sabato 24 agosto 2013

mancate occasioni.

Un lettore che ahimé è rimasto anonimo mi ha fatto notare come le voci, reazioni,  che avevo inserito sotto ogni post fossero nel caso di post molto seri quale l'ultimo circa il suicidio del giovane ragazzo romano, del tutto inopportuni. Ho dovuto convenire con lui, e ricordare che li avevo messi in quel modo, (esilarante, toccante, risatina) al tempo in cui credevo di dover parlare solo con ironia di tutto. Come giustamente mi ha fatto notare, il senso magari anche profondo delle mie parole era del tutto in conflitto con quel tipo di definizioni che per altro devo ammettere che prevedevano solo un riscontro favorevole(altra grossa presunzione).
Mi scuso per non aver pubblicato anzi per averlo fatto e subito rimosso, il suo commento, caro lettore anonimo, non tanto perché  fosse poco lusinghiero quanto per l'imbarazzo in cui mi sono trovato condividendo con lei la sua impressione.
Spero di aver rimediato con i nuovi soggetti reazione: interessante, poco interessante, anche se non sono certo mi leggerà ancora e ancora maggiormente mi dispiaccio di non poterla ringraziare apertamente dato il suo anonimato, che visto l'interessante spunto offertomi avrei lodato volentieri per nome e cognome. Ci vuole coraggio nel parlare come parlo di certi argomenti o forse solo una gran faccia tosta e un pò di stupidità ma di entrambe ho piacere di rispondere con la mia stessa faccia. Mi spiace non abbia avuto la stessa audacia ma le sono grato comunque. Del resto l'anonimato è un diritto in rete anche se per me resta una mancata occasione!

lunedì 12 agosto 2013

ragazzo si uccide perché omosessuale? Non credo proprio.

La vita non è mai ovvia. Questa frase, se la senti o la leggi, suscita un immediato consenso ed è una  di quelle frasi che fanno breccia nei followers dei social network. Essa potrebbe indicare una presa di coscienza di quelle che fa maturo mostrare  di fronte ad un funerale improvviso, o sarebbe perfetta per  sentire meno  disagio se i figli si fidanzassero con qualcuno che viene da un paese impronunciabile, oppure ci renderebbe  ammirevoli se  pronunciata tra amici di fronte ad una delusione cocente.
La solennità con cui queste poche parole ammoniscono dal luogo comune è apparentemente inconfutabile. A questo genere di frasi appartengono credo gli aforismi, e verosimilmente queste lapidarie sentenze sulle cose della vita si prestano con efficacia anche agli epitaffi, perché come diceva un proverbio biblico: è meglio la fine di poi di una faccenda che il suo inizio, ed è solo allora che siamo in grado di centrifugare l'essenza di una vicenda, di una vita, di un periodo storico.
Ma perché questa frase ci colpisce davvero? Si potrebbe dire che la vita di milioni di persone sia di una ovvietà imbarazzante e questo confuterebbe la tesi iniziale per cui nessuno che viva può vivere con ovvietà, tuttavia a non essere ovvia è la vita in sé, non la vita delle persone.
La forza vitale che ci anima non è ovvia, nonostante poi tutte le vite abbiano un principio uno sviluppo e una fine, perché ci appare sorprendente, perché  la vita non è mai stata spiegata fino in fondo.
Credo di poter azzardare che adoriamo dire o sentir dire che la vita non è mai ovvia poiché se lo fosse non sarebbe abbastanza eccitante vivere. Ecco cosa ci colpisce davvero, la paura che la vita sia solo un conto alla rovescia senza eccezioni e con anche la probabilità che si compia senza nulla di eccezionale, ma che soprattutto essendo per ora dimostrato che è “una” sola, potrebbe essere più noiosa di quella di un pesce rosso nella boccia. E quella noia mortale sarebbe spaventosa anche se limitata nel tempo. Quella noia piatta potrebbe essere la nostra.
Nonostante per tali ragioni e svariate altre che non sono in grado di enunciare o immaginare, sembri orribile avere una vita ovvia, in realtà ciò che sopportiamo e assorbiamo meno bene sono proprio i cambiamenti e molti di noi, hanno pur se d'accordo con l'enunciato, il bisogno fondamentale che la loro vita scorra ovviamente. Mia madre per esempio era una di queste persone e di fronte alle “sorprese” della vita il suo più grande sforzo era di fare come se niente fosse, di approntare velocemente una sorta di routine che azzerasse l'impatto degli eventi e di conseguenza il loro apporto verso il cambiamento. In effetti riuscì con questa modalità a farci credere di avere una autentica forza morale di fronte alle avversità, ma siccome di fronte alle improvvise gioie aveva lo stesso atteggiamento di nessun stupore, comprendemmo che si trattava di semplice abulia, di una profonda incapacità di dare sapore alla propria esistenza.  Avrebbe di certo concordato col fatto che la vita non fosse mai ovvia, ma senza vedere in questo  nessuna opportunità! 
Al contrario, mio padre pur conducendo una vita apparentemente ovvia per un capofamiglia, coltivava in segreto un desiderio di avventura. Tra gli ordinati attrezzi del suo garage, sembrava prepararsi a una qualche missione esplorativa che non cominciò mai.  Nemmeno la sua vita fu tanto ovvia, secondo lui, poiché visse nell'incomprensione perenne del perché i suoi desideri, come quello di avere un orto, di comprare una casa,  di avere dei figli suoi, e  di avere una moglie che lo supportasse in tutto ciò con entusiasmo, non si fossero mai realizzati nel modo in cui li aveva immaginati. Di fatto viveva in una casa con una moglie e due figli, il che faceva sembrare ovvia la sua esistenza agli occhi degli altri, ma in cuor suo sapeva come questi fattori fossero precipitati nella sua vita in modo tutt'altro che ordinato naturale e armonioso..
Ma mio padre però fu capace di stupore quando di fronte all'incurabilità della sua malattia, e agli infausti esiti che sapeva avrebbe prodotto disse, vedendoci assisterlo come “ovviamente” i nostri sensi di colpa ci costrinsero a fare oltremisura : non sapevo di avere una famiglia che mi volesse bene! 
L'attaccamento per l'ovvietà di mia madre la spinse a una capacità di sopravvivenza straordinaria paragonabile solo a quella di alcuni batteri o degli scarafaggi, mentre mio padre desiderò talmente una vita meno ovvia da partire anzitempo per il più misterioso dei viaggi: quello senza testimoniato ritorno!
Io, singolare prodotto di entrambi per semplice osmosi, mi ritengo capace di sopravvivere a molto come la parte batterica di mia madre ma con lo stupore costante di mio padre meno il suo coraggio e la sua attrazione per l'ignoto. Io che di ovvio non gli ho dato niente. Io che non ho nessun merito per questo, né una colpa. Io che  vivo perché non ho scelta migliore.
 La mia vita non è stata del tutto ovvia sebbene oggi non sia affatto eccitante, ma di certo è stata varia finora, curiosa, controversa, complicata, veloce e lenta  ma soprattutto libera da paure del cambiamento  e bisogni insensati di scopo. Sono cosciente che la maggior parte delle cose che mi avevano insegnato fossero ovvie non lo sono affatto per me, e che però neanche il rischio e la tensione dell'anticonformismo ad ogni costo fanno di questo percorso qualcosa di più da quello che è: una manciata di immagini e sensazioni simili a quelle che vedi dal finestrino di un treno in corsa.
Incerto alla partenza, passibile di imprevisti, ritardi e incidenti “di percorso”, questo viaggetto chiamato vita, comincia veloce a tal punto che ti sembra ingiusto,  raggiunge un andamento apparentemente costante nel quale non riesci a mettere a fuoco le cose o le persone che vedi come vorresti e quando credi che sia stabile e ti permetta di sentirti abile nel cogliere i dettagli , rallenta fino a che il paesaggio diventa sempre meno vario e di solito si ferma di fronte al più stupido dei fotogrammi: un lampadario troppo vecchio, una stradina del cazzo vista e rivista, un pezzo di cielo, un suono, una voce indistinta o familiare, un angolo buio, caldo e freddo.
Mi chiedo,  sentendo nel 2013 che un ragazzo di tredici o quattordici anni fa volontariamente un volo di 20 metri dopo essersi ferito con tagli  gambe e braccia, proprio verso quell'angolo buio, se è l'ovvietà della sua vita che lo ha spinto. Quella frase che ha iniziato i miei pensieri: la vita non è mai ovvia,  perché ora mi sembra orribile? Perché l'averla condivisa con quel cenno di consapevolezza del capo, ora mi fa sentire in colpa verso questo giovane, come se gli  fossi stato indifferente anziché di qualche aiuto come dovrei essere data la mia età?
Chiede perdono ai genitori per ciò che ha fatto, non chiarendo se lo fa per essersi ucciso o perché era gay. Quale di queste due cose nella sua famiglia, non era ovvia o lo era, con tanta  certezza da far preferire la morte alla vita?
“Un ragazzo meraviglioso, con una famiglia meravigliosa” dice una donna intervistata da un cronista a caccia di un distillato di dolore “vero” da mostrare come reliquia o spoglia residua di una umanità che partecipa alla morte come partecipava alla vita....Una umanità ovvia che non c'è più, mi viene da pensare, se si ritiene meraviglioso solo il quadretto che ci rassicurava! Una donna che con troppa fretta dipinge i contorni di quel quadro non suo, e che lo fa a testa bassa ovviamente!
Eppure maledetta frase ad effetto stai bene persino qui, come se la verità non facesse nessuna differenza. Allora ho una idea: tu piaci tanto frase ambigua, perché tutto puoi contenere, vergogna onore merito e demerito, vita o morte tutto inghiotti nella tua logica nera che sa di cinismo. Di niente che si possa fare.
Tu indifferente, perfino alla vita che dici di conoscere, sei solo un insieme di parole che suonano bene come suona bene abracadabra: una sorta di malefica formula da non  poter dire ad alta voce senza procurare la morte di qualcuno o la nascita di qualcun' altro al suo posto! Tu cantilena disincantata di una setta di stronzi chiamati esseri umani, mantra di ogni disinteresse per l'altrui esistenza o antidoto allo stupore se di qualche rilievo, essa anche fosse, spiegami ora come può essere meraviglioso un figlio che si uccide perché gay ai nostri giorni e come può esserlo la famiglia che non scorge per tempo il suo bisogno? Bisogno che davvero poteva non essere ovvio: che poteva essere quello di un no o di un si ma non senza uno sguardo!
Non provare a dare la colpa alla vita, io ti ammonisco di non provarci neanche a dire che “tu sai cosa” della vita! Quell'amore che un tempo non osava dire il suo nome oggi non osa nemmeno aiutare i suoi figli a pronunciarlo per la prima volta perché potrebbe essere Marco Giovanni Pietro o Paolo e non sarebbe più la stessa cosa! 
I meravigliosi genitori di questo ragazzo  che avrebbe forse avuto bisogno non di sola totale libertà o  di una catena,  ma di essere accompagnato verso il suo treno, di essere “preparato” anziché “spedito” per il suo viaggio, hanno minimizzato l'ovvietà, o l'hanno impedita? Magari di fronte ad una cena tra amici potevano vantarsi di lui, di come per loro fosse “normale” ovvio. O magari a quelle cene trovavano una scusa per non andare presi com'erano dalla vergogna? Mai ovvio. In ogni caso presi da se stessi, e non dall'amore per questo ragazzo hanno ignorato il suo bisogno, e ora insieme alla comunità dei vivi con eccessiva fretta si consoleranno. Possono fare finta di non essersi accorti che lui non sapesse come dirglielo, perché la vita non è mai ovvia giusto? O forse nemmeno pensavano che avesse qualcosa da dire.
 L'accettazione e non la vita non è e non deve mai essere ovvia poiché banalizzerebbe lo stupore per il “nuovo” che avanza o  che generiamo inconsapevoli, perché accettare non significa saltare quel momento in cui scegliere di farlo sul serio, ma soprattutto perché accettare senza coscienza o rifiutare  con ignoranza fa torto proprio a Lei che resta un vero mistero: la vita. 
 Lei che si beffa delle nostre formule, dei nostri stregoni progressisti o arcaici, lei che non ha bisogno di noi,ma semmai il contrario: ovviamente. Lei che non ha fretta ne regole a cui sottostare.
Troppe volte in questi ultimi tempi avverto la fretta con cui chi vive muore e chi resta se ne fa una ragione. E' come una nota stonata, un tempo che manca in un ritmo, un passo saltato in una danza. All'inizio credevo fosse solo per brevità che dalle immagini di un cadavere si passasse alle immagini dei suoi congiunti impegnati in gesti quotidiani come imperturbati! Mi dicevo, che la vita col suo moto imperativo non ci consentisse altra scelta che riprendere a vivere, eppure c'era in quello sguardo di Zio Michele oggi, di mia madre ieri, un che di disumano, come anche nelle loro lacrime troppo difficili da tradurre e troppo facili da far scendere  che non sai se asciugare confortando o se fare analizzare alla ricerca del gene alieno. Troppe volte persino io di fronte all'amica scaricata brutalmente dopo anni, mi sono trovato a dire in fretta: è successo a tutti, senza voler davvero sapere quanto per lei fosse unico quel dolore. Troppe volte la gioia pur raggiungendoci non sembra rinfrescarci come la risacca del mare  su piedi nudi! E' la vita? Non è colpa nostra, ovvio.
E chi le vuole le colpe? Nessuno, allora ci si inventa delle frasi che sembrano spiegare tutto, la vita, la morte, il tempo che ci resta, se ne parla scioccati qualche ora e poi più niente,questo fino a quando non ci tocca personalmente.
Allora anche un semplice mal di pancia può diventare un oscuro presagio, qualcosa per cui non rispondere al telefono, o lavorare o finire ciò che avevamo iniziato. Io e solo io sono ciò che conta, le mie sensazioni, paure, desideri, bisogni! Forse tutta la finta luce che oggi gravita intorno a noi, e verso la quale sfarfalliamo impazziti alla ricerca di una fottuta singolarità, ci ha reso incapaci persino di viverla la vita ovvia o meno che sia, ma una cosa è certa: un ragazzino di quattordici anni ha diritto a “non sapere” come fare a vivere omosessuale o meno anche se diciamocelo fa ancora una certa gravissima, insopportabile, odiosa differenza, ma i suoi cazzo di genitori, quelli dovevano sapere come avevano fatto a dargli la certezza che non avrebbero accettato la sua natura. Vedendoli fare o dire cosa al riguardo lui se ne era convinto? 
Magari a tavola, quando lui cercava di dirgli che era deriso dai suoi compagni, e la televisione era troppo alta, li avrà sentiti parlare dei “froci”? O non se ne poteva nemmeno parlare? o ancora se ne parlava con  un tale esasperato entusiasmo da provarne vergogna comunque?  Non lo so, forse sbaglio, ma non riesco a provare nessuna pietà per loro e mi irrita profondamente l'ondata di solidarietà che si riverserà su di loro che ancora fin troppo ovviamente sono vivi, e ai quali si dirà come a lui non si può più dire: coraggio, la vita non è mai ovvia. 
 

mercoledì 7 agosto 2013

Tacchi e Rintocchi ultimo capitolo: fai un salto, fanne un altro.



Se le mie amiche erano come le descrivo perché non le mandavo semplicemente 
al diavolo seguendo l'idea femminile che ce ne fossero di migliori altrove? Nella Milano che avevo tanto amato per il suo anonimato leggero come ero finito in questo gine-praio?
In parte, perché nei dieci anni, che avevo vissuto col mio uomo, avevo avuto modo di apprezzare il suo amore per le donne, e in parte perché con i maschi non potevo avere rapporti di amicizia, che non fossero velati di una qualche impurità tra l'attrazione o l'invidia.
Mi ricordo però la prima impressione nell'entrare in un locale gay: il fatto di non vedere donne mi sembrava la cosa più simile alla perfezione che ero in grado di immaginare, e inoltre, vedevo ognuno di questi uomini come un esempio di coraggio, perché è chiaro che in un mondo machista ce ne voleva molto ad essere “noi”, e sebbene ci fossero come imparai col tempo diversi pezzi di merda anche tra “noi”, non potevo che sentirmi anche io parte di una “fratellanza” mondiale che cominciava ad osare a dire il suo nome.
A queste sensazioni rimasi legato per molti anni, a tal punto che quando incontrai il mio Sagittario, lui mi disse: tu vedi tutto il mondo gay! Riflettei molto su quella frase, e immaginai che forse rischiavo davvero di avere una visuale troppo “di parte” e mano mano che le nostre vite si fondevano, mi addentrai come Dante nei gironi di quell'inferno femminile che rappresenta il necessario equilibrio della vita.
Questa esplorazione mi fu agevolata da lui e da alcune sue amicizie femminili che con gli anni , in parte si affievolirono rimanendo conoscenze effettivamente affettuose ma meno vincolanti. La tendenza ad avere con le donne un rapporto molto intenso gli era rimasta essendo cresciuto come unico maschio in una grande famiglia di femmine, per cui,  lui era uno di quei gay che trovano opprimente la sola frequentazione di uomini, ma che però facilmente finiscono “schiacciati” dal   mutevole favore delle donne.
In fondo, dovevo aver pensato che  invecchiando i locali e la vita gay mi sarebbero apparsi meno sfavillanti, anche a causa del fatto che come le donne i gay dopo i quaranta non interessano più a nessuno, e che non avrei sopportato su di me lo sguardo di patetica commiserazione riservato ai “vecchi” nel mio ambiente, come alle donne “vecchie” nell'ambiente degli altri. Ben poco mi consolava inoltre la nuova tendenza dei giovani a concupire anziani signori e signore che in entrambi i mondi finivano col farsi troppo male, quindi quando incontrai i dolci occhi di Ahia, il sorriso da “ragazzaccio” di Secondo Te, e l'energico dinamismo di Assolutamente, mi dissi che in fondo dopo anni passati a considerarmi figlio di una donna “mio malgrado” potevo considerare la loro amicizia come una pacificazione con le mie origini.
Le dinamiche che vi ho raccontato di loro, non sarebbero poi così singolari se ad attuarle non fossero proprio state loro tre, perché se è vero che al buio le gatte si assomigliano, è vero che ognuna ha un suo miagolìo e che quel suono è fastidioso o infinitamente tenero a seconda della quotidianità in cui si produce. 
Resto dell'idea che conoscerle mi abbia chiarito che l'amore così come l'amicizia è eterna finché dura, ma che dura anche quando è negata o lasciata in disparte,  che per certi versi siamo tutti più uguali di quanto ci piaccia ammettere, che crediamo di dover fare la differenza solo se scambiamo l'esistenza per un casting da “protagonista” che non possiamo sempre vincere, ma più di ogni altra cosa vivere gli anni della nostra amicizia mi ha fatto immaginare un futuro in cui ormai vecchi potremo ancora scorgere nei nostri occhi quel “qualcosa” che abbiamo rotto o rattoppato mille volte ancora,  come un segreto tutto nostro. Sapere chi siamo stati e chi non potremo più essere, senza vergognarci. 
Perché questo credo sia davvero ciò che non si può comprare in una amicizia con una donna: la certezza di riuscire a viverle  abbastanza a lungo da permettergli di rinunciare a  mistificare chi siano, senza più il timore di essere abbandonate o giudicate per questo. Abbastanza da provare la gioia di “saperci” nei nostri  aspetti meschini e umani al tempo stesso, come nessun altro. Di saper  costruire la  fiducia che quella persona che ci ha detto di noi, ciò che non volevamo sapere, o che non vorremmo si sapesse,  lo ha fatto per restare con noi, con quella parte di noi che arriviamo a far finta che vada bene o a rifiutare fino a quando non sia più importante né l'uno né l'altra opzione.
Nella mia  incomprensione affettuosa, e nel ticchettìo del tempo che ci è voluto per accettarci come siamo, scandito dai loro tacchi che col passare del tempo non potranno essere più tanto alti, io mi auguro che i nostri passi possano continuare a scorrere vicini fino quasi a confondersi, così come il tempo confonde i generi e nella sua inclemenza ci spinge ad ammettere che siamo solo esseri umani e non dee o dei .
Tra le panchine di un parco, una di loro noterebbe un pampano disegnato per terra con un gessetto da qualche bambina: ogni casella un numero, ogni numero un salto o una giravolta da fare, e seduti vicini i nostri occhi forse velati( i miei) forse troppo truccati(i loro), si muoverebbero furbetti aspettando che Secondo Te si alzi fingendo che non le importi, si avvicini al disegno e tra le rughe che il botox non può più distendere, ci sorrida poggiandoci dentro un piede, come se volesse sfidarci ancora una volta. Allora Assolutamente tuonerebbe una risata fragorosa dicendole: tu sei matta, io ero bravissima a quel gioco e  Ahia  stringendosi a me con le scarpette morbide che diversi anni dopo avrebbe accettato in regalo, mi direbbe: sarà meglio che andiamo anche noi, prima che si faccia male malferma com'è diventata...e io che, a quel punto della vita, sarei un vecchio come tanti altri se non fosse per quel papillon rosa e la paglietta in testa regalata da loro, farei il primo salto strizzandogli l'occhio come se fossimo ancora noi, come se il tempo non fosse mai passato. Come se “qualcosa” ci fosse ancora. La vita, l'amicizia.

Tacchi e rintocchi capitolo 18: beati gli ultimi?




Le mie amiche erano felici per me? O soffrivano se io soffrivo?  Di certo io ero quello che soffriva quando tra loro le cose si incastravano nel dedalo di giochetti e rescusoni (espressione dialettale ligure che intende definire le bugie in modo carino) nei quali si perdevano, piccandosi l'un l'altra per quella frase o quel messaggio. Mi resi conto, che la mia sceneggiatura perfetta in cui tutti e quattro noi condividevamo umori e pudori ma anche la vita con i suoi colpi bassi, facendoci coraggio l'un l'altro,  era un tantino romanzata. 
Ahia fingendosi offesa, aveva dovuto fare una scelta tra gli spermatozoi del suo fidanzato e la mia amicizia e dato che con quest'ultima non si resta incinte, aveva scelto di farmi fuori anche perché sul social network avevo detto chiaro e tondo al suo fidanzato cosa pensavo del suo snobbismo, e quindi, secondo lei, avevo fatto sapere a qualcuna che “stava con un idiota”. Secondo Te, dopo aver tagliato per prima il nastro della convivenza col suo uomo finì a litigare con me sul treno proprio dopo averla aiutata a fare armi e bagagli per tornarsene a casa, preoccupata del fatto che “qualcuna si sarebbe sfregata le mani”per il suo fallimento.  Assolutamente dal canto suo, proprio non aveva sopportato che le dessi della stronza per la sua insistenza nel volere aver ragione ma era ben lieta di riconfermare la sua amicizia a chi lo pensava senza dirglielo nei denti una sola volta.
Che dire? Io e il mio sagittario “a vapore” rimanevamo sempre schiacciati dai loro dolori, dissapori, e tragedie, fino a litigare tra noi, mentre loro con incantevole candore parevano capaci di dimenticarseli in virtù di un week end o di una nuova alleanza che di nuovo aveva veramente poco. Ricordo come erano solite dirci: siete troppo buoni, per riferirsi al fatto che lo eravamo con quella di loro che meno lo meritava, ignorando che ciclicamente quell'una era una di loro!
Persino la decennale durata del nostro rapporto che di certo non era come loro descrivevano i propri ma più realisticamente fatto di grosse sfide e difficoltà superate al costo della reciproca salute mentale e fisica, e di una buona dose di eccitazione andata a farsi fottere, era visto per loro come una “fortuna”. Fortuna? 
Era proprio sfortunata Ahia a non rimanere incinta nell'esatto momento in cui lo voleva come voleva una telefonata di scuse al posto delle scarpe che le avevo mandato, perché spendere soldi non aggiusta le cose che “si rompono”. Quanto avrei voluto dirle che essere così cattiva con me non avrebbe reso gli spermatozoi di nessuno abbastanza coraggiosi per quel viaggio, né quell'uomo che usava,  più sensibile ai suoi dolori, oppure dire a Secondo Te, che la sfortuna non era stata quella di essere lasciata al telefono dopo tre anni di convivenza ma quella di non riuscire ad accorgersi che quell'uomo lo aveva fatto dopo aver accettato che esistesse solo lei ed essersi accorto che non valeva lo stesso per lui. Che era vero che i suoi bisogni venivano sempre prima di quelli di chiunque altro, e che in tutti quei tre anni lei aveva vissuto credendo che la fortuna fosse di quell'uomo, almeno fino a quando lui le chiarì che la fortuna non è amore.
Avrei detto volentieri ad Assolutamente che non era sfortunata se la cameriera andava in pensione o la lavatrice si rompeva, come lei sosteneva, ma che la sua vera sfortuna era quella di non sopportare di vivere un giorno da stronza, vivendone mille sotto il compromesso mal digerito delle vacanze estive  che il  suo “fidanzato” trascorreva che le piacesse o meno con lex moglie e le sue figlie. Vacanze che il suo ex marito non si era mai sognato di passare con lei e il suo.
Ma io ero “fortunato”, perché avevo un uomo che non mi aveva lasciato, sia che facessi sesso o no, che fossi bello o meno, che i soldi ci fossero o no, quindi non potevo dirglielo.
 Si ero fortunato e mi sentivo tale anche quando lui sembrava non avere più niente da offrirmi, quando miseri e preoccupati ci davamo la schiena nel letto per non farci vedere l'un l'altro piangere dal dolore di quella notizia di un medico o di un commercialista che vedeva i nostri progetti andare in fumo. Fortunato, quando la mattina dopo, lui trovava la forza di andare avanti nel farmi la colazione, e io la sera nel riporre nei suoi cassetti le polo tutte uguali che gli stiravo come se andasse tutto bene. Intanto che avevo delle amiche talmente “sfortunate” che mi dicevano: beato te. 

Tacchi e Rintocchi capitolo 17: la sorellanza mondiale

Parlando di ciò che si riteneva “normale” tra me e le mie amiche, ad altre donne mi sentivo sempre fare la stessa domanda: vabbé dai ma che donne frequenti? Non siamo mica tutte così!
Certamente io nell'esporre le mie sensazioni al riguardo da un lato non potevo non riferirmi ad uno
specifico punto(il mio) da cui guardavo un panorama così vasto, e dall'altro non potevo non generalizzare. In fondo ogni collina è fatta di platani, tigli, olmi e castagni ma non la definiamo forse alberata e basta?
Sembrava un po' come se loro, parlando di uomini, potessero generalizzarci  nel termine stronzi, ma guai a non fare le dovute peculiari differenze parlando di loro.  In questa Terra di Mezzo in cui io parlavo di donne alle donne, i miei piedoni di hobbit gay non potevano che inciampare rovinosamente. A tutt'oggi mi sono convinto che ci sia una coscienza femminile che  vive in ognuna di loro come parte di una collettività che però vale solo per i suoi membri, una sorta di setta in cui si appartiene tutte ad un culto superiore ma guai a confondersi tra discepole sacerdotesse e “anziane”, e che le vede “come un sol uomo”(curioso gioco di parole?) contro l'invasore maschile, che viene utile al fine di perpetuare la nascita di nuove adepte, ma al quale viene fatto credere di doverne trovare una che sia speciale e unica.
Nel caleidoscopio delle loro unicità io vedevo le mie amiche a turno adottare gli stessi schemi che le avevo sentite definire come non propri. Come quando, per un motivo sempre valido decidevano di uscire tra loro lasciandone una a casa, la quale poi veniva a saperlo da quella che non era una loro amica ma una di quelle che in quei giorni in cui le amiche non le sopporti va anche bene uscirci, e che suppongo non troppo involontariamente non teneva il “grande” segreto! Inutile dire che le rare volte in cui provavo a chiedere cosa mai le spingesse a simili panegirici piuttosto che dirsi in faccia: oggi non ti reggo e ho voglia di non vederti, mi sentivo dire: tu sei il solito sgarbato, in fondo è una mia amica! Oppure magari mentre sorseggiavo con una di loro un succo di frutta al pompelmo, rispondevano al telefono, senza dirsi che erano con me,  tenendolo lontano dall'orecchio per non sorbirsi la stufida dell'altra intercalando con qualche frase adeguata tipo: si certo, no certo, al termine della quale fargli notare che quella era la stessa persona a cui avevano telefonato in lacrime e che se le era sorbite(forse nello stesso modo?) qualche mese prima, sembrava più acido dell'agrume appena spremuto.
Fattori come la libertà individuale, l'affinità elettiva, la carica negativa, sembravano giustificare in egual modo atteggiamenti opposti e in tutto ciò non potevo fare a meno di chiedermi che ruolo avessi. Nella loro setta io ero come l'eunuco negli harem? Privo di quella minacciosa virilità ma in sembianza sufficientemente maschile da poter essere una buona “copertura” venivo lasciato libero di circolare per il loro tempio, e forse per questo privilegio non mi si perdonava la maniera diretta in cui talvolta gli dicevo che più che un tempio mi pareva una palafitta, e per giunta neanche stabile!
Il bello delle donne, è che trovano sempre il modo di riunirsi come le gocce di mercurio del termometro, ed è per questo che si sentono obbligate a dividersi: per il piacere di ritrovarsi come i maschi non sanno fare tra loro. La loro coscienza collettiva le mette in condizione di capire istintivamente che possono essere contraddittorie  singolarmente solo se lo possono anche le altre, che saranno sopportate, perché ne avranno bisogno, solo se sopporteranno le singolarità delle altre. Una sorta di eucaristica comunione che annulla nel mucchio delle “fedeli” l'imperfezione originaria, in un certo senso, quella femminile, è la più grande religione del mondo. Una autentica sorellanza mondiale che si protegge non ammettendo la propria esistenza.
Si, forse ero un privilegiato o uno stupido al servizio di una dea crudele, ma di certo le donne che dicevano che le mie amiche erano una sorta di aliene, avevano amiche con le quali sono certo riproducessero dinamiche simili in modi del tutto unici.  Io ero come tutti i maschi figlio di una di “loro” con la preziosa unicità di essere nato esente dal bisogno di risalire al mio delta e libero quindi di non doverne trovare una su tutte. E per questo in grado di guardarne una per vederle tutte sapendo però che se lo avessi detto, nessuno mi avrebbe potuto credere.

Tacchi e Rintocchi capitolo 16: gallina..nel suo brodo

Questa ricetta sobbolle da secoli, perché da sempre l'ingrediente principale è da viva accusata di essere scema ma da morta pare sia la panacea di tutti i mali. Ma se la Gallina fosse scema davvero perché da sempre le vogliono tirare il collo?  In ogni caso per la mia esperienza va lasciata nel suo brodo che pare abbia effetti corroboranti e calmanti, soprattutto per la gallina stessa, che se “vecchia” lo fa anche buono.
Ingredienti: una gallina di almeno quarantacinque anni che sia sola “come un gambo di sedano”, che va incluso, un po' di aglio contro i vampiri che le girano attorno, decisamente più di una carota che sarà facile trovarle accanto sotto forma di amante clandestino, una corona di alloro se laureata, un ciuffo di amiche presenti come il prezzemolo, una cipolla per facilitarne le lacrime, sale da aggiungere quanto basta poiché non ne ha in zucca, pepe perché tende ad essere apatica.
Preparazione:  per prima cosa la “gallina” va trovata! Potete facilmente trovarle agli happy hour.  Dopodiché, dopo averla lusingata vi seguirà in cucina o in hotel. Criticate il suo guardaroba a fiamma vivace fino a che non saprà più che farsene delle sue piume, anche se esistono galline già depilate che si sentono molto cool.
Una volta che sarà convinta di essere la regina del pollaio, mettetela in una “pentola dei desideri”da sola perché sarebbe capace di litigarsi il posto come se fosse un trono, o aspettate che ci si metta da sola( le galline single sono molto cooperative quando si tratta di farsi cucinare nei propri sogni) Aggiungete la solita carota dietro la quale c'è sempre il bastone, la corona d'alloro degli studi, le lacrime di cipolla, le amiche prezzemolo, la gamba di sedano “sola” e copritela di acqua di rose o benedetta se siete credenti.
Ci sono due tipi di “cottura” per la gallina single, entrambi efficaci: il primo, più facile,  è quello di farla cuocere da fidanzati, il secondo più elaborato ma che rende il brodo più saporito è quello di non esserle amico e rinunciare a capirla...lasciandola nel suo brodo. In entrambi i casi la gallina una volta nella pentola in cui si creda al sicuro,  va incoperchiata ma come già detto è capace di chiudersi da sola il coperchio in testa pur di sentirsi unica.
Lasciate per diversi anni che la gallina si lamenti, pianga, chiacchieri coi ciuffi di prezzemolo sminuendoli o facendoseli vicini, si giuggioli con la carota del beneamato, e tutta presa nell'organizzarsi l'esistenza nella Pentola dei suoi desideri, formerà un brodo denso nel quale lascerà tutti i grassi delle sue illusioni,  finendo per credere che va tutto bene.
 Una volta trascorso questo tempo, fatto di borbotii e progetti e discussioni monotematiche, fatela raffreddare in un luogo molto freddo non cagandola di striscio, fingete se vi pare una pausa di riflessione se il metodo di cottura è quello “da fidanzati”, o lasciatela convinta di poter fare a meno di voi se invece l'avete lasciata cuocere da “amico”. 
Prelevate la patina di illusioni dal “suo brodo” e gettatele nel water insieme a gran parte della sua autostima, e prelevate anche la gallina che di solito apparirà un po' lessa e provata. La carota potete buttarla perché se c'è una cosa di cui la “gallina single” non ha più bisogno dopo aver fatto buon brodo è di una carota molle( nel caso siate fidanzati tanto di più), dopodiché ditele che è troppo magra, o portatela davanti allo specchio dove improvvisamente si accorgerà di essere diventata “vecchia”.
Potete bere il suo brodo, o lasciare che vi ci anneghi come se l'avesse fatto per colpa vostra.
Anche la scienza concorda sulle proprietà rilassanti e curative del brodo di “gallina vecchia”, anche se in fondo è sempre la solita minestra.
Se credete che la gallina che ha fatto buon brodo ci abbia rimesso il cento per cento non conoscete le galline abbastanza bene, perché troverà il modo di credere che ora che è magra e lessa le abbia anche fatto bene la “remise en forme” e tornerà dopo un ragionevole periodo a “sgallinare” agli happy hour. La riconoscerete perché indosserà piumaggi troppo stretti o colorati per confondersi tra le giovani...in quanto alla teoria che sia scema....fate voi.

Tacchi e Rintocchi capitolo 15: umori e pudori

Uno dei lussi dell'amicizia é il liberarsi degli inutili pudori che tengono distanti le persone. Avete presente quelle cose tipo scusarsi nel parlare di piedi, o chiamare i genitali farfalline e pisellini? Ecco.  Facendone a meno i veri amici sono più liberi di dirsi davvero come le cose li fanno sentire? 
Ahia in questo, col suo faccino da bambolina arrossita, sapeva essere davvero steineriana...cioè non si teneva dentro niente! Di lei ho condiviso tutto senza il dovere “esplorativo” che era riservato ad altri più dotati nella speleologia di me, ma non crediate che questi pur inoltrandosi in certi anfratti ne sapessero più di me! Tutt'altro. 
Io ero il custode degli umori che  essendo lei piuttosto asciutta a livello emotivo, non riguardavano i sentimenti. Ogni quattro settimane circa venivo informato dato che ero come un fratello, dell'aspetto, densità, variegatura eventuale e irruenza del suo ciclo mestruale. Ma una sorella ne parla così a suo fratello?
Ho chiesto in giro e non pare che la fratellanza si misuri in questi termini, anzi che ci sia invece un riserbo quasi totale un po' come il sesso tra i  genitori, per i propri figli.  Probabilmente, Ahia che riteneva di essere talmente sensibile da sentirsi fragile come un vetro, impostò male il rapporto  terapeutico con la sua analista, convincendosi di “dover” essere molto più coraggiosa nella sua comunicazione, oppure avendo avuto solo fratelli le era rimasto un gran bisogno inespresso di condivisione di sé.  
Così credo di essere stato il primo con cui, decise di Condividersi. Peccato che il modo in cui la dolce fanciulla nella torre si concepiva, e quindi intendeva condividersi era basato su un ascolto straordinario del suo corpo. Non so se durante una seduta magari la sua analista dopo averle chiesto di chiudere gli occhi e di “scendere” nel suo io profondo, avesse starnutito o tossito o avuto l' attacco di diarrea che nelle pubblicità ti aspetta in agguato dietro un cespuglio, ma di fatto, Ahia doveva essere rimasta lì dove lei le aveva detto di stare.. dentro di sé fino a rimanervi imprigionata.
Infatti, la fanciulla era capace di cose straordinarie per cui se le telefonavi poteva dirti: ho male alle arterie, oppure essere in grado di tracciare come un GPS l'esatto percorso di quel doloretto tra fasce muscolari, capillari derma, epitelio e strati cornei, che le partiva dal tallone e le fuoriusciva dai dotti lacrimali. Come una talpa sembrava cieca alla luce del sole, ma conosceva a memoria tutti i suoi cunicoli.
L'involucro esterno che la conteneva, ovvero il suo corpo era custodito con religioso decoro, fatto di rituali anche costosi che  esprimevano in modo un tantino ortodosso  il concetto dell'Apostolo Paolo quando sosteneva che il nostro corpo è il nostro tempio e la sua purezza un requisito per lodarne il Creatore! Lei, vestale della sua Buccia mai d'arancia aveva ben ragione di detergerla idratarla esfoliarla depilarla e quant'altro, poiché viveva nella convinzione che la sua parte organica fosse sempre sotto minaccia di agenti esterni e pronta a deteriorarsi. Un po' come quelle case nobili che hanno la facciata assai curata e i mobili impolverati sotto le lenzuola, lei viveva in restauro permanente ma senza mai consolidare le proprie fondamenta.
Le sue patologie, spesso causate da abitudini malsane quali il dormire sotto il piumone anche ad Agosto mi facevano una gran tenerezza tranne quando la dovizia dei particolari circa questo muco o quel fluido corporeo raggiungevano una  macroscopìa tale da provocarmi un netto cambio di discorso. Per quanto riguardava invece il pudore lei ne era assolutamente priva e sarebbe stata capace di cambiarsi le mutande intanto che parlavamo di borse e scarpe, come di fare la cacca sotto un cavalcavia senza nessun turbamento.
La cacca era infatti il suo cruccio più grande. Ci pensava tutti i giorni e le erbe che prendeva per farla erano tredici al cubo almeno. Una mia amica cardiologa dice sempre che  se agli  italiani  gli fai fare la cacca, ti  sono più grati che se gli fai un doppio bypass coronarico, e deve aver ragione perché Ahia mi informava che succedeva con lo stesso entusiasmo di una promozione sul lavoro.
Solo di fronte agli esami del sangue Ahia diventava fragile davvero, come se quel sangue che le circolava dentro la macchiasse di rosso, colore che infatti non poteva sopportare nei vestiti o per casa, e quindi per fare gli esami  ci recavamo insieme nel centro analisi più scomodo che c'era in città, solo perché l'infermiera di quel posto l'abbracciava durante il salasso, ed io guidavo la macchina verso casa! Presa com'era dalla sua sopravvivenza non c'era da meravigliarsi se aveva paura di “mischiarsi con gli altri” in quasi ogni senso. 
Le cose andavano all'opposto invece con Secondo Te, la quale collezionava referti e radiografie sotto i tappetini della sua auto e puntualmente se le chiedevi un fazzoletto di carta o un cerotto tirava fuori dalla borsa una serie di impegnative scadute per le analisi del sangue, proponendoti di utilizzarle come facenti funzione!
Terza di tre sorelle lei era invece cresciuta in un autentico gineceo dove probabilmente la propria coscienza fisica, fu banalizzata in una quotidianità fatta tutta al femminile. Le sue problematiche mensili le erano di minor angoscia della posta inevasa che accumulava e se Ahia si osservava armata di lente d'ingrandimento, Secondo Te era completamente sorda ai sintomi di qualunque malanno, a tal punto che lo stress le doveva manifestarsi sotto forma di un herpes labiale che aveva la grandezza di un paio di baffi, per essere preso nella giusta considerazione.
Iperattiva e ansiosa ma anche instancabile lavoratrice, Secondo Te aveva del suo corpo una considerazione contraddittoria in quanto, sarebbe stata capace di farsi affettare col machete pur di sentirsi bella ma nel contempo era proprio la paura che le impediva di far leggere gli esami al medico. Una malattia sarebbe stata inaccettabile poiché imposta dal fato e magari anche foriera di uno scombinamento insopportabile dei propri piani vacanzieri o sentimentali. Nondimeno però per indossare fieramente un bikini era in grado di affamarsi per mesi rischiando quindi di ammalarsi davvero, o di programmare un intervento che la migliorasse con svizzera precisione.  Dei suoi organi interni trai i quali i polmoni essendo una fumatrice accanita le importava quanto la conoscenza dei pezzi del motore del suo Suv, ma in quanto alla sua Buccia era disposta anche a “candirla” pur di apparire bella elegante e upper-class. Questo non aveva a che fare con una superficialità ma con il suo bisogno primario e cioé quello di trovarsi un uomo che la facesse sentire “unica”. 
Se Ahia cercava un uomo che la accudisse come una posata d'argento, Secondo te voleva un uomo che le confermasse che era bella come lo specchio di Grimilde e desiderabile come mai probabilmente si era sentita tra due sorelle decisamente carine.
Il suo intestino era regolare, almeno quando trovava qualcosa da trasformare nella ovvia materia che lo riguardasse. Il suo modo di osservare gli altri poteva sembrare simile al bicchiere mezzo pieno in cui li avrebbe voluti affogare, considerando il proprio perennemente mezzo vuoto, e aveva ragione, dato che avrebbe disegnato il suo con la capienza della diga del Vajont, mentre proprio non si spiegava come mai tutti intorno a lei si lamentavano del proprio bicchiere oltretutto mezzo pieno.
C'era solo un modo in cui si poteva approfittare di lei, ed era quello di farla innamorare, quindi prettamente consentito ad uomini etero. In un solo caso si fece fregare da un gay di bell'aspetto ma lo fece per dimostrare all'amica che gli presentò quel “caso umano” che lei poteva permetterselo, quindi per autentica vanità. 
Infatti tra tutte lei era la più agiata e nonostante il mio rammarico e continuo disappunto, usava il denaro come se stessa: in modo contraddittorio e con sentimenti opposti, quindi ne usava troppo e male o non lo usava proprio quando farlo sarebbe stato opportuno. Clamorosi e per me tenerissimi, i suoi attacchi di tirchieria come quello di spendere una cifra esorbitante in gelsomini senza voler affatto comprare gli opportuni sottovasi.
Ma io di lei avevo conosciuto la generosità più autentica, quella che nessuno cercava davvero in lei, quella che non era fatta di regali o viaggi o cose materiali. Quella che in modo unico sapeva dimostrare con una timidezza che solo io potevo percepire: i suoi abbracci, le foto di quando era solo una bambina, il soprannome che le avevano dato perché non voleva il brodo.
Le cose più belle che ricevetti da lei erano quelle che le appartenevano già come quella volta che confezionò a mano delle meravigliose tovagliette in feltro bordate di nastro che mi regalò come se farne a meno fosse per lei  un sollievo, ma in realtà, perché io custodissi un momento in cui era stata davvero felice.

 Impegnata com'era nel nascondere difetti che solo lei vedeva di sé,  e nel “trivellare” le persone in cerca di una fonte inesauribile di soddisfazione personale, non c'era da sorprendersi se  non riuscisse a correggere quegli aspetti, che agli occhi degli altri la rendevano “unica” in chiave spesso più negativa di quanto meritasse!
Di gran lunga più flessibile, Assolutamente era bilanciata dall'essere madre di un adolescente di rara bellezza e statura fisica. Anche lei aveva due sorelle che vivevano lontano e anche queste erano molto carine. In quanto a pudori sapeva metterli da parte per godere di una “ragazzitudine” sempreverde. Così potevi vedere indimenticabili scatti estivi di lei in short di jeans e canotte o altrettanto indimenticabili look invernali con pantaloni cargo e sneakers di colori accesi dai toni più urban di quanto nemmeno suo figlio potesse immaginare come  gradevoli. 
Festaiola e ospitale l'estate era la stagione in cui il giardino di casa sua diventava il fulcro sociale di numerose compagnie. Anfitrione d'eccezione possedeva una cucina attrezzata “assolutamente” di tutto ciò che serviva per una tavola da trenta persone, il tutto riposto con la perfezione Virginiana più classica. Amava talmente dare ospitalità che mi offrì diversi compleanni indimenticabili nel suo giardino e nel farlo si mostrò generosa come nessuno. Anche quando le feci fuori un frullatore nel tentativo di preparare una salsa verde. In quel frangente dove sporcai ampiamente la sua cucina, intravidi l'orrore, da brava Vergine, farsi largo nei suoi occhi e dissolversi in una fragorosa risata leggermente forzata mentre diceva : che vuoi che sia! 
Il pudore che le mancava nel concepire il suo metro e ottanta di donna,  lo mostrava nel parlare degli aspetti più intimi di sé. Non ci sono note infatti, nessuna patologia fisica di particolare rilievo in quanto il suo super io non poteva ammettere nessuna defezione all'efficienza di cui gli si poteva attribuire un vero primato tra noi. Andava in macchina, in motorino, in caicco, in mongolfiera e presumo anche in deltaplano ignorando ogni legge fisica che si frapponesse tra lei e il divertimento o il risultato che aveva in mente. Le sue origini esotiche e le esperienze forti che aveva fatto in suolo natìo unitamente alla educazione ricevuta da un padre che venerava e di cui inconsapevolmente incarnava l'ego smisurato, la rendevano davvero particolare! A differenza delle altre, lei appariva davvero solidale con le donne, o almeno con quelle che la facevano sentire parte di una elite che credo si portasse dentro. 
Non a caso il suo aspetto delle volte un po' tanto giovanile sembrava dire: sono una come voi, ma se poi si andava ad una festa, lei era decisamente più di noi...in quasi tutto: più vestita, più felice, più appariscente, più orientale di quanto riuscisse a contenere. Sembrava del tutto inconsapevole di quanto non le servisse agitarsi tanto per essere notata, perché la sua imponenza fisica data dalla statura e dal riccio incontenibile facevano già tutto il lavoro di un occhio di bue sul palcoscenico. Amata da tantissimi amici Assolutamente aveva una autentica abilità sociale ma credo pochissimi potevano averla vista in lacrime.
Di fronte al dolore aveva invece,  un pudore che ammiravo.  Il dolore in lei era composto, misurato e incapace di commiserazione, ecco quindi perché nelle occasioni di gioia non sembrava sapersi contenere. Solo di fronte agli insuccessi scolastici del figlio la vedevo davvero provata, e mentre con lui cercava di trovare la severità che una madre single non può avere del tutto, sapeva come una leonessa ruggire di fronte a chiunque trattasse male il suo cucciolo! 
Talvolta per questa sua forza che voleva essere incoraggiante appariva superba e troppo sicura delle sue opinioni, a tal punto da rendersi “assoluta”, ma in realtà la difficoltà linguistica nell'uso del prudente condizionale, unita al bisogno di non perdere il controllo e di offrire sicurezza , sfalsava la sua tenerezza materna. In un certo senso credo fosse con noi più materna di quanto potessimo sopportare essendo adulti. Con lei, pur sentendoti accolto avevi sempre la sensazione che ci sarebbe stato prima o poi quel “te l'avevo detto” tipico di tutte le madri. Assolutamente insopportabile.
Non c'era da stupirsi se tanto trafelata, tra un viaggio di lavoro, una cena irrinunciabile e un colloquio con l'insegnante di latino, non si accorgesse  di esagerare.
Essere loro amico, aveva più a che fare con l'equilibrismo tra la giusta combinazione di questi umori, e un singolare tempismo o “meccanismo” che poteva rompersi e ricongiungersi solo tra loro che tessevano il filo su cui camminavo sentendomi assai poco libero di sbagliare passo.

Tacchi e Rintocchi capitolo 14: amiche mai?

Ho visto cose che voi donne...
L'unica donna che non aveva contrasti con un altra donna è stata Eva perché era da sola, non unica della sua specie (umana) ma del suo genere! Ma evidentemente se si è accontentata persino un serpente per litigare con qualcuno e fare incazzare anche Dio, doveva anche lei essere venuta al mondo con la voglia di scaricare su qualcuno le sue menate.
L'amicizia tra donne è stata oggetto di migliaia di considerazioni ma a quasi tremila anni di storia umana non sembra aver raggiunto un progresso autentico. Forse perché il Creatore, che mai ha spiegato a Eva perché le avesse dato la curiosità che Adamo non aveva, e ad Adamo il libretto di istruzioni per la nuova arrivata, la condannò dicendole: la tua brama si volgerà verso tuo marito ed egli ti dominerà? Non sarà che anche Lui però l'ha fatta e punita al tempo stesso? Oppure perché in un mondo tutto maschile osserviamo questa evoluzione con gli occhi sbagliati.
Per sottrarsi a questo dominio le donne hanno cercato di farsi unite ma la “brama”, quel bisogno ostinato di un uomo, impedì sempre la piena riuscita di un sodalizio tra donne. Eva contro Eva per la banana di un Adamo, ma anche Eva con Eva per tirare Adamo sotto il carro subito dopo.
A tutt'oggi vedo donne incazzarsi nere come fichi ad Agosto con altre donne se queste sono state incoerenti con loro, ma accettare che un ti amo di un maschio dopo il sesso sia coerente e duraturo, impostando poi tutte le loro decisioni sulla rocca friabile di uno slancio in “periodo refrattario” Perché?
Nelle amicizie tra le mie amiche e le altre donne, una cosa che non ho mai visto è stata proprio la solidarietà, ma col tempo ho capito che se non la vedevo era perché i miei occhi erano più maschili di me! La solidarietà tra maschi è basata sull'appartenenza di squadra sulla goliardia da spogliatoio e su regole precise, mentre le donne giocano sempre “in solitaria” e se si aggregano lo fanno per senso estetico ma col desiderio in fondo di affermare la propria unicità, temo al solo scopo di essere notate sopra le altre da qualche uomo.
Questo mi consente di sfatare un altro falso mito e cioè quello che un gay sia amico delle donne per affinità di pensiero. Se accade questa affinità, non siamo di fronte ad un maschio omosessuale ma più verosimilmente ad un altra donna nel corpo sbagliato. Io che ho sempre amato il mio corpo di uomo al punto da desiderarne due, man mano che invecchio mi rendo conto di quanto ragioni da uomo, e di quanto questo mi renda più affine ad un aratro che ad una spingarda vinciana.
Per esempio quando una mia amica si sente offesa per non aver ricevuto gli auguri di compleanno da una che mai vorrebbe si dicesse sua amica mi sgomento, esattamente come quando la stessa è capace di dimenticarsi il mio..e di considerarlo per niente grave dal momento che mi vuole bene.
Negli anni della mia amicizia con loro, Ahia, Secondo te e Assolutamente si sono amate odiate, separate e riunite centinaia di volte. Io che di queste divisioni somme e sottrazioni ma anche frazioni equazioni e scomposizioni ero il comune denominatore osservavo questa matematica dell'affetto con un senso di impotenza simile solo a quello che provo di fronte alle istruzioni di montaggio dell'Ikea.
Le ho viste andare in vacanza insieme e tornare piene di insofferenza fino alla vacanza successiva, le ho viste giudicarsi con la pietà di un boia per poi dichiararsi come sorelle, le ho viste piangere l'una per l'altra rimanendo ognuna a casa sua, ed infine le ho viste tutte amarmi di un amore unico cantandomi lodi degne del coro delle voci bianche e mandarmi al diavolo con la forza di un coro di alpini! Non ero io ad essergli affine ma loro a trattarmi come si trattavano tra loro e senza nemmeno chiedermi se lo volessi. Io che facevo una fatica boia a formarmi dei principi e ad essergli fedele le vedevo avere principi stagionali come guardarobi.
Persino in quell'unica cosa che ci vedeva in comunione e cioè l'avere ognuno il suo uomo furono capaci di fare differenze.
Ahia dopo essersi bellamente dimenticata il giorno del mio compleanno mi disse che in fondo dal momento che il suo uomo proprio quel giorno arrivava a farle una sorpresa avrei potuto festeggiarlo un'altra volta, e che dal momento che non lo avevo invitato (perché volevo solo le mie amiche) venne e il giorno dopo mi disse: sai c'è rimasto male, si aspettava che lo ringraziassi per avermi lasciato venire.
Assolutamente invece, ci tenne moltissimo a precisarmi al telefono che il mio fidanzato era capace per un appuntamento scritto sbagliato( scrivevo l'ora giusta e le dicevo quella sbagliata) di trascendere a livelli inverosimili, e ai miei tentativi di dirle che casomai lo avrebbe fatto con me se avessi sbagliato, ribadì che “assolutamente” glielo aveva già fatto, così quando le dissi che quel giorno era proprio stronza non si ricordò di quella cena nella quale rimasi in silenzio mentre il suo di uomo le dava “assolutamente”della deficiente per i diciotto pantaloni neri tutti uguali che aveva nell'armadio. Quindi offesa mortalmente chiamò il mio fidanzato col quale ormai lavoravo insieme, dicendogli: devi “assolutamente” licenziare il tuo impiegato perché nessuno mi ha mai detto una cosa del genere! Mi chiesi se quell'uomo che la considerava una deficiente non le avesse mai detto stronza.
O Secondo Te che era capace di scusare il suo uomo se non la considerava con la “stanchezza” anche di domenica, ma di trascinarti fino allo sfinimento in conversazioni a base di domande inutili sul perché fosse sempre stanco...magari, proprio alla fine di una giornata dove te ne erano successe di tutti i colori! E se gli dicevi qualcosa che non gradiva ricominciava da:in che senso? Finendo poi col chiedermi perché, se le dicevo: oggi mi è scoppiato il tetto di casa e ho dovuto ricostruirlo da solo e sono sfinito.
Che una l'abbia fatto meno o di più dell'altra l'opinione che avevano dell'uomo degli altri era sempre critica e i dialoghi avvenivano segreti o palesi a seconda del momento che vivevano tra loro. Tutte contro tutte, in un modo o nell'altro. Ma tutte cominciarono a piegarsi al pensiero dei loro uomini sui loro amici me incluso che “ruppi qualcosa” in Ahia per prima, dal momento che il suo fidanzato fu ferreo nel non volere la mia amicizia senza mai chiarirne il motivo, feci incazzare Assolutamente dal momento che proprio da me non voleva sentirselo dire, in quanto probabilmente ero l'ultimo di una lunga fila silente ad averlo detto a voce alta, e indispettii diverse volte Secondo Te perché non avevo sangue sufficiente per le sue “poppate”.
Tutte loro nell'intendermi “amico” si aspettavano molto per sé: indulgenza, complicità, sostegno e una dose di adulazione superiore al buon senso di amicizia che prevede anche un “confronto” al quale loro non si prestavano volentieri, talora investendomi di una “altezza morale”, che lo vedeva superfluo, talora facendomi notare quanto fossi lontano dal loro mondo fatto di “vere difficoltà femminili”.Difficoltà nelle quali si trovavano tutte unite in una sorellanza mondiale che aveva la coesione di un puzzle nella scatola. Una sorellanza che una volta composta formava davvero una sola immagine ammesso e non concesso che le tessere in causa non rimanessero separate e vocianti nella scatola che tutte le conteneva: la propria mente. Di fatto io ero per loro, quella che la mia amica Silvia chiama “l'amica coi muscoli”, cioè quella che ti serve per farsi quel culo che tu non hai la forza fisica di farti, ma anche di farlo con la mentalità che avresti tu! Ecco quindi spiegato come l'amicizia fra donne e uomini gay non sia così scontata nemmeno quando si “condivide” il fatto di essere in coppia.
Ho visto cose che voi donne non potete immaginare....ma soltanto realizzare e che noi uomini, gay o etero che siamo, possiamo solo continuare a non comprendere nonostante ci siate tanto indispensabili quanto incomprensibili!
Mi sembra di vederla Eva madre di tutte le donne, girare nel giardino pensando perché mai gli alberi di cedro non fossero vicini a quelli di agrumi dato che cromaticamente ci sarebbero stati meglio e cominciando a polemizzare tra sé sull'operato del creatore, trovarsi d'un tratto di fronte al suo Adamo, che stupito dalla sua vista, non potè altro che avere una (per lui allora inspiegabile) erezione!
Mi sembra di vederla da quel momento cercare di irrigidire ogni cosa lunga e molle fino a quando la sua ostinata convinzione la mise in condizione di sentire un “serpente” parlarle come Adamo non aveva saputo fare, e convincersi dunque che per lei ogni cosa, per quanto assurda, fosse possibile. E alla collera del Creatore non tanto per averla mangiata quella mela quanto per non averla trovata poi tanto buona dire: il serpente mi ha detto di farlo.....pensando che potesse bastare.


Tacchi e Rintocchi capitolo 13: vita di coppia

Vi ho già detto che quando le incontrai nessuna di loro era fidanzata? Lo ripeto. In questa condizione a me sembravano perfettamente in equilibrio e come suggeriva saggiamente la mamma di  Secondo Te, prendevo l'amica mia col difetto suo. 
Io e il mio Sagittario, cominciavamo a stare in coppia già da un po', quel po' che gli altri commenta
vano così.
Da quanto siete insieme?
Da due anni!
Daiii!! ma che bello!

Non ho mai creduto che chi lo dice pensi davvero che sia bello per te, innanzitutto perché non ti chiede se lo è e poi perché di solito lo dicono quelli che sono da soli. Quelli cioè, che vorrebbero stare con qualcuno che di solito o sta già con qualcun altro o che non li vuole. Si, perché ci sarebbe qualcuno che vorrebbe stare con loro ma sai com'è “ ha sempre qualcosa che non va”: cose come un aspetto semplice, un eloquio poco brillante e infine una totale disponibilità nei confronti della persona di cui sono innamorati. Tutte cose  con cui questi uomini tessono inconsapevolmente il mantello dell'invisibilità. E poi c'è chi dice che i poteri magici non esistano!
Comunque, la media in cui le persone concepiscono la felicità di coppia va dal quarto d'ora ai due anni, dopodiché all'annovero dei decimali il commento alla succitata domanda diventa: ah ( con una inflessione vocale di noia o seccatura).
Perché dunque prendersi la premura di investire così tanta energia alla ricerca di mister Right?
Nel mondo femminile interiore, sconfessato e ripudiato in pubblico, il trovare quello giusto è sinonimo di successo paragonabile a quello di un salto in alto  che ti riesce senza l'asta. Asta che, diciamocelo,  nessun maschio possiede tanto lunga da garantire un simile risultato.
Nel mio gineceo meraviglioso inoltre l'indipendenza economica delle mie donne era inversamente proporzionale alla loro indipendenza dai maschi oltre ad esserci tra loro una certo agonismo circa la prima che avrebbe tagliato il traguardo a velo da sposa.
L'unica di loro che eventualmente si sarebbe sposata per la prima volta era Ahia, mentre per Secondo Te e Assolutamente si sarebbe trattato di coazione a ripetere!
Tutte loro partecipavano alla crescita della storia tra me e il Sagittario a vapore manifestando nei miei confronti la inflessibile necessità di essergli fedele. Più volte mentre si congratulavano con noi mi chiedevo: ma loro la farebbero la vita che faccio io?
Avrebbero sopportato di potersi dire raramente sedute sul divano a tre posti più penisola che avrebbero regalato al proprio uomo, perché lui l'aveva trasformato in ufficio dei cazzi suoi?
Dico questo, perché è molto più difficile da sopportare che un orgasmo mancato, cosa in cui le donne sono più esperte nel rapporto con gli uomini, di quanto io potrei mai essere dal momento che il mio essendo uomo è di una dannata  “evidenza” sia che l'ottenga o meno!
In questo senso il rapporto sessuale tra maschi è di una onestà palese, e manifesta in maniera chiara i momenti di “incomunicabilità” nella coppia. Il cazzo non vuole pensieri dicono...forse per questo.
Ogni tanto quando i pensieri c'erano e anche in quantità mi confidavo con Ahia in prevalenza, la quale non era mai chiara nel darmi una soluzione diretta, presa com'era dalla conta dei globuli del suo ciclo mestruale,  pur elogiando moltissimo la mia resistenza ai momenti bui. Secondo Te, invece di gran lunga più gelosa nel rapporto coi maschi e sintetica nelle analisi, sapeva dirmi solo: non sgallinare in giro! Assolutamente non era invece colei con la quale confidarsi, perché nel suo Impero dei Sensi non c'era spazio per la tiepidezza, sarebbe stato come parlare di ghiaccio ad Efesto! 
Del piacere femminile so così poco che l'ho sempre immaginato come il cubo di Rubik. Un inutile rompicapo, per cui non posso dire che le chiacchierate sul sesso con loro fossero esattamente sensate. Nondimeno divenne presto chiaro che chi non è in coppia adora il sesso e lo eleva alla voce “ Arti”, mentre chi è in coppia da tempo lo sposta nella voce “Mestieri”.
Ad un certo punto però Marte e Venere si allinearono nel cielo delle mie amiche, le quali come per il ciclo mestruale,( che ci tenevano tutte ad avere ancora) fecero altrettanto!
L'Ariete Secondo Te, fu la prima a incontrare un uomo, seguita dalle altre due Vergini in ordine sparso e vagamente suicida.
Un maschio Alfa-talebano per Secondo Te che quell'estate perse il diritto ad indossare i meravigliosi top “schiena nuda di Gucci convincendosi  che far indossare il burka alle sue costosissime  tette fosse un giusto prezzo mentre  la pancetta del suo “lui” faceva topless.
Un intellettuale dalla pelle delicata vestito da pirata che non la portò mai ai Caraibi, per Ahia che si sentì innamorata il giorno che insieme lessero il bugiardino di un medicamento per le abrasioni cutanee. 
Un Top Gun  in disarmo per Assolutamente, il quale con lei condivideva la passione per i vecchi modelli di carlinga e una sorella cinquantenne con i boccoli della quale Assolutamente era collega. Sono quasi certo che lei si innamorò della sua imponente statura fisica come uno scafo di una gru e cioè con la certezza che finalmente qualcuno sarebbe riuscito a “prenderla di peso”.
Incredibilmente ora eravamo “tutte fidanzate” e questo cambiò moltissimo le nostre abitudini.
Ma in verità direi che cambiò le mie, perché mi chiarì come molte donne in realtà concepiscono la compagnia del proprio amico gay come surrogato maschile di compagno. Vale a dire che fintanto che un maschio a tutti gli effetti non pianta la “bandierina nel loro punto G, l'amico gay di cui in privato si contesta la promiscuità sessuale, è un essenziale figurante maschile con quel tocco in più. Un nescafé  a cui basta aggiungere acqua di rose perché sia sempre pronto.
Quindi il periodo fidanzatesco di per se elimina qualche fine settimana soltanto ma se dopo un anno il “candidato” supera la quarantena sociale fatta di scopate, presentazioni alle amiche, uscite “a doppia coppia etero” e rodaggio al tavolo del ristorante ma più ancora alla cassa dello stesso, si arriva alla malsana idea della convivenza. 
Beh ma nel frattempo pure io ero andato a convivere col mio Sagittario a vapore, e quindi non posso certo dire che avessi maturato l'evento con più saggezza! La verità è che nel mio caso, ero talmente precario nella mia indipendenza prima personale ancorché economica che farlo mi era sembrato inevitabile. E se nessuno me l'avesse più chiesto? Che fai, puoi mica chiedergli se sarà l'ultimo. Non avere scelta aiuta a scegliere. La mia autostima di allora era come quelle figlie di nobili decaduti: vestita di cenci piegava accuratamente l'abito consunto prima di sedersi e soprattutto si fingeva inappetente davanti al piatto vuoto.
Le mie amiche invece non mi sembravano affatto bisognose di considerare “l'uomo come un ombrello”, e la loro autostima pareva opulenta e ostentata come il caravan di Moira Orfei, ma il punto è che probabilmente “qualcosa” nel loro meccanismo interiore si era incantato, mancando di precisione e facendole sentire “in ritardo”. Oppure anche loro sotto sotto si chiedevano la stessa cosa: e se nessuno glielo avesse più chiesto?
Quindi per Ahia l'intoppo rivelatore del ritardo non fu per una volta il calendario ma il tono della voce di sua madre che rispondendo ad una lontana parente che le chiedeva se la figlia si fosse sposata disse: no, lei..ha un compagno...oltre al fatto di vedere all'altare il suo ultimo fratello che da adolescente lei aveva tenuto in braccio.
Secondo Te invece, era sempre stata chiara nel dire che si sarebbe risposata dal giorno in cui uscendo da un camerino di prova aveva visto la nuova fidanzata del suo ex marito mai rimpianto ( col quale aveva però un ottimo rapporto) e da quel giorno mal digerì il termine single e tutti i matrimoni di sua sorella. Di Assolutamente non ho certezze,  ma potrei dire che la necessità di rifarsi una vita, poteva attribuirsi al fatto che non dimenticò mai (assolutamente mai ovvio) l'umiliazione del tradimento del suo ex marito ( col quale anche lei era ora in ottimi rapporti) e il vuoto che culturalmente non essere più la donna di un uomo le lasciò.
Potrei dire che gli uomini ideali delle mie due amiche erano gli ex mariti in quanto privati ormai di attrattiva sessuale e complice una buona dose di distanza, questi si dimostravano comunque civilmente presenti e per Ahia invece l'uomo ideale, semplicemente era lei stessa se avesse potuto autofecondarsi. In quei giorni pensavo: ora tutto è perfetto.

martedì 6 agosto 2013

Tacchi e Rintocchi capitolo 12: l'amico è...

“L'amico è qualche cosa che più ce n'è meglio è, un silenzio che può diventare musica da cantare insieme io e te”. Queste sono le parole di una canzone che credo scalò la classifica attestandosi come tormentone di quella stagione estiva.
Se l'amico è qualche cosa,  Ahia aveva ragione nel dire che potevo essermi  rotto? Era questo che era successo?
Oppure se ero musica, dato che Secondo Te   metteva al massimo il mio volume, avrebbe prima o poi anche lei preferito che fossi silenzio?
Assolutamente avrebbe cantato insieme a me, o se non volendo la mia voce avesse superato la sua?

Certo l'amicizia è materia assai difficile, e nel mio desiderio di mostrarla anche io esageravo ora nel dire ciò che pensavo di loro, ora nel provvedergli,  ora nel rimostrare al loro egoismo che  intanto nutrivo. Che genere di amico ero? Senz'altro ero presente, ma in silenzio, in musica, o in frastuono? Io pensavo che “insieme” contenesse già il senso dell'amicizia ma dovetti riflettere sul fatto che io e loro  non eravamo cresciuti “insieme”, ed è molto più difficile fondersi ad una certa età! Ognuno di noi aveva collezionato successi e fallimenti elaborandoli o meno a seconda delle contingenze ed era molto probabile che il nostro primo incontro non fosse stato proprio un colpo di fulmine amicale, anzi, probabilmente era stato per alcune di loro una concessione a me o a se, per altre una faccia nuova che avevano avuto voglia di rivedere. Per me  erano un riconoscimento.
Ci sono persone che si vantano di avere un sacco di amici e di non aver mai litigato con nessuno di questi e io mi chiedo se gli amici sono musica, e tu ne hai un coro, possibile che nessuno stoni? O forse questi hanno il coro delle voci mute di Bucarest?
Indubbiamente è possibile che talvolta la parola amico sia abusata, specialmente da quando per dire di averne uno basta un click, o che ci si dica amici soltanto per giustificare la nostra curiosità per uno/a sconosciuto/a, o che sembri brutto parlare di semplici conoscenze.
Altri sostengono che l'amicizia non debba mai approfondirsi troppo, che non debba mai essere tanto intima da non potervi rinunciare.
Ma l'amico è musica da cantare insieme e di sicuro per cantare un lungo e piacevole concerto non si può improvvisare. Perciò ero solito cercare di essere il tipo di amico che avrei voluto avere! Intenzione lodevole se non per il fatto che tiene conto di un solo punto di vista il mio, ma neanche potevo essere il tipo di amico che ognuna di loro avrebbe voluto a dispetto della mia identità. Quindi?
Credo che come spesso accade ci si trovi a relazionarsi con delle persone ma ci si comporti e ci si aspetti da loro quello che meglio si adatta ai nostri desideri, perciò si sia in relazione davvero solo con quest'ultimi. Il rischio di essere in relazione coi nostri desideri “personificati” è quello di un brusco risveglio, forse, di un frastuono che non è affatto musica. L'infrangersi sordo dei nostri desideri con la dura realtà che l'altro non è in dovere di realizzarli tutti! O altrimenti possiamo con lo stesso sistema credere di andare d'amore e d'accordo con qualcuno che non ci ascolta e che non ascoltiamo in un dialogo che sembra perfetto solo a  volume spento.
Le mie intenzioni  erano di imparare da loro le mille cose in cui le vedevo eccellere e di essere per loro oggi silenzio, domani musica, dopodomani uno e il giorno seguente come mille, ma i miei desideri erano di vedere riconosciuto un valore che non avrei saputo darmi da solo, di essere coccolato con mille attenzioni, di sentirle dire con voce convinta e fiera ad un'altra persona: ti presento il mio amico più caro, davvero non so come avrei fatto in certi momenti senza di lui!
Per questo in parte siamo sempre colpevoli se una amicizia finisce, perché mai possiamo essere troppo certi che sia accaduto tra me e te piuttosto che tra me e ciò che volevo da te!

Tacchi e Rintocchi capitolo 11: segreti sublimi o oscuri?

I segreti sono parenti prossimi delle bugie che occorre raccontarsi e raccontare per mantenerli. A differenza delle cose personali, i segreti proprio per la necessità di nasconderli sono più ingombranti e quindi finiscono sempre per accumularsi e infine ostruire il naturale flusso di ogni rapporto emotivo tra chi li tiene e chi ne avverte la presenza.
Il mio Sagittario me lo fece capire chiaramente un giorno che l'amore fra noi inciampò nel cumulo che avevo creato,  dicendomi semplicemente: in questo letto c'è posto solo per noi due ma io sento che siamo in troppi!
Non mi ero reso conto che nonostante tutte le lotte le ribellioni e il coraggio che avevo dimostrato nella vita al solo scopo di potermi congiungere con un altro essere umano, mi ero fermato proprio ad un centimetro dal farlo fino in fondo!
Quella fu la notte più lunga e dolorosa del mio rapporto con lui, quella in cui dirgli tutto mi avrebbe privato di ogni rifugio, e avrebbe consentito a lui di scegliere se continuare o meno il rapporto con me. Non avevo fatto mistero della mia storia personale con lui, delle mie origini incerte, dell'orfanotrofio e dell'adozione come anche della sensazione che ad un certo punto la mia “nuova famiglia” cominciò a considerarmi come un “problema”, ma tutte queste cose erano facili da dire rispetto ad ammettere che quel disprezzo mi risuonava in testa proprio quando facevamo l'amore.
Mi sentii per la prima volta completamente nelle sue mani, nudo di una nudità molto più imbarazzante di quella fisica, e in quello stato di totale vulnerabilità lui divenne il mio “primo essere umano”. 
 Mi offrì un posto nuovo dove stare, in cui quella valigetta odiosa colma di dolore non poteva entrare e pur se questo somigliava al miglior lieto fine immaginabile, provai un senso di terrore all'idea di separarmi dal mio fardello. Ciò che mi proponeva non era di lasciarlo semplicemente fuori da noi, ma di accorgermi che ora che lo avevo aperto con lui, non avrei più avuto bisogno dell'involucro che lo conteneva. Una valigia vuota non ti serve a nulla una volta che ti senti a casa. Fine delle scuse.
Il percorso che avevamo davanti non prevedeva una accoglienza e una guarigione “a carico suo” anzi, mi avrebbe visto più responsabile di prima. I segreti che custodiamo sono difficili da lasciare proprio perché in fondo ci servono anche per scusarci, per considerare che l'altro debba sopportarci senza una spiegazione né tanto meno una precisa responsabilità personale da parte nostra.
Inoltre compresi che il contenuto del mio fardello non si era volatilizzato come un maleficio nelle favole, ma era stato inglobato dal suo amore, da una luce che ora potevo e dovevo riflettere per il nostro bene futuro, inoltre quel dolore che io conoscevo bene, ora lo provava anche lui. Tic tac...un altro meccanismo a tempo rischiava di rompere qualcosa tra noi...La sua scelta di tenere la bomba in mano mi permise conoscendola di disinnescarla in modo che rimanesse un inutile materiale di scarto nella nostra futura relazione.
Per un certo tempo quando hai dei segreti credi di essere l'unico ad averne, e speri che gli altri non se ne accorgano, lavori duramente perché non lo facciano e più tieni a quella persona più duro è il lavoro che fai per occultarli, fino a diventare come uno specchio senza la sua patina d'argento..incapace di riflettere qualunque luce. 
Mi chiedevo se anche le mie amiche le volte che i loro uomini le avevano messe di fronte a questa incapacità di farsi riflettenti, non avessero avuto con loro dei segreti. Ero certo che non avevano lesinato i dettagli della storia precedente a lui che le aveva segnate, ma non potevo essere altrettanto certo che si fossero spogliate tanto a fondo, perché i racconti che ci facevamo parlavano sempre di loro, degli uomini, e molto poco di loro. 
 Il bisogno di Secondo te di sentirsi la più amata, o l'ostinazione di Ahia nel farsi fragile come un vetro, o la durezza “militare” di Assolutamente nel vivere, quali segreti proteggevano?
Avevano anche loro avuto la possibilità di aprire il loro fardello? Ma soprattutto se l'avessero avuta l'avrebbero colta? O avrebbero piuttosto messo a “carico” dell'altro il proprio lato oscuro?

venerdì 2 agosto 2013

Tacchi e Rintocchi capitolo10: le bambine di carta

Cosa mi piaceva quando da piccolo (ma mica tanto) mia madre prendeva un foglio di carta e dopo averlo piegato in quattro ritagliava i contorni di una bambina col vestitino e le braccine tese! Il mio sorriso era pieno quando scoprivo che altre quattro bambine identiche tenevano per mano la prima!
Stavo un po li a guardarle tutte uguali tutte unite a tal punto che dopo poco mi sembravano diverse tra loro ma ciò che non cambiava mai era proprio il loro tenersi per mano.
Così credo che mi formai l'idea dell'amicizia. Si poteva sembrare uguali o forse uno di noi non lo era ma ci saremo sempre tenuti insieme. Il mio desiderio di essere in mezzo a quelle figure anche se io non avevo il vestitino, essendo maschio,  mi convinse dell'importanza di avere delle amiche. Forse mi spinse persino ad indossarlo o almeno a pensare come loro affinché non mi lasciassero.
Da piccolo prima che gli ormoni sconvolgano tutto, non avevo problemi a giocare con le bambine e a farmi accettare nei loro “circoli” sociali, ma crescendo  pur conservando  la stessa facilità di accesso, mi trovai in difficoltà maggiore a pensare come loro.
Sarebbe bastato che le regole dei loro giochi rimanessero chiare e palesi come quando eravamo bambini: fai un salto, fanne un altro, fai la riverenza dai un bacio a chi vuoi tu, ma crescendo le femmine cominciano a formarsi un panorama emotivo tanto vasto quanto segreto.
Le mie amiche infatti, avevano un comportamento reciproco assai curioso. Talvolta sembravano pensare all'unisono e poco dopo le sentivi negare esattamente quell'unisono se una di loro si staccava per un momento, oppure erano capaci di condividere interele regole così chi vendeva non era più chi comprava e il negozietto che si era messo su in un modo  veniva subito modificato mettendo in difficoltà quella che volevano far fuori dai giochi. La poverina dunque non poteva prendersela con nessuno: non erano loro a non volerla ma lei che non capiva come funzionava il negozio.
Compresi che le bambine si tengono per mano solo se sono di carta dal momento che non possono aprire le dita! vacanze al solo scopo di conoscere meglio i difetti dell'altra, intanto che la usavano per non restare da sole. 
Coi  maschi una partita di pallone era garantita solo se non eri un brocco altrimenti nessuno ti avrebbe preso in squadra, le femmine invece parevano più inclini a coinvolgere anche quella che non è bella o col vestito giusto solo che in mezzo al gioco cambiavano 
Per esempio Secondo Te, mi fu presentata da Ahia come sua amica una estate che io e il mio fidanzato accettammo di girare la macchina in direzione Francia, data l'insistenza di Ahia stessa a raggiungerla. Secondo Te aveva una casetta da quelle parti e quell'estate Ahia era andata con lei per le ferie. Cosa c'è di più bello di due amiche che passano insieme le vacanze in una deliziosa località francese? Cosa poteva mancargli per essere soddisfatte? Noi pensammo che era straordinario sentirsi supplicare di stare tutti insieme al suono di: ma cosa andate a fare in montagna da soli? E io trovai altrettanto straordinaria la generosità di quella sconosciuta che era disposta ad ospitarci in casa sua senza nemmeno conoscerci. L'idea di quattro figure che potevano tenersi per mano mi conquistò così velocemente che accettammo l'idea di macinare chilometri solo per realizzarla!
Fu una delle vacanze più simpatiche mai fatte e data la mia tendenza al “rosa” non feci caso alle sfumature del rapporto tra loro. Io e il mio fidanzato ci industriammo tra cucina mazzi di fiori e altre cose a ricambiare l'ospitalità e cominciai a provare una irrefrenabile simpatia per la padrona di casa. Quella donna era piena di energia, di solare allegria e pur essendo giustamente gelosa delle sue cose ci lasciò grandissimo agio. Le persone perbene esistevano!
Così sdraiati al sole ognuno nella sua sdraio attigua a quella dell'altro sembravamo davvero delle figurine di carta unite. Due maschietti e due femminucce.
Certo, la tendenza di Ahia a fare il meno possibile, non era difficile da riscontrare ma noi avevamo voglia di viziarle entrambe. Un giorno mi divertii persino a stirare i panni che avevano lavato, dal momento che ero abituato a farlo a casa mia dove però non dovevo lottare tra rouches e voillant! Diamine, com'è complesso stirare le cose da femmina, e fiero del mio lavoro misi un bocciolo di rosa sulla pila dei panni.  Seguirono diverse cene milanesi in cui il nostro sodalizio si consolidò.

A vederle da fuori avrei detto che erano perfette una per l'altra, in quanto la placidità di Ahia, compensava l'energia a volte instabile dell'altra. Una leggermente ipocondriaca l'altra refrattaria ai medici, una ordinatissima l'altra più casuale. 
Entrambe erano single, quando le conobbi e discutere di uomini in termini generali era assai spassoso. Ahia e il mio sagittario rinverdivano ricordi di gioventù che ascoltavo affascinato mentre tra la cucina e il terrazzo io e Secondo te decidevamo che avrebbe dovuto portare i capelli lunghi.
Esteticamente curate entrambe trasmettevano l'idea di donne indipendenti e centrate, riuscite professionalmente e appagate, ma nelle pieghe dei loro discorsi cominciai a notare degli accenti critici.
Nessuna di loro instaurò mai un vero pettegolezzo circa l'altra ma entrambe mi usavano per sfumare alcuni loro aspetti che non potevano contenere. Ahia dichiarava la possessività di Secondo te, e la sua inclinazione al comando,  e lei la mollezza di Ahia nel fare le cose e la sua inclinazione a lasciare che gli altri facessero cose per lei. Forse, fu per questo che la nostra presenza quell'estate fu così caldamente voluta: entrambe dovevano sopportare una convivenza che rischiava di essere difficile senza qualche “distrazione”.
Non si trattò di malafede né di opportunismo che nel caso sarebbe stato più facile imputare a noi dal momento che noi eravamo “ospiti”. Si trattò invece di uno di quei momenti in cui le femmine cambiano le “regole del loro gioco” in corso d'opera. 
Dovevano aver scoperto che la mistura dei loro caratteri risultava potenzialmente esplosiva sotto lo stesso tetto e quindi Ahia che era di gran lunga più furba dovette pensare che l'amico Sagittario e il suo nuovo fidanzato sarebbero stati perfetti come disinnesco  . E secondo te che trovava la routine di Ahia alquanto noiosa accettò di buon grado la proposta nella speranza che portassimo un po' di movimento. Ognuno ebbe il suo tornaconto e in questo non ci fu niente di male, addirittura si poteva pensare che fosse stata una operazione “perfetta”.
 Ecco che dunque l'immagine di due amiche felici in vacanza non sembrava più tanto autentica, così come fu chiaro il perché non fossero soddisfatte! Le due bamboline di carta avevano capito che il rischio che le loro mani si strappassero proprio quell'estate avrebbe rovinato un momento troppo prezioso per entrambe dopo un anno di lavoro!
Il guaio delle perfezioni è sempre quello di essere “provvisorie”, infatti mano a mano che l'amicizia tra noi si approfondiva aumentava anche la distanza tra loro. Ahia come nel suo stile non disse mai a Secondo te ciò che di lei  la faceva sentire pressata, quindi cominciò col scansare qualche appuntamento e Secondo te che la credeva sorda alzò il volume della voce. L'estate era finita e i loro corpi abbronzati erano pronti per un uomo che quell'estate senza uomini veri, aveva reso loro  quantomai necessario.
Le mie bambine di carta si ritrovarono di nuovo unite per mano, ma la carta si sa è alquanto poco elastica e d'inverno se si bagna di lacrime finisce col rompersi.
Io le invitai più volte a chiarirsi mano a mano che Ahia si defilava dal loro rapporto e Secondo te cominciava a soffrire per l'abbandono apparentemente immotivato, ma ragionavo da maschio e non mi rendevo conto che il confronto a viso aperto funziona solo in una partita di pallone dove se ricevi un fallo ti puoi scagliare contro chi te lo ha fatto, invocare la giustizia di un arbitro.. e poi riprendere il gioco con le stesse regole. Le femmine invece, giocano le loro partite a carte senza un arbitro, senza regole precise e quindi se la loro mano non è vincente alcune “passano” altre bluffano e perdono!
Qualcosa tra loro si sarebbe rotto, esattamente come tra me e Ahia quando feci l'errore di dirle esattamente ciò che pensavo del suo insopportabile fidanzato. La mia mano alle carte era perdente e io in più la giocavo su un campo di pallone in cui lei non era mai scesa. 
Nella convinzione che la sincerità fosse un requisito fondamentale e che una volta espresso pur se questo faccia un po' male induca a migliorare la “partita”, non considerai che le priorità delle femmine sono sempre al di sopra di ogni regola e spesso condizionano il loro giudizio a seconda che vedano minacciata l'immagine  di se che si sono costruite in segreto.