Ci sono persone che non si annoiano? Dicono di si, che ci siano persone che non hanno tempo di farlo, ma io non ci credo. Credo invece, che anche non avere tempo di annoiarsi sia un modo fico di dire che non se ne può più, e che questo sì, sia veramente noioso da ripetere e da ascoltare.
A me capita che questa signora lamentosa di cui non si capiscono i bisogni, mi venga a trovare.
Arriva si siede sul mio divano e mi guarda: che vuoi? le dico, ma lei alza le spallucce e storce il viso, senza rispondere.
I suoi occhi sono vuoti e le spalle cadenti, fuori c'è il sole e so che basterebbe alzarsi e lasciarla li sul divano, ma lei allunga la sua manina flaccida e mi trattiene facendo un espressione che sembra voler dire: ma chi te lo fa fare? Allora sento che la volontà mi sfugge e mi risiedo con lei al fianco.
Potrei andare in piscina. Di domenica?
Potrei fare due passi. Con questo caldo, e poi verso cosa?
Potrei scrivere o leggere. Ho già sonno.
Allora domenica, rinuncio a muovermi, accetto la sconfitta, e smetto di voler fuggire da lei, e la invito a guardarsi un film con me. Io non parlo non parlerà neanche lei, lo farà qualcun'altro per noi.
Il film comincia, e come sempre mi cattura subito nel suo ambiente. Il Mississipi, gli anni di Martin Luther King, la cittadina di Jackson nei primi anni 60.
Se eri una donna di colore a quel tempo, non potevi sperare di annoiarti perché nevrotiche signore bianche esigevano questo o quello ogni minuto della tua giornata, finita la quale poteva capitarti di dover fare chilometri a piedi per tornare a casa.
Oggi si lucidano gli argenti, o si bada alla piccola, comunque si cucina, e qualcosa di fresco deve sempre esserci per le amiche della signora che vengono a giocare a bridge, mentre altre donne come te lucidano i loro argenti, badano ai loro figli, preparano qualcosa di fresco.
A casa un uomo, che a sua volta ti picchia per sfogare come può la sua frustrazione, e troppi figli da crescere, o forse a causa dell'odio razziale da piangere.
Uccisi come cani per pochi dollari.
Eppure queste donne che la vita ha forgiato col fuoco, se i bambini che curano come madri, gli chiedono: perché non sei bianca, rispondono, perché ho bevuto troppi caffè! E se nei pullman si incontrano, si salutano chiamandosi signore o signora e alla domanda come sta, dicono l'un l'altro, come vuole Dio.
Una giovane ragazza bianca vive sulla sua pelle una diversità che la rende "sbagliata" nella società di quel tempo, non fa del cercare marito la sua principale occupazione. Anche lei non vuole annoiarsi a morte in un salotto buono o dal parrucchiere, lei vuole scrivere, lavorare. Ma più di tutto vuole sapere perché la sua vecchia tata di colore se ne sia andata senza lasciarle nemmeno due righe. Lei che come dirà alla madre le aveva dato l'unico modello di cui aveva bisogno, visto che sua madre era troppo presa da se stessa.
Questa indomita ragazza, sfida così le consuetudini odiose del suo tempo, e comincia con tenacia a raccogliere le esperienze delle cameriere e a proporre a una editrice di New York il suo progetto editoriale.
Quel che ne segue è l'emozionante intreccio tra queste donne che nessuno ascoltava, e una pagina bianca su cui riverseranno molte delle loro amarezze, ma anche ciò che ci vuole a scrollare ogni sistema: la verità. Una verità che nessuno si augurava scombinasse la tranquilla cittadina di Jackson e cioé che annoiarsi spinge a diventare crudeli, a dominare qualcuno perché paghi il prezzo della nostra insoddisfazione.
Una insoddisfazione, quella delle donne di Jackson, molto simile a quella che vedo oggi. Un torpore che viene da una pancia piena e una mente vuota. Una rabbia verso chi sa cavarsela con molto meno, con chi non brucia mai la pietanza che non sono in grado di cucinare, con chi pagano per un lavoro pensando in fondo di aver per questo un "diritto di proprietà". Così rammento le storie della mia amica che fa quel lavoro oggi, a quasi quarant'anni dopo gli anni sessanta, e che mi racconta.
Di come lavori per donne che partoriscono figli che non amano, degli spiccioli che lasciano le anziane sul tavolo per mettere alla prova la sua onestà, o dei pantaloni lerci che la costringono a stirare, invece di lavarli, le mogli noncuranti di rispettabili professionisti.
Storie di avvocati, medici, e gente ricca le cui mutande sporche lasciate sul pavimento prima che lei arrivi, siano meno penose per lei dello sguardo dei loro figli. Anche lei, non ha tempo di annoiarsi ma ne ha per me, quando insieme beviamo un caffé la sera mentre legge cosa scrivo, lei che scrive molto bene nel segreto della sua casina ben curata.
Anche allora c'era una crisi economica, e profondi sconvolgimenti sociali si preparavano, forse un pò come oggi, ma come oggi, questo sembrava non riguardare molte persone, che forti di un denaro che non compra la qualità delle loro vite, credevano di dover continuare a vivere esattamente come prima, ad avere il diritto di annoiarsi con la pancia piena.
Più furbe le moderne "signore" della Jackson che il mondo sembra di nuovo essere tornato a diventare, celano la propria indifferenza attraverso un certo impegno sociale, un amore per il sud di un mondo che gli resta lontano, intanto che lasciano gli spiccioli sul tavolo, per vedere se li ritrovano.
Il film finisce, si intitolava The Help anonymous- l'aiuto. E un aiuto me lo ha dato eccome.
Mi ha fatto capire che la mia non è noia, è stanchezza. La stanchezza di lottare per inserire nella noia di altri un pò di bellezza, un pò di umanità, uno stimolo ad incontrarsi davvero e mettere insieme le proprie risorse. E' un senso di vuoto che non mi arriva da dentro, dove anzi sono pieno di cose da dare, ma da fuori.
Le cameriere di Jackson, che si abbracciano e che si difendono l'un l'altra mentre friggono ali di pollo, che sperano in un miglior mondo avvenire ma che si fanno il culo quello vero per restare a galla in questo, che sono amiche come nessuno oggi vuole esserlo per qualcun'altro, queste sono le persone che cerco. Questa la persona che cerco di essere, quando ogni giorno lotto con spazzola e phon per lasciare in un ricciolo un pò di poesia, o quando ascolto gli sfoghi delle amiche durante il tragitto che fanno per arrivare dai loro fidanzati, e che da tempo non mi parlano più di loro stesse e di noi, ma solo di cosa hanno paura che non succederà loro.
Il mondo che si è allargato, che è connesso, è diventato un cembalo stonato che rimbomba sulla rete o nei telefoni la propria vuotezza, ma nessuno vuole ammetterlo.
I circoli femminili e maschili di quegli anni sono oggi condensati nei social network, dove altro non vedi che cause da sposare con un "mi piace", o profili che non hanno altro da mostrare che le proprie mutande, le proprie case vuote e perfette, e vacanze dalle quali tornano tutti stanchi e annoiati. Filosofie inutili che inneggiano allo star bene con se stessi che se non "condivise" scatenano tutto il malessere che solo le forzature e la solitudine sanno generare, tutto pur di sfuggire al vero problema: le persone si annoiano a morte, perché non fanno niente per nessuno che non siano loro stessi.
Si c'è bisogno di un Help di un aiuto. C'è bisogno di qualcuno che venga a trovarci con una buona idea, c'è bisogno che quella idea la troviamo noi magari davanti a due ali di pollo fritto e un caffè. A casa mia o tua.
C'è bisogno di bere tanto caffè da diventare neri e coraggiosi, umili e affezionati, seri e amorevoli come delle cameriere di colore negli anni sessanta, senza volere in cambio nient'altro che la speranza di un futuro che riconosca di nuovo l'umanità che abbiamo perduto tra boutique, portatili e conti correnti.
La signora di cui non capisco i bisogni, è sparita al suono del campanello. Il caffè è sul fuoco e la mia amica è arrivata dal lavoro per berlo insieme.