martedì 15 settembre 2015

La banda del 52 CAP 12: Laura


Le ragazze della nostra età, sembravano crescere il doppio di noi. Un giorno arrivavano e i  loro fianchi si erano improvvisamente arrotondati,  così come il petto sotto le magliette. 
Altrettanto improvvisamente, non era più possibile scherzarci:  spintonale o canzonarle come goffamente facevamo per cercare di avvicinarle, poteva innescare pianti epici o veri ceffoni. Qualcosa in loro sembrava diventato talmente fragile o prezioso, non saprei, da dover essere difeso con ogni forza. Se prima erano loro a cercarci, scappando tra mille gridolini, ora non ci degnavano di uno sguardo che non fosse una minaccia! 
Nello stesso modo i maschi, pur rimanendo legati al proprio gruppo, diventavano più audaci e pesanti nei loro scherzi, come se quella minaccia, fosse invece un richiamo a farsi sentire di più. Io non partecipavo a quel genere di scorribande, non gli alzavo la gonna, non le fischiavo gridandogli "ah bona", non gli sporcavo i capelli con le tempere all'ora di artistica.
Io ero una terra di nessuno destinata a nessuno in quell'ambiente. Per qualche strano motivo, comunque, le femmine mi avvicinavano facilmente.
Alcune di loro, facevano con me le cretine, solo per stimolare un altro ragazzo. Che cazzo di destino schifoso, mi era toccato. Ero come lo sciroppo ricostituente della felicità altrui: ragazzi e ragazze impedite mi usavano per raggiungersi, dato che da soli non ne avevano la forza.
Era questo lo scopo di un "frocio" di un culattone di un ricchione? Per quale motivo avrei dovuto alzarmi la mattina? Per aiutare il mondo degli altri a rimorchiare? Meglio studiare e finirla in fretta questa scuola. 
Suonata la campanella di fine lezione, tutte le classi confluivano al cortile che infilandosi in un lungo corridoio esterno, portava al piazzale di ingresso, il mio sguardo scandagliava quotidianamente quel banco di acciughe umane, alla ricerca di uno come me. Avevo letto nel libro di scienze, che i salmoni, percorrono i fiumi controcorrente e che la loro carne era rosa. Come l'avrei potuto riconoscere? 
Il bullo, il secchione, la mignotta, la ragazza di chiesa, il mongolo ( stupida parola giovanile che descriveva la persona troppo timida o  disabile), quelli li riconoscevo ma perché non riuscivo a vedere uno "come me"? Passando per le ante traslucide dell'atrio, ogni tanto mi piantavo a guardarmi fare una sorta di scanner di me stesso, se mai avessi saputo cosa fosse.
Ma quel flusso umano non perdonava esitazioni, tutti coloro che sapevano chi erano spingevano impazienti di congiungersi ai propri simili, certi com'erano, di farne già parte. Non come me me,  che come un detrito fluviale finivo incastrato da qualche parte o nella migliore delle ipotesi, giungevo all'esterno in tempo per schizzare di lato e poter rallentare il passo. Dovrei dire, che il passo in quei tempi, avevo imparato a cederlo a quella umanità acerba e tanto arrogante, da voler addirittura correre incontro al proprio futuro. Già, il futuro.
Il mio futuro più plausibile sarebbe stato, per quel che vedevo ai tempi, simile a quello di un clown grottesco che fa ridere, o come quel signore che abitava "da solo" ai Tre Pini, quello coi pantaloni troppo stretti e colorati che portava un borsello come le donne portano la borsa e nel quale frugava di continuo con le sue manone in cerca del fazzoletto. Sudava d'estate ma anche d'inverno Mario, così si chiamava.
Lo avevo visto spesso coi ragazzi, aspettare il 50, o la mattina, quando anche io lo prendevo per andare  all'odiosa scuola, lo avevo notato ma non era certo acume, il mio, le sue camicie erano tipo quelle dei turisti americani, piene di paesaggi caraibici impossibili da ignorare. Paesaggi che forse aveva visto, o nei quali avrebbe voluto trovarsi, chissà. Ridacchiavano tutti i ragazzi, le signore lo guardavano penosamente e gli uomini gli voltavano le spalle. Io lo scrutavo preoccupato.
Com'eri tu alla mia età Mario? Glielo avrei voluto chiedere mille volte, ma mia madre diceva di stargli lontano, che non era "normale". Ce l'aveva però il coraggio Mario, lasciava sedere gli anziani, salutava le sue vicine anche sapendole false,  e se gli dicevano "ricchione" diceva solo "Maleducati". 
Ma Mario era sempre da solo, senza un Giovanni o un Franco qualsiasi, al massimo, aveva una signora con cui, di tanto in tanto,  lo si vedeva camminare e ridere passandosi il fazzoletto sulla fronte come le attrici. Pensai che tra il diventare Mario, e l'uomo di carta non mi sarebbe piaciuto nessuno dei due. Non mi restava che diventare "invisibile".
Certo ormai del frocio me l'avevano dato, come facevo a non essere visto? Bastò cambiare banco e andare in fondo, in modo che una volta finite le lezioni fossi ultimo ad uscire, tanto non c'era niente da raggiungere, poi una volta fuori, prendere il cancello laterale e invece di seguire il flusso girare all'esterno della scuola in senso contrario. Di seguito per evitare il bus, Mario, o gli scherzi, bastava farla a piedi fino in cima. Alle lezioni di ginnastica, invece, imparai a mettere i pantaloncini sotto gli altri, in modo da non dovermi spogliare, l'ora di religione non la facevo, così anche Dio non poteva farmi star male con la sua menata dei peccati da confessare e per la ricreazione beh bastava non andare al cesso, e andarci durante le lezioni da solo.
Bella vita, non c'è che dire la scuola media per quelli come me, che evidentemente ce n'era uno per ogni scuola se andava bene. Per fortuna una volta arrivato al 52 c'erano i ragazzi della banda, che per qualche meraviglioso motivo, mi avevano escluso solo dalle partite di pallone, ma più perché ci cadevo sopra che per altro. 
Durante uno dei miei svicoli scolastici, mi si parò davanti lei. Di tutte era la meno bella, ma già alle elementari, Laura, mi faceva simpatia col suo naso davvero troppo largo! Siccome aveva avuto un grave problema cardiaco da bambina e quando era tornata a scuola elementare ci dissero che era "delicata",  finì che in molti la evitavano, esattamente come succedeva a Patrizia che aveva sempre i pidocchi. Purtroppo, durante una ricreazione, giocando all'elastico, non ci capimmo o forse mi disse che non potevo giocare perché non ero una femmina, beh, io le tirai uno spintone in pieno petto e la sua ferita cominciò a sanguinare.
Diamine, cosa mi era girato di farle? Come quando la maestra elementare mi prendeva in braccio perché avevo la gamba "gigia" e non ancora operata, ed io, la colpivo sulle gambe vare con le scarpette ortopediche! Comunque, sepolto questo fatto infantile e spiacevole me l'ero ritrovata  in classe alle medie. La ferita era ben chiusa ormai, ma io, ironia della sorte, non l'avrei più toccata con un dito comunque.
"ciao vieni anche tu alla gita al  Museo di Scienze naturali?" esclamò a debita distanza.
" Non so se mi lasciano i miei" risposi laconico.
" io vado, se vieni ti tengo il posto sul pulman" disse coraggiosa. Ne aveva di fegato la ragazza operata al cuore!
Coi suoi capelli unti il nasone e a cicatrice, Laura mi fissava con due splendidi occhi azzurri che non ammettevano un rifiuto in risposta, e con la maglietta non troppo piena. La mia determinazione ad essere invisibile ma ancor più a togliermi d'impaccio mi spinse a dire solo "va bene". Nel tornare a casa a piedi non sapevo cosa provare per prima tra la vergogna e la vergogna di essere contento. Poteva essere che non fossi come dicevano? D'accordo era un pò conciata la fanciulla, ma non era mica cieca? L'aveva visto il brufolo viola al centro dei miei occhi bassi?
Senza un vero motivo insistei a lungo con mamma per partecipare alla gita, ma non dissi niente a Giuseppe ne agli altri. Mia mamma, oltre ad avermi esonerato da religione e per un pelo anche da ginnastica, non era molto dell'idea di spendere i soldi necessari all'acquisto del biglietto del Museo, ma si vede che Dio, magari  per convincerla della sua esistenza, le fece dire di si.
Il giorno della gita, mi disse di mettere i vestiti buoni, quelli da "tener da conto", con le ovvie raccomandazioni di non sporcarli. Mi preparò due panini e mi accompagnò a scuola.
Il grande pullman lucido sembrava dovesse portarci chissà dove, sebbene il Museo fosse in centro. Laura, era li che si guardava intorno con le labbra dipinte e quando mi vide mi abbracciò entusiasta col suo orrendo maglione verde acqua con le maniche a pipistrello e una gonna a quadri ne lunga ne corta. Le porte del pullman si chiusero e la maestra fece l'appello: D'Asdia? Presente.
Ero presente cazzo, c'ero anche io in quel viaggio, magari la mia grande occasione per essere come gli altri.
Passando tra le vie della città, palline di carta e strilli della mestra facevano da sottofondo alla nostra coppietta improbabile. Mi avevano detto che ci si fidanzava con una, mettendole sulle spalle un braccio, ma io a malapena respiravo, così fu lei a " fidanzarmi". Era così che succedeva? 
In fila per due ordinati, ci fu detto di stare vicini di fronte al grande portone di legno del Museo di Scienze Naturali, che aperto su di noi, mostrava la sua voglia di ingoiarci tutti. Ci fu spiegato che avremo fatto un viaggio nel tempo e che avremo visto cose straordinarie e misteriose, e che le creature dietro ai vetri, per quanto realistiche, non potevano nuocerci in alcun modo. Eccitante! Laura era elettrizzata a tal punto che mi prese la mano. Sperai che non rimanesse incinta, anche se i giornaletti porno avevano indebolito quella mia convinzione, ma sfortunato com'ero poteva anche succedere che i giornaletti si sbagliassero. 
Le sale del Museo puzzavano di spirito, come chiamava l'alcool mia nonna, e scheletri di dinosauri fingevano di minacciarci retti da stampelle di ferro. Non gliene fregava a nessuno di quelle cose, nessuno tranne me, che mi sentii di poter trovare li che ne so, lo scheletro di un " frocio" preistorico!
Laura se ne stava vicino a me con la sua mano sudaticcia sempre ben stretta nella mia, ma talmente che io mi ero già infastidito...ma ormai mi aveva fidanzato, che potevo farci? Le diedi anche uno dei miei due panini, tanto per suggellare il momento. Mangiammo.
Dopo piante, scheletri, uccelli e pesci, giungemmo in una delle stanze più cupe del museo: sul pesante cornicione di legno c'era una targhetta che diceva: Rettili e mammiferi
In lunghi vasi di vetro lucertole e serpenti se ne stavano immobili e sospesi in un liquido talvolta giallo talvolta rosa e facevano abbastanza schifo, non come il pipistrello che avevo colpito con la racchetta, ma quasi. In quel momento di discreto rabbrividire, Laura trovò invece il suo coraggio, e mi sospinse nel fondo di una delle anse tra una teca e l'altra.
"Non avrai mica paura?" dissi per farmi coraggio. 
Si avvicinò moltissimo a me, e per confortarla l'abbracciai, poi le sue labbra mi furono talmente vicine da gettarmi nel panico, perché in quella posizione il suo naso era davvero impossibile da ignorare!  Dopo una morbida pressione delle sue sulle mie fui io a irrigidirmi, ma non dove mi aspettavo di farlo.
Si faceva largo una cosa bagnata che sembrava volesse scivolarmi in gola. Ma vuoi vedere che mi sono fatto fidanzare da un rettile, le  avevo viste le lingue dei serpenti e se mi morde e c'ha il veleno? Forse vuole uccidermi o mangiarmi, ma che schifo! 
Tra l'altro, respirare è un casino, se ti baci in apnea con una col naso grosso che ti ottura una narice! Poi accadde. Di nuovo. Un bello spintone per riprendere fiato. 
Al ritorno, si andò a sedere in fondo con le ragazze,col maglione sporco, piangente a dirotto per colpa mia, una seconda volta. Non eravamo più fidanzati suppongo. Parlando con un compagno che mi chiedeva cosa fosse successo ebbi solo la forza di fargli una domanda.
" tu sai se due fidanzati si fanno robe con la lingua?" - " certo, si limonano se lui non è ricchione" mi rispose,  poi aggiunse " te la sei limonata?"
" Forse" - " ma allora è una che ci sta! Fico, domani ci provo anche io, tanto mi sa che a te non ti vuole più".
Io,  la bocca l'avevo aperta ma la lingua non sapevo dove metterla, e nel casino le avevo vomitato addosso il panino, perché lo sguardo mi si era posato su un flacone che conteneva un bambino o qualcosa di simile, o solo sui suoi occhi aperti e voraci.
Rieccomi qui, su un sedile, inchiodato e senza più nessuno con cui scoprire qualcosa. Avrei voluto morire e diventare il primo scheletro di "ricchione" della Scuola media, almeno nel futuro, semai qualcun'altro come me, fosse andato al museo, avrebbe visto che ero fatto come lui. Una sala magnifica piena di stelle con solo il mio scheletro al centro, piegato in due come l'uomo di Neanderthal, ma per altro motivo. Una targa dorata avrebbe portato inciso: Homus vomitus frocius non erectus.
Nei giorni seguenti fu un trionfo di sfottò come mai prima. Presi una nota sul registro per essermi appartato con lei, come se a volerlo fossi stato io, perché dopo il mio vomito, ci beccarono i prof, mia madre però pareva più disponibile da quando aveva saputo che ero con lei. Canticchiò per una settimana, fino a quando le dissi, come credevo volesse, che non l'avrei fatto mai più!
Laura aveva raccontato a tutti della mia figuraccia e di come era stata rifiutata? O il mio sguardo, da quel giorno, annunciava a tutti che le femmine non mi piacevano come piacevano a tutti? Io a chi potevo raccontare come mi ero sentito? Che non era stata  lei a farmi schifo, o il feto nel barattolo, quanto la menzogna di quel bacio che mi dava per sentirsi anche lei normale, la precisa sensazione di servirle per rendersi più appetibile agli altri, perché con me era più facile. La crudeltà con cui lei si pigliava il suo futuro con la lingua, lasciandomi nel mio stesso vomito senza una risposta precisa. L'adolescenza e le sue pulsioni sono crudeli e avide come io non sarei mai riuscito ad essere. 

Le ragazze crescevano il doppio di noi, e altrettanto cresceva la loro linguaccia! 


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