, so di non aver mai avuto con esso un rapporto emotivo consolatorio...io mangio felicità sotto forma di cibo, ma non lo assumo per tristezza, non lo considero un nemico da controllare né l'unico amico da far “entrare”, tuttavia le quantità di cibo che mangio dovrebbero, specie ora che sono vecchio, farmi ingrassare facilmente e invece sembrano non avere alcun potere.
Ovviamente il mio corpo cambia, è cambiato ma è come se sapesse di dover deperire all'interno della sua memoria...di quei confini imposti al centro comando del mio cervello che stimola gli organi preposti a fare il loro lavoro, a darmi ragione.
In questo senso ovviamente la mia, è da definirsi una “magra consolazione”, in quanto il tempo non manca di fare il suo lavoro sul mio corpo, né alcuna scienza, fede o mistica filosofia riesce a smentire o a confermare quella che ovviamente tutti ritengono unicamente, una fortuna biologica ma di quelle sfacciate eh! Mi chiedo tuttavia: perché questa storia merita di essere raccontata?
Non lo merita nell'inteso che abbiate dei super poteri, come pensavo da bambino(pensiero magico che tuttavia non mi sento di escludere del tutto), né per promuovere un qualche possibile determinismo ma solo per instillarvi un ragionevole dubbio su ciò che ritenete che nella nostra vita “non sia possibile”. Sono certo che ognuno di voi abbia fatto una qualche fotografia mentale abbinata a forti sensazioni emotive, e vi invito raccontandovi la mia storia, a credere che possiate spiegarvi meglio come mai quella data cosa, colore, tipo di persona, o forma fisica, o tipo di cibo vi piaccia o meno e magari a scoprire come sto cercando di fare anche io se il vostro cervello non sia disponibile tutt'oggi a nuove “direzioni” da prendere magari con la consapevolezza che esso potrebbe far fare al vostro corpo ciò che la nuova direzione richiede. Abbiate cura di sapere, e questo credo sia l'unico valore di questa storia, che il cervello non fa differenza tra positivo e negativo ma solo tra segnale forte e debole, il che equivale a dire che una fotografia mentale”sfocata” non produrrà una programmazione nitida e duratura.
Concludo questo viaggio assurdo per alcuni, dicendovi che ho cercato di applicare questo sistema di “programmazione” sul mio carattere, per addolcirlo,  ma è rimasto discretamente intrattabile come molti di voi lo conoscono....anche se “magra consolazione”, credo accada perché le mie spigolature, il mio provocatorio atteggiamento nei confronti delle “certezze”  mi da un immenso piacere, e ogni volta che scelgo le parole più giuste per esprimerle, temendo di averle usate già tutte, sembra che il mio cervello non esaurisca mai le scorte disponibili per lasciarmi così come sono: irregolare e felice.