martedì 17 luglio 2012

un aiuto imprevisto.


Ci sono persone che non si annoiano? Dicono di si, che ci siano persone che non hanno tempo di farlo, ma io non ci credo. Credo invece, che anche non avere tempo di annoiarsi sia un modo fico di dire che non se ne può più, e che questo sì, sia veramente noioso da ripetere e da ascoltare.
A me capita che questa signora lamentosa di cui non si capiscono i bisogni, mi venga a trovare.
Arriva si siede sul mio divano e mi guarda: che vuoi? le dico, ma lei alza le spallucce e storce il viso, senza rispondere.
I suoi occhi sono vuoti e le spalle cadenti, fuori c'è il sole e so che basterebbe alzarsi e lasciarla li sul divano, ma lei allunga la sua manina flaccida e mi trattiene facendo un espressione che sembra voler dire: ma chi te lo fa fare? Allora sento che la volontà mi sfugge e mi risiedo con lei al fianco.
Potrei andare in piscina. Di domenica?
Potrei fare due passi. Con questo caldo, e poi verso cosa?
Potrei scrivere o leggere. Ho già sonno.
Allora domenica, rinuncio a muovermi, accetto la sconfitta, e smetto di voler fuggire da lei, e la invito a guardarsi un film con me. Io non parlo non parlerà neanche lei, lo farà qualcun'altro per noi.
Il film comincia, e come sempre mi cattura subito nel suo ambiente. Il Mississipi, gli anni di Martin Luther King, la cittadina di Jackson nei primi anni 60.
Se eri una donna di colore a quel tempo, non potevi sperare di annoiarti perché nevrotiche signore bianche esigevano questo o quello ogni minuto della tua giornata, finita la quale poteva capitarti di dover fare chilometri a piedi per tornare a casa.
Oggi si lucidano gli argenti, o si bada alla piccola, comunque si cucina, e qualcosa di fresco deve sempre esserci per le amiche della signora che vengono a giocare a bridge, mentre altre donne come te lucidano i loro argenti, badano ai loro figli, preparano qualcosa di fresco.
A casa un uomo, che a sua volta ti picchia per sfogare come può la sua frustrazione, e troppi figli da crescere, o forse a causa dell'odio razziale da piangere.
Uccisi come cani per pochi dollari.
Eppure queste donne che la vita ha forgiato col fuoco, se i bambini che curano come madri, gli chiedono: perché non sei bianca, rispondono, perché ho bevuto troppi caffè! E se nei pullman si incontrano, si salutano chiamandosi signore o signora e alla domanda come sta, dicono l'un l'altro, come vuole Dio.
Una giovane ragazza bianca vive sulla sua pelle una diversità che la rende "sbagliata" nella società di quel tempo, non fa del cercare marito la sua principale occupazione. Anche lei non vuole annoiarsi a morte in un salotto buono o dal parrucchiere, lei vuole scrivere, lavorare. Ma più di tutto vuole sapere perché la sua vecchia tata di colore se ne sia andata senza lasciarle nemmeno due righe. Lei che come dirà alla madre le aveva dato l'unico modello di cui aveva bisogno, visto che sua madre era troppo presa da se stessa.
Questa indomita ragazza, sfida così le consuetudini odiose del suo tempo, e comincia con tenacia a raccogliere le esperienze delle cameriere e a proporre a una editrice di New York il suo progetto editoriale.
Quel che ne segue è l'emozionante intreccio tra queste donne che nessuno ascoltava, e una pagina bianca su cui riverseranno molte delle loro amarezze, ma anche ciò che ci vuole a scrollare ogni sistema: la verità. Una verità che nessuno si augurava scombinasse la tranquilla cittadina di Jackson e cioé che annoiarsi spinge a diventare crudeli, a dominare qualcuno perché paghi il prezzo della nostra insoddisfazione.
Una insoddisfazione, quella delle donne di Jackson, molto simile a quella che vedo oggi. Un torpore che viene da una pancia piena e una mente vuota. Una rabbia verso chi sa cavarsela con molto meno, con chi non brucia mai la pietanza che non sono in grado di cucinare, con chi pagano per un lavoro pensando in fondo di aver per questo un "diritto di proprietà". Così rammento le storie della mia amica che fa quel lavoro oggi, a quasi quarant'anni dopo gli anni sessanta, e che mi racconta.
Di come lavori per donne che partoriscono figli che non amano, degli spiccioli che lasciano le anziane sul tavolo per mettere alla prova la sua onestà, o dei pantaloni lerci che la costringono a stirare, invece di lavarli, le mogli noncuranti di rispettabili professionisti.
Storie di avvocati, medici, e gente ricca le cui mutande sporche lasciate sul pavimento prima che lei arrivi, siano meno penose per lei dello sguardo dei loro figli. Anche lei, non ha tempo di annoiarsi ma ne ha per me, quando insieme beviamo un caffé la sera mentre legge cosa scrivo, lei che scrive molto bene nel segreto della sua casina ben curata.
Anche allora c'era una crisi economica, e profondi sconvolgimenti sociali si preparavano, forse un pò come oggi, ma come oggi, questo sembrava non riguardare molte persone, che forti di un denaro che non compra la qualità delle loro vite, credevano di dover continuare a vivere esattamente come prima, ad avere il diritto di annoiarsi con la pancia piena.
Più furbe le moderne "signore" della Jackson che il mondo sembra di nuovo essere tornato a diventare, celano la propria indifferenza attraverso un certo impegno sociale, un amore per il sud di un mondo che gli resta lontano, intanto che lasciano gli spiccioli sul tavolo, per vedere se li ritrovano.
Il film finisce, si intitolava The Help anonymous- l'aiuto. E un aiuto me lo ha dato eccome.
Mi ha fatto capire che la mia non è noia, è stanchezza. La stanchezza di lottare per inserire nella noia di altri un pò di bellezza, un pò di umanità, uno stimolo ad incontrarsi davvero e mettere insieme le proprie risorse. E' un senso di vuoto che non mi arriva da dentro, dove anzi sono pieno di cose da dare, ma da fuori.
Le cameriere di Jackson, che si abbracciano e che si difendono l'un l'altra mentre friggono ali di pollo, che sperano in un miglior mondo avvenire ma che si fanno il culo quello vero per restare a galla in questo, che sono amiche come nessuno oggi vuole esserlo per qualcun'altro, queste sono le persone che cerco. Questa la persona che cerco di essere, quando ogni giorno lotto con spazzola e phon per lasciare in un ricciolo un pò di poesia, o quando ascolto gli sfoghi delle amiche durante il tragitto che fanno per arrivare dai loro fidanzati, e che da tempo non mi parlano più di loro stesse e di noi, ma solo di cosa hanno paura che non succederà loro.
Il mondo che si è allargato, che è connesso, è diventato un cembalo stonato che rimbomba sulla rete o nei telefoni la propria vuotezza, ma nessuno vuole ammetterlo.
I circoli femminili e maschili di quegli anni sono oggi condensati nei social network, dove altro non vedi che cause da sposare con un "mi piace", o profili che non hanno altro da mostrare che le proprie mutande, le proprie case vuote e perfette, e vacanze dalle quali tornano tutti stanchi e annoiati. Filosofie inutili che inneggiano allo star bene con se stessi che se non "condivise" scatenano tutto il malessere che solo le forzature e la solitudine sanno generare, tutto pur di sfuggire al vero problema: le persone si annoiano a morte, perché non fanno niente per nessuno che non siano loro stessi.
Si c'è bisogno di un Help di un aiuto. C'è bisogno di qualcuno che venga a trovarci con una buona idea, c'è bisogno che quella idea la troviamo noi magari davanti a due ali di pollo fritto e un caffè. A casa mia o tua.
C'è bisogno di bere tanto caffè da diventare neri e coraggiosi, umili e affezionati, seri e amorevoli come delle cameriere di colore negli anni sessanta, senza volere in cambio nient'altro che la speranza di un futuro che riconosca di nuovo l'umanità che abbiamo perduto tra boutique, portatili e conti correnti.
La signora di cui non capisco i bisogni, è sparita al suono del campanello. Il caffè è sul fuoco e la mia amica è arrivata dal lavoro per berlo insieme.








martedì 10 luglio 2012

cercasi nonni disperatamente.



Dal balcone della casetta dei miei suoceri, nell'Appennino tosco emiliano, Minosse non sembrava così minaccioso. Ventate di aria fresca soffiavano facendomi pensare che anche lui sbuffasse un pò, e i giochi dei "piccoli" di casa sotto il sole tingevano il quadretto di una allegria quasi sospetta se non inquadrata nell'unica verità fondamentale, e cioè che la felicità è semplice e disponibile per tutti, ma soprattutto ancora possibile!
Con tutti i problemi, incertezze e affanni che ho sulle spalle, come facevo a non cogliere quell'occasione di gioia? Come vederla se non mettendosi da parte a guardare con gli occhi di qualcun'altro? Certo non mi illudo di darvi certezze che non ho, anche perché una partita a palla prigioniera in centro a Milano non verrebbe vista come una fuga momentanea dall'angoscia, nè devo ammettere, mi viene in cuore di farlo, credendo davvero che serva.
Allora capisco che quella felicità, l'ho provata proprio rinunciando a volere che mi riguardasse personalmente, che fosse mia, che fossi io il destinatario di quella luce, ma al massimo un fortuito passante che troppo lento ormai per per scansarne l'abbaglio insostenibile, ne sia rimasto comunque parzialmente illuminato.
Nell'egoismo di volere tutto intorno a noi abbiamo fondato le città, e i loro "costumi" sociali che hanno sempre noi come centro di ogni cosa. Cosa indossiamo, cosa programmiamo di fare, dove lo faremo e quante persone soprattutto lo verranno a sapere.
Consuetudini un pò fasulle, passate dall'eccesso di "vestizione" al più moderno "scazzo fashion" di oggi in un gorgo vorticoso di uniformi da indossare o da stracciare prima di farlo, e discorsi inutili da fare negli stessi ambienti angusti e opprimenti che oggi sono "in" tra un palazzone e un'altro.
Mi piaceva da pazzi quando, da bambino finivo il bagno e facevo girare il dito nello scarico per formare il mulinello, ma mai avrei immaginato di finirci dentro da adulto.
E gli altri chi sono? quale lo scopo dell'adunata fuori da questo o quel locale? Quale il gorgo verso il quale si spingono?
Una utenza misteriosa e potente dalla quale pescare un'avventura, carpire uno sguardo che dia senso alla mascherata con cui ci siamo proposti o al minimo un display dove veder riflessa l'immagine di persona felice che nemmeno il nostro più amato vestitino a fiori, riesce più a convincerci di possedere realmente. Ecco a cosa abbiamo ridotto chi non è IO.
Allora si torna indietro, e negli stessi luoghi si discorre di come sia più bello andare in una isola deserta invece che al resort, o di come chissene frega dei tacchi per forza se ci sono gli ugualmente costosi minisandali bassi, o si regalano perline infantili a donne adulte per farle sentire delle "bimbe", pronte per la loro "primavolta"
Ma bimbi si è una volta sola, e una soltanto è la giornata felice del suo ottimismo al profumo di cioccolato spalmabile, e quindi nemmeno questa finzione del "bambino interiore" è sfuggita dal mulinello della realtà vorticosa che tutto spinge verso il grande scarico dell'esistenza!
Perchè il segreto di una vita serena, sospetto non sia nel mantenersi giovani, o nel cullare fantasie infantili di principesse o giovani avventurieri senza tempo per la tristezza, quanto piuttosto nel trovarsi, a vivere davvero la più grande soddisfazione di un adulto, la certezza cioè, che la "sete" egoistica di emozioni brucianti sia spenta, finita, non più dovuta soprattutto, ma che sia stata assaporata per il tempo giusto in cui ci spettava e non oltre!
Che sia durata poco o tanto non importa, il bagno in quella fonte lo abbiamo di certo fatto e per questo abbiamo il dovere di preparare la vasca per chi c'è dopo di noi. Non a caso credo infatti, che l'ostinata volontà di non staccare le labbra da quella fonte, ci abbia spinto a privare proprio loro, i bambini, di quel diritto.
Mai quanto oggi, adulti odiosamente infantili, si spingono ad ogni forma di schifoso gesto proprio contro i bambini, spingendoli a crescere in fretta, a tenersi occupati, a capire che la vita non è un gioco, ma solo per guadagnare tempo e libertà per i propri "giochi", come la " bambina capricciosa e sexy" o " l'uomo incompreso da consolare", nella più rosea delle ipotesi.
Ci sono i nonni per questo dicono alcuni, ma che ne sarà dei bambini, di quella merenda, di quella briscola "barata" in cui vincono sempre, se nessuno di noi vorrà esser nonno? Ce la vedi una nonna settantenne con la xs , i piercing, le tette ancora aggrappate alle costole, preparare una merenda?
O come faremo depresse e piene di psicofarmaci, immerse nei nostri rimpianti, a consolarli per un ginocchio sbucciato?
Spero che un giorno donne e uomini ritrovino il coraggio di rinunciare a una serata tra donne e uomini, e comincino a guardarsi in faccia, a riconoscersi come i custodi di un diritto che dobbiamo "passare". Quello di credere che c'è un tempo per essere felici, e un tempo per esserlo per qualcun'altro.
Che si trovino da soli o in compagnia, affacciati ad un balcone a godersi la meraviglia di un paesaggio come quello che ho visto io, e scorgendo il sorriso grato di un bambino per la sicurezza che il nostro amore sia vigile e autentico per loro, trovino pace e senso autentici essi stessi!






mercoledì 4 luglio 2012

Bianco


Cara pagina bianca, ormai ci sei rimasta solo tu.

Tu sei per me uno spazio per respirare, in questo mondo che è diventato piccolo e ingombrante al tempo stesso. Tu libera, tu pulita di parole ancora da scrivere, tu pronta ad accogliermi col tuo spazio vuoto, tu che senza ostacolarmi ti lasci tracciare dai segni della mia grafia come io faccio con i tempi che corrono!
Dopo essermi sfiancato con interlocutori umani, troppo pieni di sè, o troppo vuoti di idee da non lasciare spazio al silenzio, vengo a cercarti, non per scaricarmi quanto per sentire il dolce invito al tuo spazio bianco. A volte mi delizio di attendere nel silenzio il momento buono per cominciare, e senza un perché scopro quante cose posso dirti, quante tu come nessuna, ne possa contenere.
Eppure non è solo libertà ciò che provo, come mi accade anche con i miei simili, lo spazio vuoto o l'ascolto mi suscitano delle responsabilità. So bene che ciò che scrivo è inoppugnabilmente mio, so di non poter cioè fuggire dal significato di ciò che dico con filosofici rigiri, né prevedere la reazione che susciterà, ma come sai non mi manca il coraggio di firmarmi.
Ci sono volte che quando il mio spirito si increspa, scrivo feroce le parole che penso, parole di sale che possono bruciare le pelli gentili di coloro che hanno scelto di non parlare mai più di tanto, ne di scrivere nero su bianco la propria indifferenza all'altrui difficoltà.
Cara pagina nessuno di noi può aspirare al bianco candore della tua innocenza, nessuno di noi è capace di neutralità senza destare il sospetto, e per questo mi sento ospite nella tua casa di carta. Un ospite che può attingere a quante più stanze sia in grado di immaginare, a patto che ne riempia le superfici di senso.
Ci sono persone che devono parlare, che devono cantare, che devono usare le mani per plasmare materie, e ci sono io, che alla ricerca del mio unico modo di condividere davvero la mia stessa nudità, amo passare i pensieri dalle dita, saltando quella bocca, che non ho più voglia di aprire.
Con te ho scoperto la gioia di usarla meno, perché essa non ce la fa a pronunciare solo ciò che serve, con te la saggezza di rinunciare ad un eloquio che troppo spesso di questi tempi ha il sapore del conflitto.
Bocche come armi e dita povere di azioni, questo siamo diventati?
Picchiatori verbali incapaci di scrivere una frase buona, comunicatori di paure che ci riempiono la bocca di menzogne.
Ormai prigionieri della nostra immagine, del falsato senso di energia positiva, non condividiamo davvero nient'altro che angoscia e fragilità e un impegno a magnificare noi stessi. Social network e mail hanno ridotto le cassette delle lettere a nient'altro che contenitori da svuotare.
Ma c'era un tempo in cui l'amata scorgeva il candore di una busta dalla finestra della sua stanza, e correva eccitata ad aprirla per leggere le parole d'amore di chi era lontano, o una madre sentiva nell'odore della carta il profumo del bambino ormai lontano che aveva partorito.
Ognuno si sedeva chiudendo la bocca e aprendo il cuore alle parole vergate su quel foglio, cosciente di ogni singola emozione che solo le parole scritte suscitano. Potevano essere buone nuove o moniti amari, ma nessuna semplificazione ne abbreviazione, potevano evitare il silenzio rispettoso con cui entrambe venivano apprese, nè si poteva pensare di non dare risposta alcuna.
In fondo, il futuro, non sembra forse uno spazio ancora da riempire, e la nostra vita una storia ancora da scrivere?
Per questo mia cara pagina avvenire, ti ringrazio per la gioia che mi dai, per la serenità che provo sapendo che quel vuoto non sia già pieno delle miserie della mia specie, o di foschi presagi, ma che possa invece essere da me accettato come un'opportunità per tracciare il mio segno anche nell'oscurità. Un segno che placa la paura, che conforta i cuori di chi lo riconosce, e che può essere a sua volta scritto per chi verrà dopo di noi.
Questo sento di voler fare quando ti sporco con i miei pensieri!