mercoledì 4 novembre 2015

La banda del 52: ringraziamenti.

Ogni racconto si dice debba rispondere all'imperativa domanda: perché merita di essere raccontato. Trattandosi di esperienze personali, non è stato facile per me rispondere senza cadere in un delirio di presunzione o nella banalità di fatti poco interessanti, tuttavia, credo  che proprio l'esperienza sia il punto. Viviamo in un tempo assai turbolento, dove le discussioni circa la "differenza", si fanno accese se questa non è conforme ma anche in un tempo che spinge tutti a farla se si tratta di rispondere alla norma che ci vuole produttivi e di successo, come anche, a riconoscere la propria  l'unicità e perseguirla per realizzare i propri sogni.    Così le unicità di ciascuno, gli "io" che una volta formavano i "noi", restano sospese in un dilemma circa la propria espressione piena e la relativa spinta a generare "un altro". 
Questa spinta uguale e contraria, unitamente alla difficoltà delle famiglie a restare unite dato che i singoli perseguono come dovuta la propria idea di unicità senza dargli uno scopo preciso nel tempo e nella forma, ha creato una confusione tale, che differenza e unicità, non sono più parte di un processo generativo, ma anzi sembrano implodere nei singoli come nella comunità. 

L'esperienza più consueta di questo mix emotivo è il rifiuto. Degli adulti di essere pienamente responsabili e dei figli di esserlo prima ancora di esserne pronti. Fortunatamente la vita mi ha dimostrato come essa sia in grado di "riequilibrare", di compensare, seppur lentamente, ad ogni scempiaggine degli esseri umani. Un esempio? Nonostante secoli di depredazioni e sfruttamento il nostro pianeta ha approntato sistemi ( non indolori ahimè ma come potevano esserlo) per restare "adatto alla vita", tutt'ora validi. 
Mi sono chiesto se questo imperativo adattivo non fosse poi l'essenza della vita stessa e se anche nelle relazioni umane, la vita  non avesse usato gli stessi sistemi. Scavando nei ricordi, ho scoperto che era possibile, che lo era stato per me, e dato che non mi ritengo un campione punto zero ho la sensazione che ciò che è valso per me potesse valere anche per altri. 

La nuova tendenza  con cui l'idea di felicità è stata abbinata a possesso materiale o a rigide forme di appartenenza ha creato famiglie chiuse e società materialistiche ma anche una lotta tra schemi famigliari e tra singoli, che ha di fatto interrotto quell'apporto di  "estranei" che nelle famiglie di un tempo era invece favorito e che a mio avviso, rispondeva all'esigenza riparativa della vita. 
I gruppi di ragazzi o le zie o gli amici di famiglia avevano la capacità di assorbire le "differenze" e di garantire ad ogni "diverso" generato da uguali di essere identificato, protetto e aiutato a svilupparsi. Eventualmente in casi di famiglie o società repressive, queste "altre persone" potevano di fatto anche salvarli dalla crudeltà con cui la paura spinge le persone ad agire nei confronti dei non conformi, essendolo loro stessi stati a suo tempo. 
Perché una cosa è certa, i portatori di differenza, e non per forza sessuale, sono sempre esistiti e laddove non siano stati rinchiusi o uccisi hanno avuto ruoli fondamentali nella tutela di quella che andrebbe chiamata come merita e cioè "la varietà della specie". Più naturale di questo non so cosa dovrebbe esserci al mondo. Di fatto da solo il concetto di varietà annullerebbe tutte le accese discussioni su cosa farne di coloro che ne portano un tratto più distinto, così come renderebbe ridicoli  come meritano, tutti gli appelli alla "natura" che i detrattori delle unicità fanno per definirci contro di essa. 
Già, ma come raccontare una cosa così complessa in modo semplice?
In questo, il concetto di condominio così come ve l'ho illustrato, mi è sembrato rispondere appieno al bisogno di un luogo che avreste potuto riconoscere, inoltre popolato, da tipi di persone realmente esistite sebbene uniche, facili da recuperare nell'esperienza di ciascuno. 

Il tipo di differenza che io portavo non ha avuto un ruolo più importante di quella che portavano Maurizio o Fabio ad esempio e questo, determina un altro fattore che ho ritenuto fondamentale: non ci sono gradi di differenza peggiori o migliori ma solo singoli modi in cui si esprimono, alcuni più evidenti di altri e basta. 

Il gioco e il concetto di banda sono stati veicoli reali di un "addestramento istintivo" che vide me e i miei compagni integrare non le differenze ma le " competenze" e questo introduce un altro motivo per cui questa storia doveva essere raccontata: non è nel creare un posto a parte che si aiutano le persone giovani a sviluppare con dignità e sicurezza la propria unicità ma in un concetto di comunanza basato sulle capacità singole e sulla coscienza che prima o poi la nostra unicità nel mondo dovrà anche fare il suo giusto rumore. 

Alessandro, Giuseppe, Alex e Marcolino erano anche loro rumorosamente unici e diversi come lo ero io, ciò che rendeva la loro esperienza diversa dalla mia era solo il "permesso" a dimostrarci  tali che le nostre famigli ci accordavano o meno, in virtù del coraggio con cui queste erano o meno capaci di scorgere il proprio ruolo nella nostra natura. 
Se le famiglie avessero la coscienza che " generare" non significa fare ma lasciare che venga fatto avremo più figli e genitori felici.
Quando dico lasciar fare, non intendo parlare di noncuranza educativa ma dell' opportuno rispetto per il ruolo della vita nella faccenda: si decide di avere figli ma è la vita, a formarne la meravigliosa caratteristica con cui verranno alla luce, la quale, non assolve a nient'altro che a se stessa e forse, ad un disegno più grande persino di noi tutti. Perché dunque spesso i genitori scorgendo i segnali di una meravigliosa unicità se ne dimostrano preoccupati? In chi questi segnali aprono una discussione se non in noi? Ecco perciò che i "per il tuo bene" appaiono per ciò che spesso sono: una menzogna.
 
Certamente, i genitori amorevoli consigliano ma anche si devono aprire a sentieri nuovi e questo non può essere indolore. Il problema è che il dolore se non inquadrato come veicolo di cambiamento delle nostre convinzioni diventa capace solo di generare e ridistribuire se stesso in un circolo che annienta fiducia, amore e sviluppo. 
So di essere stato forse un po duro nel descrivere i genitori in questo racconto, i miei come quelli degli altri, ma ciò che contava era proprio farveli vedere come li vedevo a quella età e nelle condizioni in cui i loro "permessi" me li mostravano. 
Per quanto riguarda il mio genere di differenza ho volutamente dato alcuni connotati legati alla sessualità e so che per molti leggere di erezioni o  pornografia o comunque di espliciti sessuali, in un tema diciamo morale non fa piacere ma spero avrete potuto cogliere come anche quello alla età in cui è vissuto passa per profonde e turbolente emozioni che nessuna educazione per quanto repressiva può domare e che anche queste sono facilmente recuperabili nella esperienza singola di tutti. 

In ultimo, desidero affermare che il motivo più importante per cui ho voluto raccontare questa storia di un ragazzino  e dei suoi splendidi amici è quella di dare a loro il risalto che meritano: alla fine la cosa più semplice di tutte: l'amicizia. 
Amicizia nella quale potersi anche scoprire gay o rossi di capelli senza grossi turbamenti e soprattutto in modo graduale per tutti ma priva di quella odiosa componente che oggi vede molti giovani avversati dai propri coetanei: la paura delle proprie emozioni. 

Ringrazio Giuseppe per la sua dolcezza virile e per aver probabilmente determinato in me un modello non solo fisico di uomo gradevole ma soprattutto un modello emotivo sano, aperto è libero. Di questo non finirò mai di ringraziarlo per la sua unicità fisica e di cuore. 
Ringrazio Alessandro per avermi insegnato l'audacia e il gusto per l'avventura temeraria che ha ridotto di moltissimo la grandezza del mondo agli occhi di un ragazzo gracile e  disagiato fisicamente. Anche a lui devo la convinzione che il corpo è soggetto alla volontà dello spirito che contiene ma è più resistente di come me lo avevano fatto credere. Dalla sua unicità ho appreso il coraggio. 
Ringrazio Alex infinitamente per avermi insegnato il gusto di riderci sopra il più possibile, per avermi fatto dono di suo fratello Maurizio dalla cui unicità ho imparato a non aver paura di dire ti voglio bene se lo sento. Da Alex invece ho preso la mia ironia e la capacità di arrossire. 
Ringrazio Fabio mio preziosissimo amico speciale per avermi permesso di costruire una immaginazione più ampia con la quale ho potuto mostrargli il mondo che sembrava spaventarlo, spero come un posto meraviglioso, ricco di altre persone come lui e me da incontrare anche se siamo sempre rimasti in una stanza. Dalla sua unicità ho avuto la voglia di scrivere.  Sua madre per avermi aperto la porta del suo appartamento senza tener conto della mia "stranezza" è permesso di gustare le sue merende colme di tutto il suo rammarico per gli errori fatti, ma anche della straordinaria volontà di ripararli come poteva: da lei ho imparato il valore del pentimento autentico che non ripara ma che  ci prova fino alla fine. 
Ringrazio Marcolino e sua sorella per avermi mostrato quanto avevamo bisogno e diritto di esprimerci è come fosse difficile farlo con genitori nevrotici. 
Ringrazio Federica per avermi insegnato il mare e per aver sfidato le regole che ci volevano troppo distanti di età per essere amici. Dalla sua unicità ho imparato a imparare dai piccoli. 
Non posso dimenticare di ringraziare la vita, per aver creato la Pineta e quest'ultima, per aver accolto suo malgrado il 52 e il suo "capitale umano", me incluso. Dalla sua unicità ho imparato che la vita offre riparo da ogni pericolo e accoglie in ciò che spaventa, come un bosco, altre creature come noi di cui si prende cura.

Qualunque sia la vostra unicità rendetela piena e pulsante, riconoscetela nei vostri figli e accogliete le prime  emozioni negative che susciterà in voi dopodiché fermatevi e assistete allo spettacolo della vita fino a quando sarete desiderosi di parteciparvi e fieri di averla portata nel mondo.

Mi auguro con questo racconto di poter finalmente assolvere al compito più onorevole che l'unicità richiede: smettere di parlare di me conservando il privilegio di portarla ancora curioso di come saprà cambiare colore ma molto meno preoccupato. 

A voi che avete letto tutto ciò, posso solo dire grazie per aver fatto un sentiero tanto sconnesso data la mia limitata capacità letteraria, con la curiosità di sapere non solo come ho fatto a crescere o cosa ho vissuto ma come ciò nel bene e nel male non mi ha impedito di risplendere nella mia unicità: di diventare un adulto imperfetto adatto alla vita. Sappiate che questa opportunità vale anche per voi se volete. 
Ora auguratemi, dopo essermi speso molto a raccontarmi, di poter ancora scrivere storie interessanti e se, leggendomi, aveste avuto idea di quale sia la vostra unicità ma non sapeste come possa essere d'aiuto a qualcuno, allora provate a raccontarmela privatamente. 
Raccontatemi, raccontiamoci nella certezza che l'esperienza di uno può aiutare molti. Perché una storia merita di essere raccontata? Perché il suo raggio d'azione può raggiungere tutti i cerchi concentrici che l'hanno formata e che sono formati da esseri umani che solo tramite l'esperienza reciproca possono diventare coscienti del loro posto nel mondo e sentirsi liberi di essere portatori o generatori di unicità.  
Vi abbraccio. 
Stan. 


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