martedì 13 ottobre 2015

La banda del 52 cap18: sassolini bianchi.

Il 52 fu una benevola madre di cemento per molti di noi. Sembrava che contenesse tutto ciò che dovevamo sapere sulla vita. Famiglie, persone e una valanga di segreti dietro ogni porta lucidata a dovere per mostrare ai vicini che tutto fosse  in ordine,  che tutto fosse "normale". 
Non so dire, se c'era più cera nei suoi pianerottoli o nelle facce di chi li abitava, ma sembrava che l'anima di quel palazzo volesse parlarmi, che avesse contenuto ogni singola persona affinché la incontrassi e ne conoscessi la lezione in serbo per la mia vita. 
La banda che si era formata mi aveva fornito tutta la appartenenza che mi era sfuggita nella prima parte della mia vita ed insieme era stata il grembo sicuro della mia formazione emotiva a tal punto che se non fosse stato per la corretta istruzione, la scuola sarebbe potuta essere superflua. Di certo, il 52 mi formo' in ben più importanti  aspetti della crescita di un essere umano: avventura, aggregazione, adattamento e sviluppo. 
Alex il nostro "onde man show" aveva due fratelli più grandi ma uno dei due meritava di essere raccontato più dell'altro. Ti capitava di vederlo certe ore del giorno con la sua borsa a tracolla tornare dalla scuola,magari canticchiando a voce alta o chiamando per nome le signore del palazzo, come se fossero delle coetanee. Non era maleducato Maurizio nel trattare con gli adulti, perché lo faceva come un bambino di dieci anni pieno di entusiasmo. Anche se doveva averne almeno dieci di più, Maurizio, non avrebbe mai avuto più di dieci anni per tutta la vita.
Le famiglie così perbene del 52, se potevano, cercavano con ogni scusa di non trovarselo tra i piedi, perché potevi esser certo che se anche fossi stata vestita da sposa o di ritorno da un funerale, lui ti avrebbe abbracciato con la forza mal dosata del suo corpo di ragazzo dal cuore bambino. I suoi genitori dovevano essere stati a dir poco magnifici per quei tempi ad averlo reso il più autonomo possibile, coi pochi mezzi e l'ignoranza di allora circa certi fenomeni della mente e infatti, lui non era di peso per nessuno, tuttavia i suoi genitori erano spesso eccessivamente arrabbiati per le vicende inutili di condominio. 
Maurizio era intriso, inzuppato forse persino fatto di amore per gli altri e non aveva nessuna inibizione nel mostrarlo continuamente: "ciao Maria" diceva a mia mamma vedendola alla finestra mentre saliva le scalette fino al portone, poi, con le sue amate tennis si portava sotto la finestra e cominciava a raccontarti qualcosa. 
Parlava forte e rideva spesso fino a che la saliva non formava delle bolle o gli colava dal labbro, ma lui si puliva e ricominciava perché il suo bisogno di comunicare era prioritario.
Alle domande semplici rispondeva correttamente e se erano invece più difficili, come i bambini si fermava un po a pensare, dopodiché cambiava discorso. Sapendo che si fermava volentieri a parlare con chiunque, sua madre, passata una certa ora lo chiamava e lui allora ti salutava e andava a casa. 
Era una strana epoca quella, perché nonostante si usassero dei termini orribili per definire i ragazzi come lui, si era però portati nei quartieri ad una certa vigilante cura comune della loro incolumità. Mio padre specialmente, lo ascoltava o lo tirava su in macchina se lo vedeva a piedi accomiatandosi da lui con una carezza e vuoi il fatto che era il fratello di Alex, vuoi per la sua bontà, vuoi perché papà mi aveva mostrato un ottimo esempio, anche io presi a non defilarmi incontrandolo. Certo sapeva stonarti il cervello Maurizio con la sua voce chioccia e stridula che ben si adattava al conflitto fra la sua crescita fisica e quella cognitiva, ma sapeva anche toccarti il cuore. 
Certe volte quando era offeso o triste stava fermo con le mani giunte al petto torturandosi le dita mentre gli occhi cercavano conforto da qualcuno che una volta individuato veniva raggiunto e inondato dalle sue rimostranze al riguardo ora dei fratelli o di qualche difficile esercizio scolastico. Nel guardarlo mi chiedevo come facesse la sua mente a sopportare la crescita fisica ma poi ti raccontava della sua fidanzata, di quanto era carina e ti sembrava fosse più sveglio di te! 
Un altro ragazzo particolare era Fabio  figlio dei signori dell'ultimo piano e mio amico speciale. Ci eravamo conosciuti perché le nostre mamme si erano fatte amiche opportunistiche, dato che la Maria Luisa, mia mamma, aveva rinverdito la patente e la mamma di fabio pur di avere un passaggio, sapeva incoraggiarla come nessuno, mentre noi ragazzi dietro la cinquecento facevamo conoscenza. Fabio non diceva molte parole ma i suoi enormi occhi castani e la gentilezza delle sue mani sempre gelate dicevano che era contento di conoscermi. 
Fabio in piazzetta non ci veniva ma non è che sua madre avesse qualcosa in contrario, piuttosto lui non voleva allontanarsi da casa, data la sua patologica timidezza, perciò siccome il suo silenzio e la mia chiacchiera si combinavano bene, prendemmo a vederci a casa sua. Salivo d'inverno specialmente, a giocare con lui che aveva giochi molto belli e costosi essendo figlio unico ma mancava della fantasia per goderne. Di quella io ne avevo da vendere e volta per volta, dopo le prime reticenze, Fabio mostro' di apprezzare la mia compagnia e la discontinuità che questa gli offriva dalla sua principale occupazione: lo studio. 
Quel ragazzo era intelligente oltre la media ma quella che sarebbe stata una capacità di successo nella vita adulta, gli capito' nella prima adolescenza catapultandolo nel contenitore delle persone "strane". Sua madre era una donna dolcissima e talmente premurosa che le sue attenzioni potevano essere anche soffocanti. Aveva desiderato quel figlio più di ogni altra cosa ma i dolci che preparava per la nostra merenda erano intrisi di lacrime e lo capivo dallo sforzo che faceva perché io non mi allontanassi da suo figlio. Fortunatamente io di attenzioni avevo sete e Fabio era perfetto per uno come me in quanto consentiva alla mia immaginazione di scorrere libera e addirittura di trasportare anche lui in luoghi pieni di avventure senza nemmeno uscire di casa. Imbastivo per lui, autentiche sceneggiature con personaggi e dialoghi che ero bravissimo ad alternare tra loro e ruoli epici o romantici coi quali senza saperlo gli insegnavo le emozioni che lui non sapeva mettere a fuoco, e con lui io mi sentivo perfetto così com'ero. 
Sia lui che Maurizio, e perché no, anche io potevamo essere oggetto di imbarazzo per i nostri  adulti i quali con maniere tanto diverse ci amavano di un amore contaminato da qualcosa che non permetteva loro di goderci appieno: la paura. 
Aveva paura la mamma di Alex, che suo figlio con la sua innocente ingenuità fosse deriso o peggio da coloro ai quali si avvicinava tanto facilmente e con fiducia, ne aveva la mamma di Fabio che, nessuno si accorgesse di lui nonostante il successo scolastico che son certo maledicesse, ma che era terrorizzata all'idea di perderlo e ne aveva mia madre della mia fantasia "contorta" come aveva preso a chiamarla da un po, così come della mia diversità ormai difficile da coprire. 
Che ti amassero o che non ne fossero capaci, i genitori del 52 come molti di quelli di allora, non erano preparati alla unicità, alla specificità dei loro figli ma ossessionati piuttosto, da un concetto di "norma" che non causasse loro visibile imbarazzo sociale. Le famiglie normali mandavano i loro figli perfetti e insulsi all'oratorio, come Marcolino che tornava isterico, quelle che avevano figli come noi erano invece  meno inclini a mostrarci.  Capaci di chiudersi o di diventare aggressivi non era più chiaro cosa o chi difendessero con quegli eccessi. I propri figli? Se stessi? In ogni caso, mi sentii di includere sia Fabio che Maurizio nel mio caleidoscopio umano e divisi tanto con loro,quanto con gli altri, la mia quotidianità perché in qualche modo erano anche loro sassolini bianchi tra pietre nere: come me. 

Le critiche del resto, non venivano risparmiate e le persone dietro le loro porte laccate e le piante finte di certo intrattenevano autentici processi volti a determinare le cause di quelle "anomalie" per passare il pomeriggio con le amiche a gongolarsi sulla loro progenie di smidollati senza alcun mordente. "Sarà nato così perché il marito beve" o " dicono che a quattordici anni gli faccia ancora il bagno..per forza quel ragazzo è strano" o nel mio caso " sembra una donnetta quello...se fosse mio figlio lo manderei in collegio"! 
Il mondo del quale volevano facessimo parte ci veniva presentato con tutta la sua contraddizione alla quale, secondo il pensiero comune, la normalità rispondeva come "lasciapassare", ma a mio avviso  un po' come le piante finte dell'androne rispondevano al concetto di "natura": in modo davvero difficile da considerare realistico. 
C'era qualcosa di più interessante nella differenza e nella nostra capacità di entrare in contatto reciproco. Io Alex Giuseppe e Alessandro Maurizio e Fabio  avevamo già affrontato con i nostri giochi, patti e avventure molte delle sfide che la vita futura ci avrebbe riservato e istintivamente appianato il concetto di differenza più efficacemente di come le nostre famiglie credessero: noi eravamo la banda del 52: quello che ad uno di noi mancava, era sovrabbondante nell'altro. Magari la"norma" non era soddisfatta ma lo erano di certo l'equilibrio e l'armonia. 


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