martedì 9 luglio 2013

Tacchi e Rintocchi capitolo 3: un uomo per tutte le stagioni

 Non avevo mai capito il detto: un uomo per tutte le stagioni. Quale qualità si intendeva sottolineare dicendolo? La capacità di adattarsi,o il profilo basso senza lode ne infamia?
Forse anche la capacità di essere sempre adeguato. Di certo, io non ero un uomo per la mezza stagione! Tutto ciò che è mezzo mi irrita da morire, ma neanche lo ero per ogni stagione come se una fosse uguale all'altra. 
Le mie stagioni, intanto pesavano come macigni sulle spalle. Vuoi perché cominciavano a sommarsi numericamente, vuoi perché ogni volta che la sera facevo tardi, ne pagavo il conto al risveglio. Niente correttori né trucchi cosmetici per affrontare lo sguardo vigile della portinaia che ormai aveva il grafico completo delle mie uscite settimanali, e per la quale un esile paio di occhiali da sole non erano sufficienti a celarsi. 
“ Seratona ieri eh?” era solita dirmi con il tono di una mamma che nessuno le aveva chiesto di essere, mentre mi porgeva la posta.
La corrispondenza era sempre stata per lui una sorta di minaccia. Non tanto per le lettere che gli spediva sua madre, quanto per il fatto che nella loro solennità bollette, notifiche e simili lo riportavano bruscamente a una quadratura dalla quale  lui cercava di svincolarsi. La sua amica bionda aveva creato un simpatico muretto di buste mai aperte in una mensola del salotto ammettendo che aveva paura di aprirle. E così aveva fatto anche lui.
La nostra stagione preferita era la primavera, quando i locali cominciavano a mettere fuori tavolini e sedie, e i gelsomini  profumavano i piani nobili dei palazzi di Milano. In quella stagione le mie amiche si davano a due attività fondamentali per trovare l'uomo per ogni stagione: depilazione compulsiva e shopping altrettanto nevrotico, ma di rado un uomo di primavera apriva con noi il panettone.
Cosa c'era nell'inverno che ci rendeva così inclini alla riservatezza?
Tanto per cominciare il freddo che è un nemico giurato del sex appeal, e che ci vedeva tutti infagottati come delle anziane febbricitanti. I cocktail alcolici lasciavano il posto ad adeguate tisane e a serate a base di serie tv che non vorresti mai condividere con un uomo che non sia gay. I bugiardini dei medicinali sostituivano sui tavolini le brochure delle vacanze e si parlava tra noi un po più sinceramente. Decisamente un uomo per tutte le stagioni le mie amiche non lo volevano davvero, a meno che non fossi io.
Per me invece, valeva il contrario.  Io desideravo di più stare in coppia d'inverno, perché il calore del corpo di un uomo mi rendeva il buio e il freddo meno ostile e inoltre, visto che eravamo due uomini nessuna ceretta obbligata per noi.
Le mie amiche erano davvero diverse tra loro esteticamente e caratterialmente ma condividevano tutte un “qualcosa”. Esattamente quel qualcosa che si era rotto con una di loro! Il meccanismo che le animava e che era delicato come un orologio e  le vedeva ticchettare all'unisono, come ticchettavano i loro tacchi sul pavimento.
Anche se l'orologio di una si tarava sul figlio mai voluto prima dei quaranta, e quello delle altre su un fidanzato vero col quale avere una relazione che le bilanciasse dai fallimenti, tutte loro ritmavano vita e stagioni con lo stesso senso di urgenza. Tic tac tic tac...
Il mio orologio invece assolutamente incapace di precisione falsava  il tempo quando ero in coppia e lo rendeva inutile quando non lo ero. Di urgente io avevo avuto  solo la sopravvivenza e i patti che dovevo fare col fatto di non sentirmi per niente eccezionale. Questa per un periodo era stata una vera ossessione per me. Ma cos'è una ossessione, se non una degenerazione di una routine? Desideravo così tanto trovare il mio “talento”, da non riconoscermene mezzo e il bisogno di trovare quella cosa in cui sarei stato il più bravo, in cui avrei eccelso e che mi avrebbe permesso di svoltare da quella vita un po stentata che per altro somigliava alla vita di milioni di persone normali  e che mi infastidiva, rendeva le mie giornate piene e vuote al tempo stesso. Ma soprattutto le aveva rese tutte uguali dando a certi gesti, persone  e luoghi un senso quasi vitale.
Essere però il “loro” amico, quello si che mi inorgogliva. 
Ero io il loro uomo per ogni stagione, quello al quale non temi di mostrarti quando sei tutto tranne che glamour, quello al quale non devi spiegare le tue fissazioni, quello che porti con te dal medico se hai paura, quello che può farti esplodere una bottiglia di coca cola in casa proprio il giorno dopo che la donna delle pulizie era passata, quello con cui ti rammarichi di non farci sesso. 
Ma anche quello che pur sapendo quando menti a te stessa, ti lascia il tempo di accorgertene da sola, ma se lo fai troppo a lungo, ti ricorda che qualunque bugia ripetuta nel tempo diventa verità solo in apparenza,  Mi chiedevo spesso se quest'ultima parte del mio essergli amico , una volta espressa, avrebbe trovato lo stesso favore che aveva la condiscendenza  alle loro “necessarie finzioni”..
Tic tac tic tac...e le stagioni passano come gli uomini che si incontrano e si lasciano o dai quali venivamo lasciati, con lo stesso senso di urgenza che ci auguravamo avrebbero placato. Così la fiducia e il tempo per realizzare ognuno la sua chimera diminuiva come gli estrogeni in tarda età.
Ogni tanto ci rendevamo conto che  un uomo o  un figlio in un rapporto tanto coeso non poteva starci? Non saprei, ma di certo una delle due forze avrebbe dovuto distruggere l'altra per prevalere, oppure avrebbe dovuto modificarsi lasciando spazio alla vita e ai rischi che questa comporta, sperando di trovarci a quel punto ancora insieme. 

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