mercoledì 9 gennaio 2013

Quarant'anni nell'Armadio di mamma: gli anni Novanta parte prima


Dopo che le mani di tutti si erano ben infilate nella pasta degli anni ottanta, cominciò a crescere una strana  voglia di “averle pulite”. Non era la prima volta che qualche potente volesse lavarsele, ma fu di certo la prima in cui  il Pilato della situazione usò la magistratura invece della solita acqua.
Si aprì quella che venne definita seconda repubblica seppure la carta costituzionale rimase inalterata.
Anche la vita con la Maria Luisa rimase pressoché inalterata, solo che lei non si era accontentata di lavarsene le mani, ma anzi, credeva di aver fatto tutto il bagno. E ancora una volta poteva sentirsi “a posto”. Il matrimonio di mio fratello la vide indossare non so con quale ardire la mantella bianca di lapin a noleggio  della moglie di mio fratello, e fu immortalata con un sorriso ebete al fianco di mio padre che indossava una smorfia di stanchezza, dovuta al tumore che già inconsapevolmente si era fatto strada in lui.
Io alla vista di questa pagliacciata finsi una intossicazione dovuta al pesce scadente del banchetto e mi feci portare a casa dal vicino dei miei. Nel tragitto ebbi un barlume di saggezza chiedendomi se veramente quello spettacolo decadente, avrebbe mai potuto fare per me. Lasciai al banchetto anche una fidanzata che seppure devo riconoscere non aveva molto a che fare con quel contesto, di certo ne aveva poco anche con me.
Gli anni Novanta videro la morte di papà e la sua candida frase : non credevo di avere una famiglia che mi volesse bene. Parole semplici ed eterne che  avrebbero scavato in noi, più a fondo della sua stessa scomparsa. Morì in casa una mattina, mentre io lavoravo,  il  tre di un agosto torrido del 1993. Il ventiquattro fui io a sposarmi e a ricredermi sulla decadenza del matrimonio di mio fratello, che per quanto sinistro non poté mai eguagliare la tragicità del mio. La Maria Luisa si fece immortalare in un'altra istantanea che ne coglieva tutta l'assenza di senso. Cinquantotto giorni dopo, mi svegliai da un sonno denso durato qualche anno, e compresi che se Arafat e Rabin potevano avere il premio Nobel, forse anche io meritavo qualche cosa in più. E così mi separai.
Fece il botto questo divorzio, il primo in famiglia( nel ramo materno almeno), e rese evidente la saggezza di un'altra frase che mio padre disse a mia madre prima di morire, e che mi fu riferita da terzi molti anni dopo: digli che “non fa per lui”. Finì anche la mia convinzione religiosa, e dopo essere stato espulso come “fornicatore”, esplorai meglio il significato di quella parola.
Altre parole assunsero un nuovo significato, parole come autonomia, amore, e famiglia.

In quegli anni le top model cominciarono ad affermarsi distinguendosi dalle semplici modelle per una autentica immagine da superstar! Claudia Schiffer, Kate Moss e Naomi Cambell riconfigurarono il concetto di donna, aumentando  di molto il disagio delle donne comuni, e invece aumentando moltissimo la fantasia del mondo gay.In particolare, mi resi conto nel vederle camminare, che il nostro corpo non era solo un involucro ma  un potente mezzo di comunicazione. Fino ad allora, il mio, era stato oggetto di preoccupazione, di rimedi, di condanna, di desideri inconfessabili, di fastidio ma mai di piacere, tranne occasioni segrete delle quali mi vergognavo. Cominciai quindi a smettere di esservi contenuto e cercai di amplificare la sensazione di piacere che provavo guardandomi “verso gli altri”. Non era qualcosa che volevo sfacciatamente offrire a chiunque, ma piuttosto, un valore che non temeva più  di affermarsi e come tale di avere un nuovo significato! Io esisto!
Serie televisive come Friends si affacciarono alla televisione, e parlando di come alcuni ragazzi potevano vivere amicizia amori e un senso di famiglia meno tradizionale, sebbene mai quanto quello che scoprii con Claudio.

Con lui affrontai il buio di quegli anni un po' scombinati, e scoprii che essere un “senzafamiglia”, mi avrebbe permesso di trovarne una che “facesse per me”. Pur avendo più di settant'anni, i suoi genitori adottivi( che combinazione), si dimostrarono più amorevoli con me di quanto mai avrei potuto sperare, e porto nel cuore ancora oggi i loro nomi: Maria, Giacomo, e la zia Tina e suo fratello Giuseppe, i quali vivevano tutti insieme in un già moderno concetto di famiglia allargata.
Memorabile protagonista indiscussa dei miei anni Novanta fu anche  una signora incontrata per caso, che pur avendo lo stesso nome di mia madre, aveva un modo di essere madre davvero speciale. Mi accolse come un figlio per molti anni e con lei scoprii il dialogo che ogni figlio dovrebbe poter avere con sua madre. Non che vissi a casa sua, era già più che affollata dai suoi figli e dal marito, ma ogni giorno passavo da lei, e nel suo giardino con u bel caffè di cui ricordo ancora l'odore, mi confessò il motivo del suo affetto per me. La prima volta che mi vide, i miei occhi le scossero il cuore riportandole alla mente gli occhi di un suo grande amore, e così senza ragionarci sopra, rispose nell'unico modo che le veniva naturale. Mi volle bene, e ne volle anche a Claudio, come avrebbe fatto una madre.
Ebbi anche io le mie “Tre Marie”, ma soprattutto ebbi nel mondo tanto spaventoso che mi era stato descritto, più umanità che nel “paradiso perduto” da cui ero stato cacciato.


Verso l'inverno del 1995 circa io e Claudio, lasciammo quella città e ci trasferimmo a Milano, la Sodoma del nord (per la Maria Luisa), città che io non avrei più lasciato, a differenza del caro Claudio, che temo di aver amato più per la sua capacità di fare ciò che voleva, che per un vero amore. A lui, però devo la liberazione del mio corpo, e quella coscienza del piacere che non avevo mai avuto prima. Con lui scoprii che due uomini possono perdersi davvero l'uno nell'altro senza vergognarsi!

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