martedì 14 gennaio 2014

SI PUO' FAREEEEEEEE!!!!!!


Urlando questa frase, il professore del racconto di Mary Shelley, non solo dava vita all'inerme corpo rattoppato di Frankestein ma anche affermava di poter scardinare la morte, sfidare l'immobilità che essa reca e infondere ad un corpo l'energia che ne contraddistingue l'esistenza!
Sono certo che anche voi condividete che la vita in sé,  non sempre è associata alla vitalità, tant'è vero che, quando stringete la mano a qualcuno che pur è vivo, potete sentirne la vitalità o altrettanto immediatamente, la sua apparente quanto inspiegabile mancanza! Avete presente quelle mani flaccide che nemmeno se le stringete sembrano ricevere la  vostra scossa? Che vi viene voglia di urlarglielo il titolo di questo brano!
Mi sono chiesto spesso quale ragione, quale casualità, quale ingiustizia si celi nella impari distribuzione della vitalità che sembra aver avuto luogo nella razza umana e per farlo, ho dovuto partire da me come cavia zero. Io ero vitale, e se lo ero, cosa lo rendeva evidente? 
Innanzitutto, suppongo che il principio fondamentale sia non solo che essere vivi sia una forma di “moto a luogo” per cui necessiti di vitalità ma che esserlo “a tempo determinato”, come per la mortale creazione, sia ancor più che  uno stimolo una vera e propria pedata nel culo, un conto alla rovescia che non preveda lo spreco nemmeno di uno, di quei preziosi quanto sconosciuti nel numero disponibile a ciascuno,  minuti di vita.  Io ad esempio ero un bambino silenzioso, apparentemente apatico, ma nella mia testolina frullavano mille domande e il mio silenzio, forse  una forma di sfiducia nei miei interlocutori, si ruppe non appena in grado di interfacciarmi con altri e la domanda divenne il mio incessante, sfinente, imbarazzante modo di urlare continuamente, fino ad oggi : si può fare!
Eppure, pare che nel volto stesso di alcuni ancorché nella stretta di mano tale urgenza non si ravveda, da non confondersi con la serenità zen di altri né che se anche immobili, vivono intensamente in qualche dimensione interiore!
Nonostante anche questi “morti viventi” emettano il primo vagito sotto forma di pianto, che potendo sarei certo si risparmierebbero anche quello, il loro sviluppo sembra essere solo temporale, cioè, crescono maturano e invecchiano con quella stessa insopportabile piattezza non rispondendo con stupore alla domanda si può fare né ponendosela come necessaria!
Queste persone vivono, come mia madre, una vita “normale”e attraversano gli eventi con apparente forza, perché devi credere che siano tali, se di fronte ad una notizia infausta, quanto alla più grande gioia, non leggi nessun picco nel tracciato piatto della loro esistenza, ma in realtà è proprio la forza quello che manca, la vitale risposta alla domanda che ogni evento pone: ce la posso fare?
Per essere del tutto onesti nemmeno bisogna intendere la vitalità come quella forma di esaltazione che prende alcuni da quando nascono a quando muoiono. Avete presenti quelli che lavorano, vanno a correre nelle pause che alle sei di mattina hanno già fatto yoga, colazione, beneficenza, spesa on line, depilazione e forse anche risolto il debito coniugale? Ecco.
Queste persone anch'esse venute al mondo con un pianto, non hanno più smesso di proclamare la loro urgenza vitale ma non per questo sono meno irritanti dei mollaccioni di cui sopra, anzi, a ben guardare, essi rappresentano l'iperbole opposta in quanto alla domanda si può fare, rispondono: già fatto! A questo punto, vi starete dicendo che l'argomento stagna nella palude delle differenze, nel brodo organico delle eccezioni che si risolve con: ognuno è diverso e chissene!
Torniamo per un momento alla domanda: si puo fareeee? Che cosa andrebbe fatto per dare una risposta vitale? Nel caso del povero Frankenstein fu sufficiente muoversi per rispondere si, mentre poi gli eventi che lo videro rapportarsi agli altri, avrebbero giustificato meglio la domanda: farlo era proprio necessario? Il giovane Frankenstein, in fondo, con tutta la sua mostruosa e goffa vitalità e nonostante una risposta sociale pessima, non perse mai di vista che essere vivo non era sufficiente, che per sentirsi vivo, doveva essere amato per quello che era da qualcun altro.
Ecco perché il caso di coloro la cui vitalità sembra esaurirsi con la velocità di un giro di corda al carrillon, è di gran lunga più curioso di coloro la cui vitalità li rende impossibili da ignorare, perché i primi non facendo quasi nulla ottengono quella conferma della propria esistenza, che chiamiamo amore, proprio  dai loro opposti vitali. Quindi una morta di sonno si sposa un iperattivo o un lesso viene circuito da una manza tutta pepe. Perché? Perché nel risparmio energetico di queste persone, nella totale opacità dei loro intenti, nel vuoto perso dei loro occhi c'è posto per l'altrui immaginazione! Si può cioè, come fece mio padre, immaginare che quel vuoto, che ancora oggi io vedo  nello sguardo di mia madre, nella foto che li ritrae al loro matrimonio, sia trasognato sentimento e quindi la totale mancanza di una emozione “riconoscibile”, ispira la fantasia del più vitale dei due che pensa: si può fare!
La punta più alta di vitalità di mia madre non furono i propri figli né la paura per la Guerra del Golfo, né la mistica figura di Dio e neanche la serie di malattie che avrebbero potuto sopraffarla, ma piuttosto la tardiva coscienza che mio padre, ormai morto, avesse sempre avuto ragione!
Dopo aver passato con lui una quarantina d'anni scarsa limitandone lo slancio vitale in ogni dove possibile, dal talamo al catasto, ed averci convinto del pericolo mortale che il mondo rappresentava(per lei), mia madre ebbe un sussultino ma piccolo piccolo eh, uno di quei “colpetti” che riuscirono a farla smettere di dondolarsi sulla sedia(non a dondolo) come era solita fare, cosa che le dava l'aria pensosa e profonda di una saggia sciamana ma che in realtà era un inutile moto perpetuo fine a se stesso. Piuttosto ligia però, avresti potuto prenderla con tutta la sedia e mettendola dentro un pendolo ottenere l'ora esatta il giorno dopo o anche usarla come metronomo durante una lezione di pianoforte, il tutto ovviamente, senza nessuna risibile differenza emotiva che la toccasse.
Comunque dicevo ebbe un colpetto di fulmine e, di fronte alla possibilità di acquistare settimanalmente i pezzi singoli della “casa delle bambole” de Agostini,(la vedovanza ebbe un effetto regressivo) per completarla forse qualche mese dopo assemblandola da sola, dovette dirsi: si può fare! Telefonò, individuando anche il numero nella confezione, alla casa editrice ottenendo con un lieve sovrapprezzo dell'ammontare della reversibilità di un mese del caro estinto, di avere la casa delle Bambole già bella che montata e finita! Non si può dire che il sogno immobiliare di mio padre fosse stato ben interpretato, né riscattato ma la Maria Luisa aveva fatto il meglio che poteva, tant'è vero che a quel guizzo seguì una catatonia che dura a tutt'oggi!
Ed ecco il vero senso dell'esistenza di quelli che chiamerei “apatici secolari”. Essi esistono affinchè la domanda, si puo fare, ottenga una risposta e siccome l'universo è benevolo non è da questi che la si pretende bensì da coloro che, per un istinto simile a quello che muove la coda agli spermatozoi, sentono l'urgenza vitale di immaginare un futuro, di trovare in quel vuoto, fatto a persona,  un contenitore adatto all'eccedenza del proprio spirito. Una sorta di teoria dei vasi comunicanti a livello genetico che soddisfi il bisogno dei mortali di sfidare il proprio limite esistenziale, riproducendosi per poter in qualche modo fregare la morte prima di consegnarsi ad essa...morte che invece giungerà più tardi per gli apatici secolari, in quanto anche La Nera Signora, non è una tipa a cui manchi la determinazione perciò troverebbe di gran lunga noiosa la compagnia prematura dei morti viventi, che a tempo debito, accoglieranno la sua visita con il disappunto di un peto muto che  ti sfugge senza che nessuno se ne accorga!
Se il compianto Dottor Frankenstein avesse incontrato la Maria Luisa anziché Frau Blucher avrebbe di certo risparmiato fatica nell'assemblare la sua Creatura, trovandosi una morta già bella che finita (come la  sua casa delle bambole)  e probabilmente si sarebbe posto una domanda più sensata di quella se si può fare, come ad esempio: chi me lo fa fare?
Senza contare che, una volta animata, la Creatura si trovò come dote soltanto un enorme Swanzstucker che alla Maria Luisa non avrebbe fatto nessun effetto, e all'urlo potente di Dottor Frankestein, SI PUO' FAREEEEEEEEEEEEEE, al nitrito dei cavalli imbizzarriti da Frau Blucher, allo Stupore di Inga la giuliva
assistente, e temo anche di fronte alla Creatura avrebbe opposto uno dei suoi commenti preferiti di fronte all'irruenza della vita e cioè: si può fare, dite?  Non c'ho testa !!!!!!!!!

venerdì 10 gennaio 2014

Magre consolazioni.




Dato che questo è il primo post dell'anno, dovrebbe contenere positive speranze e ottimistici auspici per cui, il titolo “magre consolazioni” merita un incoraggiamento a proseguire la lettura in quanto non parleremo di ciò che sembra: niente lamentele politiche, niente provocazioni per le taglie forti né pipponi alle fan della magrezza vegana e tanto meno dietrologie sull'anno passato.
Definire magra la consolazione è un modo poetico per ammettere che a malapena uno ha salvato la ghirba dal totale fallimento...o la vittoria in questione, la soddisfazione, giunge in tale ritardo o per vie tali per cui dimezza il senso di sazietà che ci aspetta giustamente dal pieno successo, dalla totale riuscita o dal riconoscimento indiscutibile che si cercava. 
Ricordo un tempo in cui non avrò avuto più che dodici anni in cui, uscito dalla vasca del bagno dove ero stato vivamente incoraggiato ad immergermi da mia madre , data la naturale pigrizia igienica dei maschi adolescenti e meditabondo, alquanto contrariato per quella perdita di tempo di asciugarsi e il cotton fioc per le orecchie, che se poi mi beccano che asciugandomi tra le natiche lascio il segno sulla salvietta, perché invero un culo immerso non è detto che ne esca pulito, insomma pensavo: che palle doversi lavare e poi tutti i giorni tutti tutti? 
Non era da molto che, di fronte ad uno specchio osservavo...il mio corpo come mica prima, cominciando invero ad indugiare su quella sagoma incerta e sgraziata che mi conteneva, alla ricerca di una qualche risposta sul perché fossi finito lì dentro, e ricordo che i gesti frettolosi  con cui mi asciugavo, i quali sarebbero tornati tali molti anni dopo, si fecero più lenti come se dovessero conservare una qualche memoria di quei confini. Le gambe erano due e pensai che forse era per quello che non erano affatto uguali, che mica c'era uno stampo per farle identiche, ma diamine il mio era davvero uno di quei lavori “a mano libera”, una dritta e secca l'altra ancora più secca e storta..mah comunque, passando più avanti nel mio screening corporeo, la pancia piatta e acerba seguiva le linee della schiena che neanche quella era dritta dritta, quindi i miei profili, i confini dalle ascelle alle anche erano di due corpi diversi o così pensai girandomi verso quello in cui, il mio preferito, la vita si stringeva poco prima dei fianchi creando un onda che accarezzavo con la mano pieno di piacere, per la sensazione di armonia che mi lasciava sul palmo ancora umido. L'altro lato, decisamente più maschile, non ne voleva sapere di regalarmi quella curva anzi resisteva gonfiandosi lievemente addirittura verso l'esterno se  piegavo un po la schiena e accidenti, anche se con la mano cercavo convinto di spingere quel pannicolo adiposo verso il punto dove secondo me doveva sparire, non ne voleva sapere!
La mamma alzava la voce sollecitandomi l'uscita dall'unica stanza da bagno della casa, ma ignorarla era facile per me e il mio corpo bifronte era di gran lunga più interessante di lei. Dovetti in quel momento, non privo comunque di coscienza che l'urgenza materna avrebbe prodotto delle conseguenze prendere in fretta una qualche decisione in merito all'involucro che come d'improvviso confezionava i miei misteri e che mi era apparso dopo il bagno per la prima volta altrettanto urgentemente, così facendo un passo indietro per migliorare la mia visuale notai una piccola    fila indiana di peletti che ordinati, come niente sembrava esserlo,  partiva dallo sterno depresso del mio piccolo torace asfittico, centrando l'ombelico  proseguendo poi verso l'inguine. Li sfiorai con il dito e li vidi scomporsi e ritornare in fretta alla loro posizione come soldatini a cui era stato impartito un comando sbagliato e che perciò ritrovavano pace nella loro formazione originale!
Sorrisi a quel ranocchio nudo e all'esercito di peletti che lo percorreva e una sensazione tiepida di calore si irradiò in me, che a quel punto avevo capito che il mio corpo a metà sarebbe stato il mio segreto felice, perché credetti che nell'indecisione dei miei natali, qualche forza benevola mi avesse concesso più che ad altri una scelta, un dialogo più dolce tra il maschile e il femminile tutto per me!
Nella determinazione di un momento magico come quello, il cui imperituro ricordo mi guida tutt'oggi, io pronunciai una frase ad occhi bassi: io sarò sempre magro! Alzai gli occhi coraggiosi e fotografai, credo immortalai, quello scatto come una dichiarazione solenne all'esercito peloso del mio addome. Io, Generale Due corpi vi ordino miei cavalieri della pancia piatta di vigilare sui confini che i miei occhi vedono oggi e difenderli!
Non c'era davvero un pezzo che fosse a posto in  quell'età meravigliosa in cui atti potenti e magiche profezie sono possibili.
L'associazione tra il mio corpo la sensazione piacevole e lo sguardo fermo creò quello che io timidamente definisco come il sortilegio cinestesico: cioè la remota possibilità di determinare attraverso l'incontro di percezioni tattili fortemente piacevoli  e immagini inconscie, una fotografia mentale che possa avere nel cervello la valenza di una direzione tracciata! Io a distanza di così tanti anni, non solo sono ancora magro e sgraziato ma non ho mai né in salute né in malattia visto modificati i perimetri del mio corpo, data anche l'assunzione per  quindici anni  di sostanze e farmaci come ad esempio potenti barbiturici e antidepressivi, che notoriamente gonfiano, e la mia unilaterale e autonoma scelta di smetterli senza nessun controllo medico.
Quando divenni adulto, sopravvissuto alla minaccia di sentirmi “malfatto” ancorché malato e deforme instillatami da sfavorevoli combinazioni concentriche di sfortunati eventi e ignoranza famigliare, non sapendosi spiegare altrimenti  la mia stranezza comportamentale, il mio piccato rifiuto all'obbedienza cieca che si pretende dai giovani e sovrappiù l'insofferenza degli adulti  all'impossibilità di piegarmi pur sembrando così fragile e stentato, cercai qualche conferma o smentita di ciò che avevo pensato in quel bagno!
Scoprii che il cervello non discerne il bene o il male ma piuttosto le neuroscienze indicano la sua tendenza a seguire delle “programmazioni” a tracciare solchi neuronali più o meno complessi e profondi che determinano comportamenti radicati che chiamiamo abitudini, ma ancor più recentemente si è compreso il ruolo che emozioni forti hanno nello sviluppo di tali tracciati.
La risposta certa non ce l'ho né posso in alcun modo proporre un modello, ma noto ancora oggi nelle forme fisiche delle persone che conosco un curioso abbinamento a sensazioni precise che se identificate sembrano avvallare la mia ipotesi e cioè che abbiamo su di noi maggior potere di ciò che crediamo di avere. 
Le persone in sovrappeso spesso hanno storie altrettanto forti o immagini ricorrenti di morbidezza nel loro archetipo familiare. Può essere che il grasso non si accumuli solo per l'introduzione di cibo? Oppure che la facilità con cui i magri non lo accumulino sia solo una casualità?
Il rapporto che si crea col cibo è davvero l'unica risposta? Ebbene nel mio caso, so di non aver mai avuto con esso un rapporto emotivo consolatorio...io mangio felicità sotto forma di cibo, ma non lo assumo per tristezza, non lo considero un nemico da controllare né l'unico amico da far “entrare”, tuttavia le quantità di cibo che mangio dovrebbero, specie ora che sono vecchio, farmi ingrassare facilmente e invece sembrano non avere alcun potere.
Ovviamente il mio corpo cambia, è cambiato ma è come se sapesse di dover deperire all'interno della sua memoria...di quei confini imposti al centro comando del mio cervello che stimola gli organi preposti a fare il loro lavoro, a darmi ragione.
In questo senso ovviamente la mia, è da definirsi una “magra consolazione”, in quanto il tempo non manca di fare il suo lavoro sul mio corpo, né alcuna scienza, fede o mistica filosofia riesce a smentire o a confermare quella che ovviamente tutti ritengono unicamente, una fortuna biologica ma di quelle sfacciate eh! Mi chiedo tuttavia: perché questa storia merita di essere raccontata?
Non lo merita nell'inteso che abbiate dei super poteri, come pensavo da bambino(pensiero magico che tuttavia non mi sento di escludere del tutto), né per promuovere un qualche possibile determinismo ma solo per instillarvi un ragionevole dubbio su ciò che ritenete che nella nostra vita “non sia possibile”. Sono certo che ognuno di voi abbia fatto una qualche fotografia mentale abbinata a forti sensazioni emotive, e vi invito raccontandovi la mia storia, a credere che possiate spiegarvi meglio come mai quella data cosa, colore, tipo di persona, o forma fisica, o tipo di cibo vi piaccia o meno e magari a scoprire come sto cercando di fare anche io se il vostro cervello non sia disponibile tutt'oggi a nuove “direzioni” da prendere magari con la consapevolezza che esso potrebbe far fare al vostro corpo ciò che la nuova direzione richiede. Abbiate cura di sapere, e questo credo sia l'unico valore di questa storia, che il cervello non fa differenza tra positivo e negativo ma solo tra segnale forte e debole, il che equivale a dire che una fotografia mentale”sfocata” non produrrà una programmazione nitida e duratura.
Concludo questo viaggio assurdo per alcuni, dicendovi che ho cercato di applicare questo sistema di “programmazione” sul mio carattere, per addolcirlo,  ma è rimasto discretamente intrattabile come molti di voi lo conoscono....anche se “magra consolazione”, credo accada perché le mie spigolature, il mio provocatorio atteggiamento nei confronti delle “certezze”  mi da un immenso piacere, e ogni volta che scelgo le parole più giuste per esprimerle, temendo di averle usate già tutte, sembra che il mio cervello non esaurisca mai le scorte disponibili per lasciarmi così come sono: irregolare e felice.