venerdì 18 settembre 2015

La banda del 52 CAP 13: la natura e il cuculo.


Era stato relativamente  facile, comprendere l'amicizia tra noi, lo spazio ambiguo che al suo interno ci comprendeva tutti e nel quale,  gli approcci consentivano ad ognuno di "sperimentare" ruoli di preda o cacciatore, che avremo poi rivolto fuori da quel cerchio magico e sicuro.
Difficile invece, sarebbe stato comprendere quando il cerchio si sarebbe spezzato, quando il guscio della nostra banda implume, si sarebbe sgretolato spinto dal nostro bisogno di comunicare al mondo la nostra identità e dal suo di metterci alla prova.
Maggiore diventava il bisogno che gli altri sembravano provare, di quella "nascita", minore si faceva il mio di affrontarla. Se loro volevano venire al mondo, io avrei voluto impedirglielo con tutto me stesso, per paura di perderli. 
Sarei stato come quei cuccioli gracili, che la natura condanna a morte certa, perché non abbastanza forti per la loro prima lotta? O come il cuculo il mio uovo conteneva un ospite pericoloso una volta schiuso nel nido di una specie a lui estranea?
La scuola superiore, le femmine, la città, come le avrei affrontate senza il loro aiuto?
Ci saremmo magari trovati, nella casetta nell'orto a parlarne, a celebrare il commiato come soldati di leva verso il fronte che promettono di rimanere vivi per ritrovarsi, forse invece, uno ad uno saremo mancati all'appello senza alcuna spiegazione che l'assenza. Quel vuoto di cui nessuno parla, perché imminente definitivo e insopportabile, come la  morte.
Il povero 52, la nostra madre di cemento, sembrava sapere di aver compiuto in qualche modo il suo compito. Quello, l'ultimo suo grembo di umani da svezzare tra le braccia dei suoi muraglioni, resi ormai decrepiti da pallonate e risa e qualche pianto.
Le sue palpebre di tapparella cominciavano a mostrare i segni del tempo che era passato, a non chiudersi ed aprirsi con la stessa prontezza!
L'arrivo del serramentista nel condominio suscitò un vespaio di reazioni. 
Per cambiarle tutte avrebbe dovuto rimanere per molti giorni, perché il 52 aveva occhi ovunque, solo a casa mia contavo sette finestre, che moltiplicate per almeno dieci appartamenti nella scala A e circa ventiquattro  nella scala Vip, quella B, facevano qualcosa come duecentotrentotto tapparelle da togliere e rimettere! 
I padri discutevano preoccupati della spesa che avrebbero trovato nelle bollette, le madri, della polvere che avrebbero dovuto pulire per  quel lavoro. 
E noi? 
Noi eravamo curiosi di sapere come diavolo si fa a toglierle e metterle ma io, avevo anche una curiosità in più, mi sentivo in quei giorni come in attesa di un ospite misterioso. Un po contento e un po preoccupato, ad esempio, che dovesse entrare nella mia "stanzetta".
Una piccola dispensa, un budello stretto e lungo con una finestra, era stato arredato per me come un posto dove giocare da piccolo, in modo che mio fratello, potesse avere la camera che condividevamo la notte, tutta per se di giorno! Il lusso di essere stato il primo di noi due ad arrivare a casa. 
Un tentativo dei miei di farlo sentire più importante affinché non soffrisse di gelosia che costo' loro molto caro in seguito, quando, una volta convinto della sua "primogenitura" effettiva comincio' a sentirsi stretto comunque. Ad alzare la posta del suo valore, accordatogli con troppo anticipo sui tempi e sulla realtà.
In quello spazio, avevo i miei giochi, come anche i quaderni o la radio un poster di Boy George e una bambola di pezza di nome Rosaria. Le pareti erano state celesti ma anche rosa per un po, una volta anche bianche ma per poco perché il bianco si sporca...come la coscienza. Cosa avrebbe pensato di quel posto il serramentista? Di chi avrebbe pensato fosse? 
Papà, non so bene perché,  disse che avrebbe prestato il garage a questo signore in modo che avesse un posto dove preparare i pezzi necessari e sporcare di meno nelle case. Credo che in quel momento, mio padre sia stato l'uomo più amato dalle signore del 52. 
Arrivo' in un pomeriggio presto,  un furgone, proprio mentre mia madre, stava comprando di nascosto delle lenzuola dalla merciaia che veniva a domicilio,  papà era a fare "il pomeriggio", e il primogenito forse altrove  a vendere un motorino rubato.
 Lo avevo visto da dietro la tenda della finestra. Imbarazzata dal suono inaspettato, rispose al citofono e disse: ora gliele mando giù! Era curioso come, a casa mia, seppur ritenuto un deficiente distratto e inaffidabile, io fossi all'abbisogna promosso al ruolo di "meglio che niente"!
"Allora ascolta bene, vai giù e tieni le chiavi del box ben strette, che non ti cadano nel tombino e apri il garage all'operaio, poi le porti su di nuovo senza inciamparti! Capito?".
Pronta più di Cenerentola, ma senza farla tanto lunga quanto lei, scesi gli scalini a due per volta mentre lei, gridava come una matrigna di non correre. Ma come potevo non correre, con la fortuna che avevo avuto?
L'invito a forma di chiave, e il ballo nel garage con uno sconosciuto dalle braccia come due rami di quercia, era toccato a me!!! A me soltanto. Alessandro Alex e Giuse non erano ancora liberi di scendere, come non lo sarei stato neppure io, se la fata Merciaia non mi avesse fatto quella magia!
Sorpreso di vedersi un ragazzino invece di un adulto, il Principe tapparellista mi accolse con un sorriso dicendo " ciao sono .."  Lo so chi sei, ma come hai rubato il sorriso di Giuseppe?
"Devo aprirle il garage" dissi invece.
Ero alto quanto lui, per cui era basso il mio Principe, pazienza, potevo guardarlo negli occhi senza sforzo, se solo ci fossi riuscito. Una maglietta verde  militare un po sdrucita copriva il suo petto ampio di uomo fatto, non come la mia ridicola fila di costole e dal pantaloncino al ginocchio,  due cosce altrettanto fatte si muovevano forti come macine di pietra in direzione del garage. Fortuna che il nostro garage non era sotto le finestre di casa, perché altrimenti, mia mamma affacciandosi mi avrebbe visto del colore Magenta che ero in faccia. 
Già chioccia, la mia voce non usciva premuta in gola  dal maledetto pomo di Adamo, come un tappo preme la bocca della damigiana, quindi  con le mani tremanti armeggiai con la serratura del box. 
"Prendo il furgone e lo parcheggio li vicino così posso scaricare il materiale" disse mentre tentavo di indovinare il meccanismo della maniglia annuendo. 
Il rombo del motore, mi colse come la mezzanotte a Cenerentola: scappa o vedrà che sei una zucca. Non ci riuscivo ad aprirlo e sudando, cominciai a puzzare come al solito, ma dov'erano i topini del cazzo di Cenerentola?  E se non ci riuscivo e mi avesse detto "lascia stare frocetto, faccio io che sono un uomo? 
Con la coda dell'occhio, feci appena in tempo a vedere un ramo di quercia che mi afferrava la mano,  ormai saldata dal sudore alla maniglia del merdoso box di mio padre, e che con una delicatezza impossibile per un ramo la girava aprendola. Il Principe tapparellista mi era alle spalle come mai nessuno prima di lui,  tanto vicino da sentirne il fiato caldo sul collo.  
"E' solo un po dura" disse con l'alito alla menta e aggiunse " dovrai spostarti un momento così tiro su la ribalta. Certo, spostarsi dove? Come?
La sala da ballo fu aperta, lui entro' e io con lui. " comincerò domani da casa tua" annuncio', sorridendo ancora. 
Inebetito, lo fissavo come mia mamma mi ingiungeva sempre di non fare sui mezzi, poi dissi devo tornare a casa, buongiorno. " quando ho finito vi citofono così potete chiudere e grazie".
Le mele verdi d'un tratto  non profumano tanto quanto la menta, e pur sentendomi in pericolo o in colpa per quel fuoco che sentivo mi prese una specie di determinazione a bruciarmi prima possibile. 
Una volta su, diedi le chiavi alla matrigna, salutai la fata Merciaia e mi chiusi in bagno, dove mi fu chiaro che cosa fare. Seduto sul cesso cominciai nella mente a parlare.  
"Caro uomo di carta, e' stato bellissimo stare insieme tutto questo tempo anche se a furia di piegarti non sei più quello di un tempo e tutte quelle crepe bianche hanno spezzato il tuo bel corpo come un puzzle, che ormai sono stanco di ricomporre. Forse è arrivato il momento di separarci perché se domani il mio principe volesse venire qui a far pipì non vorrei che ti trovasse. Grazie ma ora ho un corpo vero da guardare. 
Lo scarico, lo porto via come aveva portato via il mio pulcino di peluche di Pasqua, quand'ero così piccolo, che seduto sul cesso, mi era caduto nella cacca che stavo facendo. Per il pulcino ne feci una tragedia mentre il mio uomo di carta non mi provocava più niente.  
Nel pomeriggio, mi trovai coi ragazzi, ma il mio sguardo controllava il garage in attesa che il suo occupante  uscisse a prendere qualcosa per scorgerne questo o quel dettaglio. Sentendosi osservato ogni tanto mi sorrideva e io potevo respirare. Giocando a palla avvelenata, i miei tiri finivano sempre da quella parte, col disappunto di Giuseppe che di perdere, non aveva voglia e che un po scocciato, mi pianto' li per la prima volta. Ma neanche questo mi tocco' come avrebbe dovuto. Cosa mi rendeva tanto crudele in quel momento? Era il peccato come dicevano alla funzione della domenica, o era l'amore delle canzoni? 
Dovetti preparare la ricerca di scienze per il giorno dopo anche se la testa era altrove, così aprii la pagina del libro. 
"E’ straordinario come i genitori adottivi non si accorgano della presenza dell’ospite, continuando imperturbabili la cova. La natura ha assegnato un ruolo particolare al piccolo cuculo: non solo si trova in un nido di un’altra specie, ma, a poche ore dalla nascita, ancora nudo e cieco, istintivamente espelle dal nido tutte le altre uova. Con il suo piccolo corpo, ma grande rispetto alle uova vicine, fa perno su di esse e uno alla volta le fa cadere dal nido.
Posando la penna mi feci pensieroso. Ma vuoi vedere che e' tutta colpa della natura? 


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