giovedì 26 settembre 2013

Imbarazzi e Chihuahua

La mia bambola di pezza con la buffa faccia a fagiolo e i capelli di lana gialla piaceva molto a mia cugina e a Francesca, alle quali però non la facevo toccare perché me l'avrebbero trattata “da bambola”. Vestita, spogliata, sbattuta come neanche i maschi saprebbero fare!
Una bambola nella stanzetta di un maschio era qualcosa di imbarazzante da mostrare, ma grazie alla totale mancanza di ospitalità di mia madre nessuno dei miei amichetti sapeva che ce l'avevo! 
Oggi conosco madri che hanno comprato il Cicciobello ai loro bambini maschi senza temere per la loro virilità futura e questo senza fare inutili cortei.
Oggi parliamo di imbarazzo e in particolare di un tipo di imbarazzo che nonostante tutto non si vince mai, quello dei maschi etero nei confronti degli amici gay delle loro compagne. Ormai sdoganato, il concetto di “amico gay” fa tendenza tra i maschi eterosessuali, poiché dal momento che “sono dappertutto” non si può più mostrarsi imbarazzati, senza incorrere nell'ira funesta di fidanzate e della società perbenista a cui si appartiene. Un po' come quando parli di napoletani e non puoi dirne i fastidiosi difetti, senza prima averne cantato le lodi, l'amico gay, non può essere gestito se non prima sottoscrivendo la “liberatoria” che recita: io non ho nulla contro anzi ho “tanti” amici gay!
Chiarirei che innanzitutto i “tanti” generalmente non superano il numero pari che si genera quando l'amico gay ( che devi accettare per non digiunare sessualmente)della tua fidanzata, si mette con qualcuno, poi c'è da dire che dal momento che anche grazie alla nostra stupidità il concetto di amicizia tra un uomo gay e una donna si è sempre più approssimato al genere di rapporto “velina-chihuahua”, ( piuttosto possessivo e costoso tra cene regali week end shopping  e SPA), non è che tutte possano permettersi, come dire, l'allevamento. In ogni caso, c'è sempre una circostanza in cui la tua amica ti presenta il nuovo fidanzato, o vieni presentato dalla suddetta amica a un'altra e al di questa fidanzato! 
L'imbarazzo di alcuni è evidente specie se l'etero è belloccio e sa di piacere, così dopo le presentazioni succedono cose buffe, tipo le posture “a distanza” e risate sproporzionate alle battute, oppure, si generano improvvise pezzature di sudore nelle camicie o t-shirt di alcuni. Il genere di imbarazzo è simile a quello che si prova quando ridendo ti scappa un peto e speri di essere l'unico ad averlo sentito. Una sorta di indecisione si impossessa di tutti e due gli uomini, ed ecco il punto. Ci sono due uomini ma non c'è un codice definito. Se lo guardo troppo negli occhi cosa succede? Posso dargli una pacca come agli amici di spogliatoio? Di cosa parliamo? Non è che mi guarda il pacco?
In tutto ciò, le donne chiosano tra loro divertite e decisamente più a loro agio con entrambe i generi ignorano le difficoltà in cui si trovano i due maschi. Mi fa sempre un po' ridere questa pantomima perché uno degli antidoti più semplici al panico è la solita vecchia goliardia, l'unico codice universale nel mondo dei maschi! Da sola la goliardia e il cameratismo basterebbero a pareggiare il dislivello ma a condizione che non ci si trovi di fronte ad un uomo gay che parli agisca e si muova come la propria fidanzata! In quei casi una pacca virile potrebbe causargli la lussazione dell'anca. Altresì ci sono uomini gay, che esagerano dall'altro lato sembrando dei manovali a tutti costi, i quali però appena si lasciano andare ad una risata spontanea, incorrono in quel tipo di gridolino garrulo, che è ancora più imbarazzante del suddetto peto.
Per una volta vorrei difendere i maschi eterosessuali i quali non possono catalogare troppe varianti, e quindi come nel vestire tendono a semplificare per non sbagliare. Se smettessimo di farci strattonare come bambole di pezza o di infilarci nelle borsette delle nostre amiche, forse potremo trovarci di fronte ad una nuova opportunità: quella di toglierci la funzione di “accessori” delle donne e come tali sembrare un po' tutti uguali, eccessivi, e talvolta un po' troppo vistosi da mostrare. Le donne imparerebbero che non siamo i loro giocattoli e potrebbero concedersi un linfodrenaggio in più, gli uomini che non ci provocano erezioni solo perché sono tali, e noi, potremo concederci qualche risata più sincera, qualche peto fuori luogo come tutti, qualche corteo in meno, e soprattutto trovarci anche noi un compagno al quale presentare un amico o essere come coppia, presentati senza imbarazzi  e chihuahua!

lunedì 16 settembre 2013

le "cose" che non ho detto.



Le cose.
 In quella parola ci sta di tutto, dai cicli mestruali delle amiche se  sono le “loro cose”, alle incombenze da sbrigare se sono “cose da fare” o i segreti famigliari se sono “cose di famiglia”.
Ognuno ha le sue cose anche nel senso di oggetti materiali e quelle sono le cose degli altri che preferisco, perché sono più oneste delle persone a cui appartengono. La collana di avorio che la mamma tiene in camera sua mi dice che un tempo le piaceva farsi notare, nonostante oggi abbia un'aria tanto dimessa e dica di se, che “preferisce passare inosservata”.
Nella STANzetta di oggi parliamo di oggetti. Perché li teniamo con noi? Il valore delle cose che possediamo non c'entra perché spesso gli oggetti più cari non hanno grande valore ma sono più semplicemente dei rammentatori di ciò che siamo stati o dei sentimenti a questi legati.
Potremo dire che definirli dei “passaporta”, come succede nei film di Harry Potter, sia una geniale maniera di descriverli dell'autrice del famoso maghetto, il quale toccando un semplice scarpone passava dal passato al presente come prendendo un ascensore da un piano all'altro.
Non vi è mai capitato a casa della nonna o aprendo l'armadio di mamma, di trovare un oggetto che sta li come se fosse dimenticato, e di provare la curiosità di saperne di più? Quando chiesi a mia madre di raccontarmi di più sulla borsetta di vernice con le rose ricamate che stava buttando in pattumiera, notai che un lieve imbarazzo la colse ma insieme anche una malinconia per la “ragazza” che l'aveva indossata. Subito dopo mi liquidò dandomi semplicemente del impiccione, e chiuse quel sacco col segreto che conteneva e se ne disfò con apparente noncuranza.
Le emozioni, che sono la nostra parte intangibile, necessitano degli oggetti per vincere la naturale tendenza umana a dimenticare, per questo alcuni esseri umani quando sono travolti da emozioni dolorose cercano conforto in maniera patologica nelle “cose”, finendo per accumularne fino a livelli allarmanti che finiscono per etichettarli come “spostati”, da coloro che li hanno delusi feriti o abbandonati. Alcuni, li puoi vedere per le strade o nei telefilm americani, trascinano con se certe cose che non sono affatto necessarie alla vita di strada ma alle quali hanno agganciato la parte residua di appartenenza al genere umano che il loro modo di vivere ha smesso di affermare pubblicamente. Li chiamiamo barboni, ma un tempo erano come noi. Un giorno, mentre ero alla finestra in pausa dal mio lavoro di parrucchiere, una di queste “barbone” mi chiese di potersi tagliare i capelli. Ricordo perfettamente l'odore che emanava dai suoi abiti sudici ma notai maggiormente il perfetto italiano con cui mi fece la domanda.
Dovetti decidere in fretta e non essendo mio il negozio, ma essendolo invece il tempo di pausa, le dissi di aspettarmi li e la raggiunsi alla fermata dell'autobus che grazie al suo cattivo odore era diventata improvvisamente deserta. Mi raccontò che era stata una insegnante e che dopo aver cresciuto da sola l'unica figlia, finì per strada quando questa morì bambina,  in un incidente. Tra le cose che portava con se c'erano  animali di peluche che facevano capolino dai sacchi neri, consunti e magari senza un occhio o un braccio e non ci fu bisogno di chiederle spiegazione. Tagliai di netto il nodo che i suoi capelli grigi e sporchi avevano formato e che, a causa della trazione, le dava il mal di testa, con gli occhi velati di lacrime, tra gli sguardi disgustati delle persone che a casa loro chissà cosa “conservavano gelosamente”. “Ti posso pagare!” disse affermando la sua dignità “ no davvero” dissi io, “l'ho fatto volentieri, non doveva essere facile tenersi quel nodo..”. Lei aprì uno dei suoi sacchi e mi diede un orsetto senza naso, dopodiché, augurò a me buona fortuna.
Sia che si mostri un eccessivo attaccamento o un totale distacco, le cose hanno una loro strana maniera di raggiungerci ed entrare a far parte della nostra vita, come testimonianza di un contatto avvenuto col mondo di qualcun altro. Puoi comprarle a un mercatino come piace a me, o vedertele arrivare per mano di un blasonato notaio, non importa, le “cose” ti troveranno e ti imporranno di dargli un qualche significato o ignorandole, permettere ad altri di farlo! Ci sono prima di noi e ci saranno dopo che ce ne saremo andati, perciò mi chiedo: perché proprio ora che possiamo averne di più, le nostre “cose”,  sembrano non avere più niente da raccontare?  Perché la storia di qualcun altro ci mette a disagio? Forse perché, c'era un tempo che non c'è più, in cui le cose erano poche e le storie delle cose degli altri, era un po anche nostra e non avevamo timore di essere “umani”. Ora scusatemi  ma ho un sacco di "cose" che non ho mai detto.

lunedì 2 settembre 2013

In Viaggio con mamma'.

Pensavo che potremo godercela sai? Dopo tutti questi anni sprecati dovremo cogliere l'opportunità di farcela una risata io e te, perché diciamocelo, è colpa tua se oggi guardo la vita con la testa in “scelorsa”( espressione dialettale ligure che indica una posizione inclinata).
Va bene hai ragione, ho cominciato io...lasciamo stare. Secondo me però, anche tu con la tua arietta perbene, il caschettino devoto e la gonna a pieghe non hai una visuale tanto conforme: per esempio ti divertiva pettegolare di questa o quella persona con la tua amica. Vicine di posto con le gonne talmente alte in vita che il cinturino spariva sotto i seni , vi scambiavate gomitate e nascondevate i sorrisi dietro i fazzoletti facendo ballare la fila di panche durante la funzione domenicale. Oppure, quando le consigliavi quali medicine prendere, solo perché avevi comprato a rate l'Enciclopedia Medica della Garzanti e ti sentivi informata sui fatti.
Peccato che dopo tre giorni di male al braccio, curato coi tuoi consigli siamo andati al suo funerale e anche li come a quello di papà e di tutti gli altri, ci scappava da ridere. Ti ricordi?
Lo so che ti manca quell'unica amica, ma perché diamine non te ne sei fatta più di una? Tu e il tuo “senso della misura”! Per esempio quella che ti diceva: guarda che a 70 anni una donna è ancora giovane..in quel senso, parlando di uomini.
Comunque devi sapere che in quelle navi c'è l'ascensore da tanti piani ci sono. Ci farà bene litigare in alto mare e darci la buonanotte come piace a te: facendo finta di niente. Ma no che non sei troppo vecchia, come non lo eri quando ti sei messa in testa di prendere quella cagnolina che poi hai dato a me... solo perché ti scocciava fare le scale per portarla giù o quando hai telefonato alla casa editrice perché non volevi aspettare le uscite settimanali della “casa delle bambole” e te la sei fatta spedire già finita, pagandola una cifra indecorosa persino per Barbie! Come dici, sei una professionista dell'ansia? Già. Ben inteso ognuno ha la sua camera, perché quando sei andata a vivere dalla nonna e non c'era una camera per me è stato un supplizio sufficiente per entrambi dormire insieme, le volte che venivo a trovarti, come del resto lo era mangiare le cose che non sapevi cucinare. 
Hai ragione papà era bravo a cucinare, ma potevi anche imparare no? C'è il ristorante in crociera, così potrò cenare bene e avere il tuo imbarazzo come dessert! No che non sono sempre avvelenato con te, rimanevi fuori dai bar quando bevevo il caffè, figuriamoci che effetto ti farebbe una cena di gala!
Pensavo che guardando l'orizzonte potremo spiegarci affidando le nostre parole al mare, mettere da parte tu il tuo finto bigottismo e io il mio bisogno delle tue scuse e un po' di vittimismo, dopodiché camminando sul ponte esterno in direzioni opposte offesi a morte, rincontrarci esattamente dall'altra parte e provare a conoscerci davvero. Non come madre e figlio ma come due persone “diverse” a modo proprio e devi ammettere che io e te abbiamo sempre fatto tutto a modo nostro.
Ci pensi, alle serate danzanti quelle dove papà ti corteggiava e che frequentavi con la gonna anni cinquanta accompagnata dalle zie? Ti chiamavano la Superba e tu vuoi che creda che sei solo timida? Tu che quando gli ospiti tardavano ad accomiatarsi  gli dicevi: ce l'avete una casa?
Ora ridi, e se invece di giudicarmi e di nasconderti dietro a dio provassi a riderci sopra?
Non siamo stati lontani tutti questi anni perché io sono come sono o perché tu o Dio non potete accettarlo ma perché non abbiamo avuto il coraggio di fare quello che a entrambi riesce meglio: fregarcene, in fondo, nell'idea di non poterlo fare è quello che abbiamo fatto l'uno dell'altro, e io credo che sia questo il vero peccato, ma non sono dio. Tu sei Dio?
“Finalmente sei diventato il figlio che ho sempre desiderato avere”. Te lo ricordi questo biglietto sulla mia scrivania? Io quel giorno me ne sarei andato. Quasi diciotto anni dopo averlo fatto mi hai chiesto se avevo dei soldi, quando sono partito. Vedi che c'è da ridere? Che differenza avrebbe fatto? Mi è sempre andata bene, tranne che con te.
In crociera almeno potresti indossare le belle giacche da signora per bene che ti comprai mangiando pane e merda per il resto di un mese e io in cambio,  metterei la cravatta e la giacca come ti piaceva tanto quand'ero il figlio che volevi avere, poi ci facciamo una foto ricordo di quelle che devi pagare per averle e vedrai se non ti scapperà da ridere. 
Ridiamo mamma ti prego,  facciamolo insieme ancora una volta, perché i parenti li abbiamo seppelliti tutti. Come dici, cambiamo argomento che è meglio? Quanto costa una cassa da morto?