martedì 26 novembre 2013

Guardami.

Ho le braccia incrociate sulla scrivania e il broncio fisso sulla faccia. Sono un bambino e penso: se non faccio nemmeno un piccolo rumore, la mamma che di là in cucina mi sente, si preoccuperà!  Magari, aprirà la porta della stanzetta e metterà la parola fine al mio castigo con un abbraccio che profuma di lei, di  latte caldo coi biscotti.
L'ho fatta arrabbiare perché certe volte mi sembra che non mi veda, che si limiti a tirarmi dietro a sé ma che, se non ci fossi, sarebbe più contenta. Per questo mi sono nascosto dietro l'angolo del palazzo che ci lasciavamo alle spalle. “Sei grande per tenermi ancora la mano” dice, forse, se girandosi non mi vede più cambia idea!
L'idea l'ha cambiata, ma la mano mi è arrivata sulla guancia e non era per niente morbida come piace a me. Non è giusto, ora che finalmente mi tiene per mano, mi brucia la faccia e devo aver sbagliato di nuovo, perché non sono contento come immaginavo! Abbiamo incontrato un'altra mamma che si è accorta che la nostra passeggiata è un disastro, ma sembra che le dispiaccia più per la mamma che per la mia guancia arrossata! “Hai fatto il monello”? -chiede, e a me non va di rispondere, mica glielo posso dire che non capisce niente, ho una mano in quella di mamma e una sulla guancia. Se mi arriva un'altra sberla non ho più mani libere.
Gli adulti si capiscono tra loro solo se hanno bambini, sembra quasi che per loro siamo tutti una faticaccia: non ubbidiamo, non rispondiamo, non ci curiamo di non sporcarci, insomma siamo “non”. Un giorno le ho chiesto se quando sono nato era felice, ma mi ha detto solo: certo, tutte le mamme lo sono. Ma allora, perché se si incontrano per strada non sembrano felici, anzi? Io ad esempio, per aiutarla porto anche il sacchetto del pane, anche se non mi compra quelle belle frittelle con lo zucchero, perché dice che mi fanno male. Il panettiere forse odia i bambini, e la mamma che lo sa non gli permette di avvelenarmi, però sono così belle quelle frittelle, diavolo di un panettiere! Un giorno o l'altro glielo dico davanti a tutti che la mamma ha scoperto il suo tranello!
Ci sono giorni però in cui la mamma è contenta di avermi tra i piedi, tipo quando andiamo dalla nonna o dagli zii. Io mi diverto a giocare con la scatola di latta dove la nonna tiene i bottoni ma non gli aghi, perché se ci metti dentro il naso, si sente ancora l'odore di biscotti! Poi sul più bello, proprio quando abbiamo deciso a cosa giocare con i miei cugini, dice: andiamo! 
La nonna o gli zii insistono perché restiamo, ma lei dice che sono stanco anche se non so di esserlo. Per me la zia non le piace e dopo un po' non sa più di cosa parlare, proprio come con la nonna, con la quale però litiga volentieri. “Come sei noiosa Maria” le dice la nonna e lei replica: “Tientelo tu tutto il giorno”. Papà non vuole che va a lavorare e papà ha sempre ragione!
Per questo ora me ne sto zitto zitto nella stanzetta, così capisce che non do tanto fastidio, che può dimenticarsi che ci sono. Il brutto è, che quel gioco non mi piace, perché la mamma è più brava di me a giocarci dall'altra parte del muro, e ogni volta mi fa venire paura che non c'è più per prima! Allora esco in punta dei piedi e raggiungo la cucina ma appena mi vede  mi urla che mica è finito il castigo! Uffa. 
 Prendo i pupazzi, me li metto davanti, e ci parlo io piano piano nella mia testa, perché tanto lo so che non parlano neanche loro per primi. In questa casa non è che parliamo tanto ma se lo facciamo lo facciamo a voce alta come fanno la mamma e il papà prima di di dirmi: non urlare! 
Anche al telefono che è nel corridoio si parla piano e la mamma mette una sedia vicino alla porta della cucina, passa la cornetta dentro fino che il filo si allunga poi socchiude la porta e parla con la sua amica, non con me. Dice che lo fa perché, ci sono giorni che papà va di notte a lavorare e dorme di pomeriggio e non dobbiamo disturbarlo. In quei pomeriggi, sto con lei in cucina e delle volte fa una torta così dice che “risparmia”. Non ho capito bene cosa sono i soldi ma so che per colpa mia ne abbiamo pochi. Le mie scarpe, la scuola, e poi c'è il dottore,perché ho la tosse, e quello la torta non la vuole. Sa di bruciato ma io non gliel'ho detto.
Io pensavo che i bambini arrivassero per farli felici, ma mica ci dicono come si fa? Adesso gli faccio un disegno, con la matita così non si consumano i pastelli della scuola: la mamma la faccio piccola e io mi faccio grande, così mi vede per forza ! Lo lascio sulla scrivania al posto del broncio.” A tavola” urla mamma. Posso uscire. Mamma guarda!- dico. Lei è girata e mi dice “ dopo, che si fredda”. Mia mamma di schiena è bellissima.

venerdì 22 novembre 2013

Pettini e parole...

Non è arrivata la telefonata che aspettavo, anche se in cuor mio sapevo che aspettarla non era buon segno. Eppure mi sono impegnato, ho cercato di essere all'altezza di ciò che quella donna mi chiedeva prima di pettinarla, dicendomi: me li faccia bene. So di non averla sottovalutata perché anziana, non lo faccio mai perché, so che lo fanno tutti quando sei vecchia. Nel suo viso piegato dal tempo due piccoli occhi celesti brillavano come diamanti, segno di uno spirito che il tempo non poteva piegare..Alla fine l'ho salutata e da una settimana speravo di rivederla. Cosa ho sbagliato? Non saprei, credevo che il non aver voluto  mettere il cappello fosse un successo, anzi ne sono certo, eppure.. Succede quando sono deluso che una parola mi si fissi nella mente e nel silenzio dell'attesa decido di andare a scoprire che messaggio ha per me.
Come riportato da Wikipedia, la parola “idosincrasia” significa una peculiarità di temperamento dell'individuo, senza per forza evidenziarne negativamente le avversioni e repulsioni. Oggi più sinonimo di antipatia.
In altre parole, una inclinazione soggettiva a determinati caratteri, una sorta di “sensibilità” direi.
Un'altra peculiarità della “sensibilità” alle cose o alle persone è quella di non essere applicata in larga scala ma di attivarsi di fronte a “eccezioni”.
. Per esempio l'arroganza di una persona suscita l'antipatia di tutte coloro che sono educate e cortesi, in quanto costituisce una eccezione alla regola della “buona educazione.
Questo accadeva una volta, quando il buongiorno, il mi scusi, il permesso, il grazie erano requisiti fondamentali e distintivi di una buona società, ma i tempi cambiano e da quando il numero di persone al mondo è cresciuto esponenzialmente qualcuno deve aver pensato che le abitudini cortesi fossero una sorta di convenevole inutile. Certamente se prima incontravi una persona ogni cinquanta metri ed era un piacere “riconoscersi” oggi con cinquanta persone in un metro non può dirsi proprio un piacere fare una passeggiata! 
A peggiorare la situazione è intervenuta la naturale modificazione del linguaggio sociale che con internet e telefonia mobile ha costretto tutti noi a “stringare” il vocabolario, te lo immagini un sms tipo: buongiorno, se gentilmente volessi spiegarmi le cause del tuo ritardo, io mi inquieterei notevolmente meno...rispetto ad un più stringato e moderno “dove caxxo 6?
Non nego che una certa efficacia sia evidente nel linguaggio volgare e abbreviato( che niente ha a che fare col vulgo latino), così come trovo sprecato dire a chi mi scontra in metropolitana: buon cielo, ma  di grazia non può chiedere il passo se ne ha tale impellenza, però come in tutti i cambiamenti è l'ora di ammettere che ci siamo fatti prendere la mano! E che a eccedere in questo siano state coloro che il cambiamento lo anticipano: le donne. 
La cosa che trovo assai interessante è che nelle idiosincrasie femminili moderne ormai tutte declinate al “negativo” oltre a massificare per l'appunto si trovano anche una serie di bisogni, che non si può più manifestare di avere senza dimostrare “intolleranza” a ciò che di fatto li soddisferebbe facilmente: quindi se si ha bisogno di un uomo o di una donna non basta più trovarlo ma è necessario che accada mentre “stiamo bene da soli”, oppure non basta più una buona tintura ma ce ne vuole una che per un qualche motivo colori i capelli senza ammoniaca senza coloranti e senza che dobbiamo ammettere di averli bianchi. 
Infatti, abbiamo uomini e donne che si incontrano al solo scopo di lasciarsi e tinture orrende al solo scopo di non farle fare al parrucchiere, ma è così che ci sentiamo liberi dalla schiavitù della ricrescita e dell'amore.  Quale genere di atteggiamento può essere più idiota di quello che rende fisso  un comportamento destinato all'eccezione ? 
Allora  se gli uomini sono “tutti uguali”,  le donne che non farebbero eccezione alla stessa regola potrebbero prenderne uno a caso no? E invece quell'uno deve essere “speciale” ma come la tintura fai da te non deve richiedere da parte nostra la competenza necessaria,  non deve prudere non deve contenere questo o quello, ma deve poi essere brillante duraturo e facilmente reperibile.
Lo stesso vale per le amicizie le quali diventano irritanti e idiosincratiche proprio quando svolgono il loro compito cioè quello di diventarci intimi.
Si potrebbe dire che dato la quantità di persone che siamo  e l'angustia dello spazio in cui ci siamo concentrati non ci  possa più permettere atteggiamenti peculiari, eccezioni, per cui il nostro prossimo è diventato “la gente”, la quale però se la senti parlare si definisce “molto selettiva” ed esprime questa sua capacità con un semplice “mi piace” o “non mi piace più”, che come criterio selettivo a me appare un po' scarno, e che tra l'altro è tra le donne sempre soggetto a “opportunità”!
Negli anni passati in cui ho fatto il mio mestiere, non eravamo mica tanto pochi al mondo, eppure ricordo con immenso piacere e tanta nostalgia come le donne vivevano quel tempo nel negozio come un regalo a se stesse e di come ci pregavano di renderle migliori. Niente ore a discutere i contenuti dei tubi di colore ne men che meno ad ammonirci su “come” farlo o a farsi trattare come Cappelle Sistine da restaurare col fiato sospeso! Niente discorsi basati sugli uomini che avevano o che dovessero trovarsi, e se una possedeva un cellulare si scusava per il disturbo di una eventuale chiamata che veniva opportunamente rimandata per rispetto a se stesse e a noi. Semplicemente negli affanni delle loro vite che tra l'altro erano stressanti quanto oggi, noi eravamo la loro boccata d'aria e lasciarle senza fiato una volta finito era una gran soddisfazione reciproca, che creava fiducia e una continuità stimolante. Oggi invece le stesse donne l'aria ce la tolgono dai polmoni, ci costringono a trattarle come se fossero le uniche superstiti della loro specie e a stupirle con “effetti speciali” che però non siano quelli che sappiamo usare. Il tutto mentre a voce ben alta parlano di affari loro o di lavoro come se stessero per dettare la procedura di atterraggio dell Air Force One in mare! Allergiche, intolleranti, idiosincratiche e peculiari a tutto ciò che non sia sotto il loro controllo ci costringono a produrre risultati che siano sempre imperfetti in modo da non essere mai completamente soddisfatte ma di certo padrone anche di quello, esattamente come fanno con gli uomini, di cui hanno più che mai, bisogno e paura.
Le relazioni e il parrucchiere cosa hanno in comune da essere diventati tanto difficili?
Entrambi hanno a che fare con la persona, entrambi necessitano di fiducia e disponibilità per dare il meglio di sé, entrambe hanno bisogno di “un altro”a cui permettere di cambiarci. E ultimo ma non meno importante le maggiori fruitrici di entrambi sono donne.  Donne che proprio per l'incapacità di fare eccezione generano desiderio e repulsione in una miscela mortale per loro,  donne che volevano cambiare il mondo e che lo hanno fatto. Donne a cui chiedo: cosa ci avete guadagnato? Davvero così vi sentite “speciali?
Eppure sono ancora molte le donne che crescono figli e che amano quietamente lo stesso uomo(anch'egli come tutti gli altri, ma loro) ma queste prese come sono dalle responsabilità che si sono assunte per “qualcun altro” non hanno tempo di guardarsi con la lente d'ingrandimento con cui la maggior parte delle donne separate ed economicamente indipendenti fanno, anzi sperano talvolta che nessuno faccia caso alle loro ricrescite che per necessità e non perché fa “indipendente” devono sopportare. Sapevate che l'incidenza di allergie tra le mie clienti è molto più prossima allo zero tra le casalinghe che non tra le donne in carriera? Per loro una giornata dal parrucchiere è un regalo e chissà come mai difficilmente non si piacciono!
Mi chiedo se pur non potendo mangiare bio, non facendo trattamenti e vacanze queste donne non siano davvero più forti perché maggiormente dedite a chi amano, lasciando quindi al proprio corpo il compito di proteggersi da solo tramite la propria istintiva intelligenza biologica, e al parrucchiere il suo lavoro.
Altresì ci sono donne emancipate bellissime e autonome che pur non incarnando ideali domestici hanno saputo rinnovarsi  magari proprio in seguito a dolorose separazioni che dedicando le proprie energie a business ecologici a progetti ambientali che hanno la Terra come soggetto.. che hanno non solo evitato di considerarsi come “centro” di tutto ma anche sono venute a contatto con altre persone diverse dalle quali hanno assorbito l'eccezione positiva. Alcune di queste hanno smesso di pettinarsi ma sono felici e non danno la colpa al parrucchiere!
Certamente l'individuo donna ha avuto un ruolo di una tale importanza nella storia che nemmeno credo abbia compreso tuttora quanto. Di certo ha sofferto come tutti, di certo ha anticipato i cambiamenti e li ha diffusi meglio di qualunque rete informatica, ma altrettanto certamente è oggi co-responsabile del eccesso di “peculiarità negativa, di macro esaltazione di mediocrità, di diffusione di comportamenti volgari e infantili che unitamente agli uomini non fanno onore alla nostra specie.
Quando e come questo stato di cose finirà o si trasformerà non so, ma credo di poter dire di aver fatto a tempo a conoscere donne che mi hanno insegnato quanto una tazza di ceramica mi rendesse migliore,rispetto a un bicchierino di carta, quanto un uomo è solo un uomo e non è mai paragonabile ad un buon libro, che dopo i trenta testa e mani sono il tempio di una donna perbene, che non si dimostra con la sciatteria ne con l'arroganza, ne con la diffidenza di essere più forti o di avere una ideologia migliore esattamente quanto non si può improvvisare la classe con un vestito firmato.
Di queste donne, alcune anche terribili, ma indomite, potenti, sessualmente appagate, (senza che nessuno dovesse per forza saperlo), e profondamente libere ed oneste  intellettualmente che ho pettinato, io mi beo tra me e me ogni volta che guardo le poltrone vuote  del mio negozio...o quella persona che mi sembrava contenta non torna e sono tentato di farmene una qualche colpa. 

martedì 19 novembre 2013

Accendini bagnati

Le foglie stanno perdendo l'intensità del loro colore smeraldino, la terra si prepara ai rigori dell'inverno e dalla finestra la luce diventa più fioca, e la fiamma dell'accendino sembra quasi riscaldarci. Il rosso e il giallo sfumeranno le colline e io sto descrivendo una stagione come in un romanzo di Liala. Radiostan, oggi si tinge di “rosa”. L'autunno e l'inverno sono da sempre le stagioni in cui i film d'amore si impossessano delle serate e le eroine romantiche, siano esse di carta stampata o in blue ray, risorgono per ricordarci che nonostante ci siamo sentiti inclini all'avventura estiva, alla scappatella, o alle divagazioni in genere è ancora lui l'imperativo presente dei nostri bisogni: l'amore. Questo sentimento è stagionale? 
Prima di tutto chiarisco che d'amore non ne so niente. A tutt'oggi sono indeciso se sia un bacio a labbra salate o qualcosa che più ce n'è meglio è, ma quello di cui sono certo è che d'estate l'idea che ci si fa di lui è quella di un gelato: un peccato di “gola”, mentre d'inverno sembra diventare più come la dispensa della formica per la cicala: una questione di sopravvivenza. Peccato che il grande amore dicono che sia uno soltanto e diventa difficile dividerlo in due versioni! Se fosse come quelle giacche alle quali puoi togliere l'imbottitura sarebbe perfetto per ogni stagione e non richiederebbe il “cambio”, ma uno mica può dire al suo compagno/a di stargli vicino d'inverno e d'estate che tiene troppo caldo! Quindi? 
Quindi per questo, d'inverno ci si abbuffa di film d'amore e d'estate di gelato! Perché gli uomini e le donne sono come i materassi da esposizione: ti ci siedi sopra  senza sapere da che “lato sono”  e ammesso che li trovi comodi, una volta comprati ti spacchi la schiena a rigirarli i primi anni, lato invernale, lato estivo, finché finisci per dormire sempre su un solo lato per risparmiare fatica! In tempi inquieti come questi, anche l'amore dovrebbe essere “on demand” così potremo chiederlo un po' come ci serve e se ci imbattessimo in una pellicola degna di nota potremo “registrarlo” e riguardarcelo con calma l'inverno seguente! Una cosa interessante è che l'amore estivo descritto dai film e dai romanzi rosa sembra fugace sensuale e finalizzato al piacere, mentre quello d'inverno, più intimo familiare e riproduttivo. Io non ce l'avrei vista Bo Derek fare la parmigiana d'inverno dopo un Bolero Extasy ad Agosto, come d'altra parte non saprei immaginare Doris Day in versione  Bagnina di Bay Watch e voi?
Assodato che l'amore ha tante facce ma che tutti sogniamo un solo ti amo e uno solo a malapena siamo in grado di pronunciare nella vita,  non si sa proprio dove sbattere la testa. A complicare le cose c'è poi il fatto che anche l'estate della vita passa in fretta e un ti amo detto in gioventù, può non reggere gli inverni del tempo o se il ti amo arriva con l'età potrebbe basarsi solo  sul concetto di reversibilità della nostra pensione.
 Era più semplice quando eravamo bambini e l'amore era una tazza di latte caldo piena di biscotti, il cartone animato preferito e la compagna di classe con cui ci si fidanzava dandosi la mano, invece, alla soglia dei quaranta, quando se le nostre foglie sono ancora verdi è perché sono finte, il prosecco prende il posto della tazza di latte e la cellulite o la pancetta fanno di "noi" un buffo cartone animato e con estrema facilità, la nostra compagna o il nostro compagno, col tempo ci fa cadere le ...foglie. 
Ho detto che Radiostan oggi si tingeva di rosa ma forse, il giallo e il marrone sono più adatti. Il giallo perché l'amore è un mistero intricato in cui il “colpevole” non è il maggiordomo (più facile che lo sia il personal trainer) e marrone, poiché ci si può “seccare” aspettandolo, tanto quanto vivendolo a lungo. Non esiste amore che sia lo stesso tutto l'anno, che pur bruciante che sia al principio, non formi poi una tiepida brace con le ceneri di entrambi. Sembrerebbe dunque che l'amore sia solo una scintilla, e che un accendino all'anulare sia più concreto di una fede nuziale..
Perciò Anna Karenina si butta sotto il treno, Bette Davis diventa psicopatica, e la Monroe ci dice che è meglio “quando la moglie è in vacanza”, perché  qualunque sia il modo in cui lo vivremo o ci verrà negato, sarà sempre lui ciò che ci farà sentire vivi. Per lui piangeremo sul divano guardandolo sui volti dei suoi interpreti del cinema, o faremo una smorfia se, sullo stesso divano, l'amore che avevamo sognato di vivere giace addormentato e rumoroso.
Vigorosi come foglie verdi animate dalla linfa o fragili e secche come gialle fronde  spostate dal vento, ci si ritrova tutti inquieti a guardare dalla finestra chiedendosi:  se l'amore è una scintilla, perché il mio accendino non funziona?

mercoledì 23 ottobre 2013

Fottuti romantici


Oggi la finestra
è rigata dalla pioggia. Non so quando ho cominciato ma credo che fosse uno di quei giorni d'inverno, dove sembra che il mondo che hai intorno non reggerà ancora un solo goccio d'acqua in più.. Guardo il vetro e le gocce che, secondo un misterioso percorso segreto, colano le une nelle altre diventando talmente  pesanti da cadere di colpo verso il basso. Ogni volta  cerco di indovinare quale cadrà per prima, ma sbaglio sempre..
Le nostre vite sembrano non fare eccezione alla regola, si sommano le une con le altre secondo percorsi che chiamiamo destini e talvolta anch'esse colano a picco, esplodono silenti, o corrono parallele senza mai fondersi tra loro.
In un mondo fatto di rumori assordanti il silenzio cosa suscita?  C'è chi lo teme o chi se lo cerca, ma in entrambi i casi quello spazio non è vuoto di suoni: ha rumori di voci, le nostre o contiene musica per non sentirle, oppure contiene la nostra voce interiore. Ci attira e ci spaventa al tempo stesso.
Potrebbe ricordarci la vita neonatale ma più verosimilmente il silenzio è una metafora della morte nel mondo occidentale, mentre in Oriente, lo si concepisce  come positivo, uno spazio per ritrovare il proprio centro, ma sia che si faccia una meditazione ascetica o una preghiera, o un sogno, il silenzio come vuoto, ha una sola connotazione. L'ignoto dal quale veniamo e quello al quale siamo destinati. Una porta d'entrata o d'uscita non si sa. Ricordi.
Certe volte, però, quando ero sfinito dalla confusione o da un dolore, sprofondavo volentieri in ... quell'ignoto nero e incosciente e mi sembrava appena prima di cadere di non avere più peso sufficiente  per precipitarvi. Come la goccia, sembro reggere ancora, seppur gravato sulla mia superficie ma, in realtà è proprio quello il momento in cui,  come lei, cado.  L'osservare quelle gocce di pioggia sul vetro, aveva quasi un effetto ipnotico inducendomi una calma strana, una sorta di distacco dal malessere, che oggi non trovo più tanto facilmente. Mi insegnò comunque a non fare previsioni, ad accettare l'impensato. 
Anche per questo, la pioggia non è un fenomeno che considero ostile, ma anzi è diventata nel tempo un piacevole rammentatore. Mi ricorda che siamo capaci anche di “contenerci gli uni gli altri” per un tempo e il suo rumore, che varia a seconda dell'intensità, mi è diventato piacevole da ascoltare quanto il respiro di una persona cara. In fondo anche la pioggia produce un suono e quindi, rompendo il silenzio del buio, me lo rende meno cupo.
Sento le foglie secche piegarsi senza rompersi, e la morbida cedevolezza del terreno sotto i miei passi incerti, mi dice che la terra è sazia del suo principale nutrimento. Che idea bislacca aveva avuto a portarmi in un bosco di castagni, ma come dirglielo senza offenderlo? Così lo seguo quell'uomo dagli occhi neri e fiammeggianti, tanto più grande di me, quando mi dice: vieni ti mostro qualcosa. 
Mi chiede di chiudere gli occhi e il cuore mi scoppia nel petto quando lo sento: un odore ma è un profumo in verità, non apro gli occhi perché temo che mi vedrebbe arrossire persino sotto la pioggia ma continuo ad inspirare col naso come lui mi dice di fare fino a quando la sua bellissima voce profonda dice: muschio. Il suo braccio è teso,  vicino alle mie guance rosse non c'è il suo viso ma la mano che tiene un frammento verde. Quando apro gli occhi, mi vergogno ancor di più e lui se ne accorge ma non dice nulla, ritira il braccio e comincia a spiegarmi che ogni legno d'albero ha un muschio di profumo diverso. La pioggia non si ferma ma a me non importa né mi sembra più bislacca questa idea di bagnarci tra i castagni, se a spiegarmi l'autunno è ancora lui.
Chiudo di nuovo gli occhi e questa volta per sentire il rivolo di un ruscello scorrere, e ho voglia di dirlo che sembra il rumore di piccoli cristalli tintinnanti che si scontrano ma non lo faccio perché le parole sarebbero rumore in quella sinfonia già perfetta. Se penso che fino a quel momento una giornata del genere mi avrebbe reso triste, mi sento sciocco e questo si glielo dico, come gli direi anche che nessuno mi aveva mai fatto un regalo più bello. Siamo risaliti in macchina bagnati e dopo il rumore delle portiere che ci chiudono all'asciutto, mi giro a guardarlo per vedere se la fiamma nera dei suoi occhi si è spenta con la pioggia, lui ride fragorosamente con il suo tono beffardo e la vedo intatta, poi accende il motore e mi riporta in città. Siamo amici, senza una logica motivazione, siamo come gocce d'acqua piovana che non coleranno l'una nell'altra ma lo stesso precipitiamo.

martedì 15 ottobre 2013

pensieri magici

Ho le braccia incrociate sulla scrivania e il broncio fisso sulla faccia. Sono un bambino e penso: se non faccio nemmeno un piccolo rumore, la mamma che di là in cucina mi sente, si preoccuperà!  Magari, aprirà la porta della stanzetta e metterà la parola fine al mio castigo con un abbraccio che profuma di lei, e un latte caldo coi biscotti.
L'ho fatta arrabbiare perché certe volte mi sembra che non mi veda, che si limiti a tirarmi dietro a sé ma che, se non ci fossi, sarebbe più contenta. Per questo mi sono nascosto dietro l'angolo del palazzo che ci lasciavamo alle spalle. “Sei grande per tenermi ancora la mano” dice, ma forse se girandosi non mi vede più, cambia idea!
L'idea l'ha cambiata, ma la mano mi è arrivata sulla guancia e non era per niente morbida come piace a me. Non è giusto, ora che finalmente mi tiene per mano, mi brucia la faccia e devo aver sbagliato di nuovo, perché non sono contento come immaginavo! Abbiamo incontrato un'altra mamma che si è accorta che la nostra passeggiata è un disastro, ma sembra che le dispiaccia più per la mamma che per la mia guancia arrossata! “Hai fatto il monello”? -chiede, e a me non va di rispondere, mica glielo posso dire che non capisce niente, ho una mano in quella di mamma e una sulla guancia. Se mi arriva un'altra sberla non ho più mani libere.
Gli adulti si capiscono tra loro solo se hanno bambini, sembra quasi che per loro siamo tutti una faticaccia: non ubbidiamo, non rispondiamo, non ci curiamo di non sporcarci, insomma siamo “non”. Un giorno le ho chiesto se quando sono nato era felice, ma mi ha detto solo: certo, tutte le mamme lo sono. Ma allora, perché se si incontrano per strada non sembrano felici, anzi? Io ad esempio, per aiutarla porto anche il sacchetto del pane, anche se non mi compra quelle belle frittelle con lo zucchero, perché dice che mi fanno male. Il panettiere forse odia i bambini, e la mamma che lo sa non gli permette di avvelenarmi? Però sono così belle quelle frittelle, diavolo di un panettiere! Un giorno o l'altro glielo dico davanti a tutti che la mamma ha scoperto il suo tranello!
Ci sono giorni però in cui la mamma è contenta di avermi tra i piedi, tipo quando andiamo dalla nonna o dagli zii. Io mi diverto a giocare con la scatola di latta dove la nonna tiene i bottoni ma non gli aghi, perché se ci metti dentro il naso, si sente ancora l'odore di biscotti! Poi sul più bello, proprio quando abbiamo deciso a cosa giocare con i miei cugini, dice: andiamo! 
La nonna o gli zii insistono perché restiamo, ma lei dice che sono stanco anche se non so di esserlo. Per me la zia non le piace e dopo un po' non sa più di cosa parlare, proprio come con la nonna, con la quale però litiga volentieri. “Come sei noiosa Maria” le dice la nonna e lei replica: “Tientelo tu tutto il giorno”. Papà non vuole che va a lavorare e papà ha sempre ragione!
Per questo ora me ne sto zitto zitto nella stanzetta, così capisce che non do tanto fastidio, che può dimenticarsi che ci sono. Il brutto è, che quel gioco non mi piace, perché la mamma è più brava di me a giocarci dall'altra parte del muro, e ogni volta mi fa venire paura che non c'è più per prima! Allora esco in punta dei piedi e raggiungo la cucina ma appena mi vede  mi urla che mica è finito il castigo! Uffa. 
 Prendo i pupazzi, me li metto davanti, e ci parlo io piano piano nella mia testa, perché tanto lo so che non parlano neanche loro per primi. In questa casa non è che parliamo tanto ma se lo facciamo lo facciamo a voce alta come fanno la mamma e il papà prima di di dirmi: non urlare! 
Anche al telefono che è nel corridoio si parla piano e la mamma mette una sedia vicino alla porta della cucina, passa la cornetta dentro fino che il filo si allunga poi socchiude la porta e parla con la sua amica, non con me. Dice che lo fa perché, ci sono giorni che papà va di notte a lavorare e dorme di pomeriggio e non dobbiamo disturbarlo. In quei pomeriggi, sto con lei in cucina e delle volte fa una torta così dice che “risparmia”. Non ho capito bene cosa sono i soldi ma so che per colpa mia ne abbiamo pochi. Le mie scarpe, la scuola, e poi c'è il dottore,perché ho la tosse, e quello la torta non la vuole. Sa di bruciato ma io non gliel'ho detto.
Io pensavo che i bambini arrivassero per farli felici, ma mica ci dicono come si fa? Adesso gli faccio un disegno, con la matita così non si consumano i pastelli della scuola: la mamma la faccio piccola e io mi faccio grande, così mi vede per forza ! Lo lascio sulla scrivania al posto del broncio.” A tavola” urla mamma. Posso uscire. Mamma guarda!- dico. Lei è girata e mi dice “ dopo, che si fredda”. Mia mamma di schiena è bellissima.

venerdì 4 ottobre 2013

Mare nero


“Non urlare che ci sentono tutti”, dice la mamma, inseguendolo per casa,  mentre sotto i suoi colpi il piccolo urla “non l'ho fatto apposta”. Una volta, mille volte, nessun tavolo di cui fare il giro per salvarsi. Poi una notte, il piccolo scappa in strada, nessuno lo guarda e nessuno gli crede, quando dice: mi fanno male. Deve tornare a casa ..dai suoi genitori, loro sanno cosa è bene per lui. 

Si ha sempre bisogno di un rifugio quando chi decide per te non tiene conto di te, dei tuoi diritti,  quando soprattutto si pensa che per reprimere il grido di aiuto basterà togliere voce al bisognoso.  Un genitore intransigente può abusare del suo potere, spesso nel solo tentativo di risolvere il proprio imbarazzo o frustrazione quando il proprio figlio forza una “regola” per provocare la sua attenzione o emanciparsi dal peso ingiusto che la regola pone. Spesso solo per non morire. Fanno lo stesso certi  governi, quando abusando del potere che possono esercitare affliggono il proprio popolo con “regole” insostenibili. Invece di cambiare la regola aumentano la punizione e la forza con cui infliggerla.

 Le persone ci provano a sottostare all'ingiustizia per ignoranza paura e spesso mancanza di alternativa o forza, almeno fino a quando la regola sembra voler garantire una parvenza di possibile quotidianità e la propria vita non sia direttamente minacciata, girando per così dire “intorno al tavolo”  come bambini impauriti nella speranza di una via d'uscita. Ma i grandi, che siano della Terra o della famiglia, spesso non si accontentano e la punizione per la disobbedienza diventa violenza. Allora le persone scappano e scappando incorrono in  rischi peggiori come un bambino che si fida di uno sconosciuto e in mezzo ad una strada accetta un passaggio.  

 E' facile pensare di non mettere il naso nelle famiglie o nelle nazioni degli altri, basta credere di avere un potere illimitato nella propria, come se in fondo l'umanità non fosse una soltanto..così il bambino che cerca rifugio,  come il popolo dei “rifugiati”, viene spesso riconsegnato al suo aguzzino nella falsa convinzione di agire per il suo bene secondo la “regola”.. Avete mai visto lo sguardo di un bambino in pericolo? Lo hanno visto bene i pescatori lampedusani, che più tempestivamente di ogni governo hanno soccorso le persone gettate a mare. Braccia tese nella speranza di essere salvate,  l'impossibilità di salvarli tutti.  
La civilissima Europa somiglia alla vicina di casa perbene che parla di “buona educazione” di “giustizia” dal salotto di casa sua, ma che nel sentire l'urlo del bambino in pericolo nell'appartamento di fianco, ravvisa solo un fastidio e dice “ è una vergogna”! Poi alla riunione di condominio ben vestita e apparecchiata si rivolgerà ai genitori violenti dicendogli che non è decoroso che il loro bambino urli tanto e con loro stabilirà un patto di “silenzio”. Porterà loro una torta per lui, ma non si preoccuperà che la possa mangiare e parlando al telefono con una altra vicina si fingerà scandalizzata dicendo: hai sentito come lo fanno urlare quel povero bambino? Se qualcuno però, le portasse le prove che il bambino è maltrattato chiederebbe: ma siete sicuri che non si sia fatto male da solo? Sapete come sono i bambini...

Questo facciamo accogliendo come accogliamo i rifugiati, ci laviamo la coscienza con poco, con  il meno possibile, dicendo non possiamo salvarli tutti...o condannando chi ce li manda, ma in fondo pensando: non possiamo impedire ai loro “genitori” di trattarli come credono. I rifugiati proprio come i bambini, non interessano a nessuno a meno che non diventino argomento per gestire un vantaggio politico. Se la famiglia violenta venisse allontanata, per esempio, l'appartamento sarebbe di nuovo disponibile così come le risorse delle nazioni che maltrattano il proprio popolo sono ciò per cui si finge volentieri di non causarne la fuga e lo sterminio. 
Nei grandi palazzi di vetro non c'è una stanza che accolga questi “bambini del mondo”, sono tutte piene di carta che dichiara il loro diritto alla vita senza poterne imporre il rispetto. Cosa ci devono per non averli lasciati affogare, per averci messo nell'imbarazzo di vederli morire e “dover” fare “qualcosa”? Come bambini affidati dovrebbero mostrarsi grati ma in fondo gli chiediamo solo una nuova schiavitù. Del resto, ogni nazione è come una casa e ogni casa ha le sue regole e una porta da chiudere dietro la quale ogni vergogna ogni prevaricazione ogni cosa può essere compiuta e condannata dalle stesse persone, ma dove le vittime possono solo morire o scappare per morire magari a pochi metri da una barca di pescatori, naturalmente senza fare troppo rumore. 
L'indomani tutto il mondo sarà indignato, alzerà la voce perché tutti sentano, griderà: Vergogna,  ma solo un pescatore quella notte, avrà dovuto guardarli tutti negli occhi!  

martedì 1 ottobre 2013

Smartphones vs Smarties

Tutti concordano che viviamo in una epoca straordinaria. Un'epoca che ci ha visto "connessi" gli uni agli altri, un epoca multimediale dove non siamo più isolati e dove la nostra "ottica" ha tutta un'altra fibra! Basta con la carta da lettere profumata per gli innamorati, le raccomandate per gli affari e i filmini per i parenti lontani e benvenuti Emoticon, mail, e videochiamate su Skype!
Ormai giriamo tutti con una mezza dozzina di carica batterie, cavi, cavetti, auricolari e devices( apparecchi di diverse dimensioni e funzioni tutti riconducibili a Internet), e ci sono giorni in cui i malati delle terapie intensive ci sembrano meno accessoriati della signora seduta vicino a noi in metropolitana, anzi, i malati almeno sono attaccati ai generatori degli ospedali e non devono preoccuparsi se non sono "raggiungibili".
Tutti i nostri orifizi, tranne alcuni meno gloriosi, sono "penetrati" da curiosi accessori che hanno trasformato la comunicazione in una corrente in "entrata" o in "uscita". Se una volta una pacca sulla spalla ci avrebbe confortato oggi ci basta un Poke o basta cliccare un Like per far sapere che abbiamo dei gusti, il tutto, rigorosamente Touch( tecnologia sostitutiva dei tasti da premere). Passiamo ore a toccare apparecchi che emettono suoni ammiccanti per farci sentire dei veri stalloni della tecnologia, ma se qualcuno ci sfiora accade il miracolo: quel contatto così diretto ci infastidisce, o peggio potrebbe farci aprire pagine della nostra vita che non si trovano nemmeno su Wikipedia! Come piccoli rabdomanti cerchiamo "campo" con i nostri "smartphone" e non possiamo più concederci una sosta nella panchina di un parco che non abbia un Wii-fii gratutito! Nel contempo però i maschi soffrono di "ansia da prestazione" e le femmine di tutte le altre forme di ansia possibili!
Abbiamo anche un nostro Messia che ha trasformato la Mela morsa da simbolo di peccato a Terra Promessa e che ci suggerisce di essere affamati e folli come se a ben guardarci non lo fossimo già abbastanza. Purtroppo passato a miglior vita, sono certo che prima o poi qualche Hacker giurerà di averlo visto radunare discepoli nella Silicon Valley battezzandoli su You tube nel nome del Ios !
 Perché i nostri telefoni si sono dovuti fare "furbi"(smart)? Qualcuno doveva pur farlo, visto che gli esseri umani hanno premuto il tasto Reset del proprio cervello emotivo, senza nemmeno fare un back up! Oggi tutto è Smart: miniautomobili, vacanze, telefoni, adirittura scatole che sostituiscono il pensare ad un regalo personale.(smartbox). Intanto che tutto si fa furbo, in modo che sempre più cose che prima richiedevano qualche giorno di tempo e qualche riflessione off-line per essere fatte, possano sbrigarsi in  un megabyte, la sensazione che provo è quella di essere sempre più scemo!
Non ci sono aggiornamenti che mi insegnino a interagire meglio con gli altri quando li incontro di persona, né codici Puk che mi salvino dalle incomprensioni di chi amo o amicizie che nascano senza una "richiesta" o una "conferma"!  Se faccio l'amore ho sempre il dubbio di non essermi "connesso" e il mattino dopo nemmeno un Mi piace. Le mie amiche hanno i giorni in cui la macchinetta gli dice che possono fare sesso ma uomini che le chiedono solo a che livello sono di "Candy Crush", i bambini fanno scorrere i ditini sui quotidiani ma non possono giocare in cortile e il cane anche se ha il microchip viene abbandonato cancellando semplicemente con un click "l'account che lo lega al padrone". 
Lo so dovrei "cinguettare" invece di fare il solito disfattista, perché tanto non si può vivere nel passato dove la pasta era per tutti, le lettere erano profumate, le navi non si inchinavano,  i governi duravano cinque anni e l'unica cosa che si ricaricava era lo spirito, magari con un bel libro o un caffé in piazza con le amiche, ma che volete che vi dica, io non ce la faccio a reggere i ritmi di questa vita Smart, la velocità con cui tutto è superato prima ancora che capisca se mi serve, dove al phon basta aggiungere una E e oltre ad asciugarti i capelli puoi anche parlare !
Un epoca straordinaria, multimediale e sofisticata dove però è ancora un problema portare un apparecchio acustico o una protesi se non sei un campione di atletica para olimpica o un uomo d'affari, dove se non sei smart, quindi produttivo in termini di "traffico on line" sei un hardware a cui "staccare la spina" senza tanti complimenti, un tempo dove ti basta un App per sentirti Up ma quando sei nella merda nessuno ti degna di una "conference-call"! 
Non so voi ma sono stufo di vedere le persone in mutande senza togliergli i pantaloni con le mie mani, stufo di "stati" che non vengono davvero condivisi, stufo di freddi Sms, tiepidi MMS o calde chat anonime. Tutto questo può essere utile come lo è un caffè in cialda se non c'è la Moka, o può essere furbo(Smart) solo se la furbizia è "surrogare" i nostri bisogni per fingere che siano soddisfatti. 
 Io ci provo a stare al passo, ad andare a tempo, ma non sono disposto a fare delle mie emozioni un "pacchetto dati" e resto convinto che le cose piu smarties che ho amato altro non erano che deliziose caramelle glassate e multicolore in un tubo di cartone che non si dovevano scoppiare on line a tre per volta e che facevano "Sugar Crush" solo in bocca! 










giovedì 26 settembre 2013

Imbarazzi e Chihuahua

La mia bambola di pezza con la buffa faccia a fagiolo e i capelli di lana gialla piaceva molto a mia cugina e a Francesca, alle quali però non la facevo toccare perché me l'avrebbero trattata “da bambola”. Vestita, spogliata, sbattuta come neanche i maschi saprebbero fare!
Una bambola nella stanzetta di un maschio era qualcosa di imbarazzante da mostrare, ma grazie alla totale mancanza di ospitalità di mia madre nessuno dei miei amichetti sapeva che ce l'avevo! 
Oggi conosco madri che hanno comprato il Cicciobello ai loro bambini maschi senza temere per la loro virilità futura e questo senza fare inutili cortei.
Oggi parliamo di imbarazzo e in particolare di un tipo di imbarazzo che nonostante tutto non si vince mai, quello dei maschi etero nei confronti degli amici gay delle loro compagne. Ormai sdoganato, il concetto di “amico gay” fa tendenza tra i maschi eterosessuali, poiché dal momento che “sono dappertutto” non si può più mostrarsi imbarazzati, senza incorrere nell'ira funesta di fidanzate e della società perbenista a cui si appartiene. Un po' come quando parli di napoletani e non puoi dirne i fastidiosi difetti, senza prima averne cantato le lodi, l'amico gay, non può essere gestito se non prima sottoscrivendo la “liberatoria” che recita: io non ho nulla contro anzi ho “tanti” amici gay!
Chiarirei che innanzitutto i “tanti” generalmente non superano il numero pari che si genera quando l'amico gay ( che devi accettare per non digiunare sessualmente)della tua fidanzata, si mette con qualcuno, poi c'è da dire che dal momento che anche grazie alla nostra stupidità il concetto di amicizia tra un uomo gay e una donna si è sempre più approssimato al genere di rapporto “velina-chihuahua”, ( piuttosto possessivo e costoso tra cene regali week end shopping  e SPA), non è che tutte possano permettersi, come dire, l'allevamento. In ogni caso, c'è sempre una circostanza in cui la tua amica ti presenta il nuovo fidanzato, o vieni presentato dalla suddetta amica a un'altra e al di questa fidanzato! 
L'imbarazzo di alcuni è evidente specie se l'etero è belloccio e sa di piacere, così dopo le presentazioni succedono cose buffe, tipo le posture “a distanza” e risate sproporzionate alle battute, oppure, si generano improvvise pezzature di sudore nelle camicie o t-shirt di alcuni. Il genere di imbarazzo è simile a quello che si prova quando ridendo ti scappa un peto e speri di essere l'unico ad averlo sentito. Una sorta di indecisione si impossessa di tutti e due gli uomini, ed ecco il punto. Ci sono due uomini ma non c'è un codice definito. Se lo guardo troppo negli occhi cosa succede? Posso dargli una pacca come agli amici di spogliatoio? Di cosa parliamo? Non è che mi guarda il pacco?
In tutto ciò, le donne chiosano tra loro divertite e decisamente più a loro agio con entrambe i generi ignorano le difficoltà in cui si trovano i due maschi. Mi fa sempre un po' ridere questa pantomima perché uno degli antidoti più semplici al panico è la solita vecchia goliardia, l'unico codice universale nel mondo dei maschi! Da sola la goliardia e il cameratismo basterebbero a pareggiare il dislivello ma a condizione che non ci si trovi di fronte ad un uomo gay che parli agisca e si muova come la propria fidanzata! In quei casi una pacca virile potrebbe causargli la lussazione dell'anca. Altresì ci sono uomini gay, che esagerano dall'altro lato sembrando dei manovali a tutti costi, i quali però appena si lasciano andare ad una risata spontanea, incorrono in quel tipo di gridolino garrulo, che è ancora più imbarazzante del suddetto peto.
Per una volta vorrei difendere i maschi eterosessuali i quali non possono catalogare troppe varianti, e quindi come nel vestire tendono a semplificare per non sbagliare. Se smettessimo di farci strattonare come bambole di pezza o di infilarci nelle borsette delle nostre amiche, forse potremo trovarci di fronte ad una nuova opportunità: quella di toglierci la funzione di “accessori” delle donne e come tali sembrare un po' tutti uguali, eccessivi, e talvolta un po' troppo vistosi da mostrare. Le donne imparerebbero che non siamo i loro giocattoli e potrebbero concedersi un linfodrenaggio in più, gli uomini che non ci provocano erezioni solo perché sono tali, e noi, potremo concederci qualche risata più sincera, qualche peto fuori luogo come tutti, qualche corteo in meno, e soprattutto trovarci anche noi un compagno al quale presentare un amico o essere come coppia, presentati senza imbarazzi  e chihuahua!

lunedì 16 settembre 2013

le "cose" che non ho detto.



Le cose.
 In quella parola ci sta di tutto, dai cicli mestruali delle amiche se  sono le “loro cose”, alle incombenze da sbrigare se sono “cose da fare” o i segreti famigliari se sono “cose di famiglia”.
Ognuno ha le sue cose anche nel senso di oggetti materiali e quelle sono le cose degli altri che preferisco, perché sono più oneste delle persone a cui appartengono. La collana di avorio che la mamma tiene in camera sua mi dice che un tempo le piaceva farsi notare, nonostante oggi abbia un'aria tanto dimessa e dica di se, che “preferisce passare inosservata”.
Nella STANzetta di oggi parliamo di oggetti. Perché li teniamo con noi? Il valore delle cose che possediamo non c'entra perché spesso gli oggetti più cari non hanno grande valore ma sono più semplicemente dei rammentatori di ciò che siamo stati o dei sentimenti a questi legati.
Potremo dire che definirli dei “passaporta”, come succede nei film di Harry Potter, sia una geniale maniera di descriverli dell'autrice del famoso maghetto, il quale toccando un semplice scarpone passava dal passato al presente come prendendo un ascensore da un piano all'altro.
Non vi è mai capitato a casa della nonna o aprendo l'armadio di mamma, di trovare un oggetto che sta li come se fosse dimenticato, e di provare la curiosità di saperne di più? Quando chiesi a mia madre di raccontarmi di più sulla borsetta di vernice con le rose ricamate che stava buttando in pattumiera, notai che un lieve imbarazzo la colse ma insieme anche una malinconia per la “ragazza” che l'aveva indossata. Subito dopo mi liquidò dandomi semplicemente del impiccione, e chiuse quel sacco col segreto che conteneva e se ne disfò con apparente noncuranza.
Le emozioni, che sono la nostra parte intangibile, necessitano degli oggetti per vincere la naturale tendenza umana a dimenticare, per questo alcuni esseri umani quando sono travolti da emozioni dolorose cercano conforto in maniera patologica nelle “cose”, finendo per accumularne fino a livelli allarmanti che finiscono per etichettarli come “spostati”, da coloro che li hanno delusi feriti o abbandonati. Alcuni, li puoi vedere per le strade o nei telefilm americani, trascinano con se certe cose che non sono affatto necessarie alla vita di strada ma alle quali hanno agganciato la parte residua di appartenenza al genere umano che il loro modo di vivere ha smesso di affermare pubblicamente. Li chiamiamo barboni, ma un tempo erano come noi. Un giorno, mentre ero alla finestra in pausa dal mio lavoro di parrucchiere, una di queste “barbone” mi chiese di potersi tagliare i capelli. Ricordo perfettamente l'odore che emanava dai suoi abiti sudici ma notai maggiormente il perfetto italiano con cui mi fece la domanda.
Dovetti decidere in fretta e non essendo mio il negozio, ma essendolo invece il tempo di pausa, le dissi di aspettarmi li e la raggiunsi alla fermata dell'autobus che grazie al suo cattivo odore era diventata improvvisamente deserta. Mi raccontò che era stata una insegnante e che dopo aver cresciuto da sola l'unica figlia, finì per strada quando questa morì bambina,  in un incidente. Tra le cose che portava con se c'erano  animali di peluche che facevano capolino dai sacchi neri, consunti e magari senza un occhio o un braccio e non ci fu bisogno di chiederle spiegazione. Tagliai di netto il nodo che i suoi capelli grigi e sporchi avevano formato e che, a causa della trazione, le dava il mal di testa, con gli occhi velati di lacrime, tra gli sguardi disgustati delle persone che a casa loro chissà cosa “conservavano gelosamente”. “Ti posso pagare!” disse affermando la sua dignità “ no davvero” dissi io, “l'ho fatto volentieri, non doveva essere facile tenersi quel nodo..”. Lei aprì uno dei suoi sacchi e mi diede un orsetto senza naso, dopodiché, augurò a me buona fortuna.
Sia che si mostri un eccessivo attaccamento o un totale distacco, le cose hanno una loro strana maniera di raggiungerci ed entrare a far parte della nostra vita, come testimonianza di un contatto avvenuto col mondo di qualcun altro. Puoi comprarle a un mercatino come piace a me, o vedertele arrivare per mano di un blasonato notaio, non importa, le “cose” ti troveranno e ti imporranno di dargli un qualche significato o ignorandole, permettere ad altri di farlo! Ci sono prima di noi e ci saranno dopo che ce ne saremo andati, perciò mi chiedo: perché proprio ora che possiamo averne di più, le nostre “cose”,  sembrano non avere più niente da raccontare?  Perché la storia di qualcun altro ci mette a disagio? Forse perché, c'era un tempo che non c'è più, in cui le cose erano poche e le storie delle cose degli altri, era un po anche nostra e non avevamo timore di essere “umani”. Ora scusatemi  ma ho un sacco di "cose" che non ho mai detto.

lunedì 2 settembre 2013

In Viaggio con mamma'.

Pensavo che potremo godercela sai? Dopo tutti questi anni sprecati dovremo cogliere l'opportunità di farcela una risata io e te, perché diciamocelo, è colpa tua se oggi guardo la vita con la testa in “scelorsa”( espressione dialettale ligure che indica una posizione inclinata).
Va bene hai ragione, ho cominciato io...lasciamo stare. Secondo me però, anche tu con la tua arietta perbene, il caschettino devoto e la gonna a pieghe non hai una visuale tanto conforme: per esempio ti divertiva pettegolare di questa o quella persona con la tua amica. Vicine di posto con le gonne talmente alte in vita che il cinturino spariva sotto i seni , vi scambiavate gomitate e nascondevate i sorrisi dietro i fazzoletti facendo ballare la fila di panche durante la funzione domenicale. Oppure, quando le consigliavi quali medicine prendere, solo perché avevi comprato a rate l'Enciclopedia Medica della Garzanti e ti sentivi informata sui fatti.
Peccato che dopo tre giorni di male al braccio, curato coi tuoi consigli siamo andati al suo funerale e anche li come a quello di papà e di tutti gli altri, ci scappava da ridere. Ti ricordi?
Lo so che ti manca quell'unica amica, ma perché diamine non te ne sei fatta più di una? Tu e il tuo “senso della misura”! Per esempio quella che ti diceva: guarda che a 70 anni una donna è ancora giovane..in quel senso, parlando di uomini.
Comunque devi sapere che in quelle navi c'è l'ascensore da tanti piani ci sono. Ci farà bene litigare in alto mare e darci la buonanotte come piace a te: facendo finta di niente. Ma no che non sei troppo vecchia, come non lo eri quando ti sei messa in testa di prendere quella cagnolina che poi hai dato a me... solo perché ti scocciava fare le scale per portarla giù o quando hai telefonato alla casa editrice perché non volevi aspettare le uscite settimanali della “casa delle bambole” e te la sei fatta spedire già finita, pagandola una cifra indecorosa persino per Barbie! Come dici, sei una professionista dell'ansia? Già. Ben inteso ognuno ha la sua camera, perché quando sei andata a vivere dalla nonna e non c'era una camera per me è stato un supplizio sufficiente per entrambi dormire insieme, le volte che venivo a trovarti, come del resto lo era mangiare le cose che non sapevi cucinare. 
Hai ragione papà era bravo a cucinare, ma potevi anche imparare no? C'è il ristorante in crociera, così potrò cenare bene e avere il tuo imbarazzo come dessert! No che non sono sempre avvelenato con te, rimanevi fuori dai bar quando bevevo il caffè, figuriamoci che effetto ti farebbe una cena di gala!
Pensavo che guardando l'orizzonte potremo spiegarci affidando le nostre parole al mare, mettere da parte tu il tuo finto bigottismo e io il mio bisogno delle tue scuse e un po' di vittimismo, dopodiché camminando sul ponte esterno in direzioni opposte offesi a morte, rincontrarci esattamente dall'altra parte e provare a conoscerci davvero. Non come madre e figlio ma come due persone “diverse” a modo proprio e devi ammettere che io e te abbiamo sempre fatto tutto a modo nostro.
Ci pensi, alle serate danzanti quelle dove papà ti corteggiava e che frequentavi con la gonna anni cinquanta accompagnata dalle zie? Ti chiamavano la Superba e tu vuoi che creda che sei solo timida? Tu che quando gli ospiti tardavano ad accomiatarsi  gli dicevi: ce l'avete una casa?
Ora ridi, e se invece di giudicarmi e di nasconderti dietro a dio provassi a riderci sopra?
Non siamo stati lontani tutti questi anni perché io sono come sono o perché tu o Dio non potete accettarlo ma perché non abbiamo avuto il coraggio di fare quello che a entrambi riesce meglio: fregarcene, in fondo, nell'idea di non poterlo fare è quello che abbiamo fatto l'uno dell'altro, e io credo che sia questo il vero peccato, ma non sono dio. Tu sei Dio?
“Finalmente sei diventato il figlio che ho sempre desiderato avere”. Te lo ricordi questo biglietto sulla mia scrivania? Io quel giorno me ne sarei andato. Quasi diciotto anni dopo averlo fatto mi hai chiesto se avevo dei soldi, quando sono partito. Vedi che c'è da ridere? Che differenza avrebbe fatto? Mi è sempre andata bene, tranne che con te.
In crociera almeno potresti indossare le belle giacche da signora per bene che ti comprai mangiando pane e merda per il resto di un mese e io in cambio,  metterei la cravatta e la giacca come ti piaceva tanto quand'ero il figlio che volevi avere, poi ci facciamo una foto ricordo di quelle che devi pagare per averle e vedrai se non ti scapperà da ridere. 
Ridiamo mamma ti prego,  facciamolo insieme ancora una volta, perché i parenti li abbiamo seppelliti tutti. Come dici, cambiamo argomento che è meglio? Quanto costa una cassa da morto?

sabato 24 agosto 2013

mancate occasioni.

Un lettore che ahimé è rimasto anonimo mi ha fatto notare come le voci, reazioni,  che avevo inserito sotto ogni post fossero nel caso di post molto seri quale l'ultimo circa il suicidio del giovane ragazzo romano, del tutto inopportuni. Ho dovuto convenire con lui, e ricordare che li avevo messi in quel modo, (esilarante, toccante, risatina) al tempo in cui credevo di dover parlare solo con ironia di tutto. Come giustamente mi ha fatto notare, il senso magari anche profondo delle mie parole era del tutto in conflitto con quel tipo di definizioni che per altro devo ammettere che prevedevano solo un riscontro favorevole(altra grossa presunzione).
Mi scuso per non aver pubblicato anzi per averlo fatto e subito rimosso, il suo commento, caro lettore anonimo, non tanto perché  fosse poco lusinghiero quanto per l'imbarazzo in cui mi sono trovato condividendo con lei la sua impressione.
Spero di aver rimediato con i nuovi soggetti reazione: interessante, poco interessante, anche se non sono certo mi leggerà ancora e ancora maggiormente mi dispiaccio di non poterla ringraziare apertamente dato il suo anonimato, che visto l'interessante spunto offertomi avrei lodato volentieri per nome e cognome. Ci vuole coraggio nel parlare come parlo di certi argomenti o forse solo una gran faccia tosta e un pò di stupidità ma di entrambe ho piacere di rispondere con la mia stessa faccia. Mi spiace non abbia avuto la stessa audacia ma le sono grato comunque. Del resto l'anonimato è un diritto in rete anche se per me resta una mancata occasione!

lunedì 12 agosto 2013

ragazzo si uccide perché omosessuale? Non credo proprio.

La vita non è mai ovvia. Questa frase, se la senti o la leggi, suscita un immediato consenso ed è una  di quelle frasi che fanno breccia nei followers dei social network. Essa potrebbe indicare una presa di coscienza di quelle che fa maturo mostrare  di fronte ad un funerale improvviso, o sarebbe perfetta per  sentire meno  disagio se i figli si fidanzassero con qualcuno che viene da un paese impronunciabile, oppure ci renderebbe  ammirevoli se  pronunciata tra amici di fronte ad una delusione cocente.
La solennità con cui queste poche parole ammoniscono dal luogo comune è apparentemente inconfutabile. A questo genere di frasi appartengono credo gli aforismi, e verosimilmente queste lapidarie sentenze sulle cose della vita si prestano con efficacia anche agli epitaffi, perché come diceva un proverbio biblico: è meglio la fine di poi di una faccenda che il suo inizio, ed è solo allora che siamo in grado di centrifugare l'essenza di una vicenda, di una vita, di un periodo storico.
Ma perché questa frase ci colpisce davvero? Si potrebbe dire che la vita di milioni di persone sia di una ovvietà imbarazzante e questo confuterebbe la tesi iniziale per cui nessuno che viva può vivere con ovvietà, tuttavia a non essere ovvia è la vita in sé, non la vita delle persone.
La forza vitale che ci anima non è ovvia, nonostante poi tutte le vite abbiano un principio uno sviluppo e una fine, perché ci appare sorprendente, perché  la vita non è mai stata spiegata fino in fondo.
Credo di poter azzardare che adoriamo dire o sentir dire che la vita non è mai ovvia poiché se lo fosse non sarebbe abbastanza eccitante vivere. Ecco cosa ci colpisce davvero, la paura che la vita sia solo un conto alla rovescia senza eccezioni e con anche la probabilità che si compia senza nulla di eccezionale, ma che soprattutto essendo per ora dimostrato che è “una” sola, potrebbe essere più noiosa di quella di un pesce rosso nella boccia. E quella noia mortale sarebbe spaventosa anche se limitata nel tempo. Quella noia piatta potrebbe essere la nostra.
Nonostante per tali ragioni e svariate altre che non sono in grado di enunciare o immaginare, sembri orribile avere una vita ovvia, in realtà ciò che sopportiamo e assorbiamo meno bene sono proprio i cambiamenti e molti di noi, hanno pur se d'accordo con l'enunciato, il bisogno fondamentale che la loro vita scorra ovviamente. Mia madre per esempio era una di queste persone e di fronte alle “sorprese” della vita il suo più grande sforzo era di fare come se niente fosse, di approntare velocemente una sorta di routine che azzerasse l'impatto degli eventi e di conseguenza il loro apporto verso il cambiamento. In effetti riuscì con questa modalità a farci credere di avere una autentica forza morale di fronte alle avversità, ma siccome di fronte alle improvvise gioie aveva lo stesso atteggiamento di nessun stupore, comprendemmo che si trattava di semplice abulia, di una profonda incapacità di dare sapore alla propria esistenza.  Avrebbe di certo concordato col fatto che la vita non fosse mai ovvia, ma senza vedere in questo  nessuna opportunità! 
Al contrario, mio padre pur conducendo una vita apparentemente ovvia per un capofamiglia, coltivava in segreto un desiderio di avventura. Tra gli ordinati attrezzi del suo garage, sembrava prepararsi a una qualche missione esplorativa che non cominciò mai.  Nemmeno la sua vita fu tanto ovvia, secondo lui, poiché visse nell'incomprensione perenne del perché i suoi desideri, come quello di avere un orto, di comprare una casa,  di avere dei figli suoi, e  di avere una moglie che lo supportasse in tutto ciò con entusiasmo, non si fossero mai realizzati nel modo in cui li aveva immaginati. Di fatto viveva in una casa con una moglie e due figli, il che faceva sembrare ovvia la sua esistenza agli occhi degli altri, ma in cuor suo sapeva come questi fattori fossero precipitati nella sua vita in modo tutt'altro che ordinato naturale e armonioso..
Ma mio padre però fu capace di stupore quando di fronte all'incurabilità della sua malattia, e agli infausti esiti che sapeva avrebbe prodotto disse, vedendoci assisterlo come “ovviamente” i nostri sensi di colpa ci costrinsero a fare oltremisura : non sapevo di avere una famiglia che mi volesse bene! 
L'attaccamento per l'ovvietà di mia madre la spinse a una capacità di sopravvivenza straordinaria paragonabile solo a quella di alcuni batteri o degli scarafaggi, mentre mio padre desiderò talmente una vita meno ovvia da partire anzitempo per il più misterioso dei viaggi: quello senza testimoniato ritorno!
Io, singolare prodotto di entrambi per semplice osmosi, mi ritengo capace di sopravvivere a molto come la parte batterica di mia madre ma con lo stupore costante di mio padre meno il suo coraggio e la sua attrazione per l'ignoto. Io che di ovvio non gli ho dato niente. Io che non ho nessun merito per questo, né una colpa. Io che  vivo perché non ho scelta migliore.
 La mia vita non è stata del tutto ovvia sebbene oggi non sia affatto eccitante, ma di certo è stata varia finora, curiosa, controversa, complicata, veloce e lenta  ma soprattutto libera da paure del cambiamento  e bisogni insensati di scopo. Sono cosciente che la maggior parte delle cose che mi avevano insegnato fossero ovvie non lo sono affatto per me, e che però neanche il rischio e la tensione dell'anticonformismo ad ogni costo fanno di questo percorso qualcosa di più da quello che è: una manciata di immagini e sensazioni simili a quelle che vedi dal finestrino di un treno in corsa.
Incerto alla partenza, passibile di imprevisti, ritardi e incidenti “di percorso”, questo viaggetto chiamato vita, comincia veloce a tal punto che ti sembra ingiusto,  raggiunge un andamento apparentemente costante nel quale non riesci a mettere a fuoco le cose o le persone che vedi come vorresti e quando credi che sia stabile e ti permetta di sentirti abile nel cogliere i dettagli , rallenta fino a che il paesaggio diventa sempre meno vario e di solito si ferma di fronte al più stupido dei fotogrammi: un lampadario troppo vecchio, una stradina del cazzo vista e rivista, un pezzo di cielo, un suono, una voce indistinta o familiare, un angolo buio, caldo e freddo.
Mi chiedo,  sentendo nel 2013 che un ragazzo di tredici o quattordici anni fa volontariamente un volo di 20 metri dopo essersi ferito con tagli  gambe e braccia, proprio verso quell'angolo buio, se è l'ovvietà della sua vita che lo ha spinto. Quella frase che ha iniziato i miei pensieri: la vita non è mai ovvia,  perché ora mi sembra orribile? Perché l'averla condivisa con quel cenno di consapevolezza del capo, ora mi fa sentire in colpa verso questo giovane, come se gli  fossi stato indifferente anziché di qualche aiuto come dovrei essere data la mia età?
Chiede perdono ai genitori per ciò che ha fatto, non chiarendo se lo fa per essersi ucciso o perché era gay. Quale di queste due cose nella sua famiglia, non era ovvia o lo era, con tanta  certezza da far preferire la morte alla vita?
“Un ragazzo meraviglioso, con una famiglia meravigliosa” dice una donna intervistata da un cronista a caccia di un distillato di dolore “vero” da mostrare come reliquia o spoglia residua di una umanità che partecipa alla morte come partecipava alla vita....Una umanità ovvia che non c'è più, mi viene da pensare, se si ritiene meraviglioso solo il quadretto che ci rassicurava! Una donna che con troppa fretta dipinge i contorni di quel quadro non suo, e che lo fa a testa bassa ovviamente!
Eppure maledetta frase ad effetto stai bene persino qui, come se la verità non facesse nessuna differenza. Allora ho una idea: tu piaci tanto frase ambigua, perché tutto puoi contenere, vergogna onore merito e demerito, vita o morte tutto inghiotti nella tua logica nera che sa di cinismo. Di niente che si possa fare.
Tu indifferente, perfino alla vita che dici di conoscere, sei solo un insieme di parole che suonano bene come suona bene abracadabra: una sorta di malefica formula da non  poter dire ad alta voce senza procurare la morte di qualcuno o la nascita di qualcun' altro al suo posto! Tu cantilena disincantata di una setta di stronzi chiamati esseri umani, mantra di ogni disinteresse per l'altrui esistenza o antidoto allo stupore se di qualche rilievo, essa anche fosse, spiegami ora come può essere meraviglioso un figlio che si uccide perché gay ai nostri giorni e come può esserlo la famiglia che non scorge per tempo il suo bisogno? Bisogno che davvero poteva non essere ovvio: che poteva essere quello di un no o di un si ma non senza uno sguardo!
Non provare a dare la colpa alla vita, io ti ammonisco di non provarci neanche a dire che “tu sai cosa” della vita! Quell'amore che un tempo non osava dire il suo nome oggi non osa nemmeno aiutare i suoi figli a pronunciarlo per la prima volta perché potrebbe essere Marco Giovanni Pietro o Paolo e non sarebbe più la stessa cosa! 
I meravigliosi genitori di questo ragazzo  che avrebbe forse avuto bisogno non di sola totale libertà o  di una catena,  ma di essere accompagnato verso il suo treno, di essere “preparato” anziché “spedito” per il suo viaggio, hanno minimizzato l'ovvietà, o l'hanno impedita? Magari di fronte ad una cena tra amici potevano vantarsi di lui, di come per loro fosse “normale” ovvio. O magari a quelle cene trovavano una scusa per non andare presi com'erano dalla vergogna? Mai ovvio. In ogni caso presi da se stessi, e non dall'amore per questo ragazzo hanno ignorato il suo bisogno, e ora insieme alla comunità dei vivi con eccessiva fretta si consoleranno. Possono fare finta di non essersi accorti che lui non sapesse come dirglielo, perché la vita non è mai ovvia giusto? O forse nemmeno pensavano che avesse qualcosa da dire.
 L'accettazione e non la vita non è e non deve mai essere ovvia poiché banalizzerebbe lo stupore per il “nuovo” che avanza o  che generiamo inconsapevoli, perché accettare non significa saltare quel momento in cui scegliere di farlo sul serio, ma soprattutto perché accettare senza coscienza o rifiutare  con ignoranza fa torto proprio a Lei che resta un vero mistero: la vita. 
 Lei che si beffa delle nostre formule, dei nostri stregoni progressisti o arcaici, lei che non ha bisogno di noi,ma semmai il contrario: ovviamente. Lei che non ha fretta ne regole a cui sottostare.
Troppe volte in questi ultimi tempi avverto la fretta con cui chi vive muore e chi resta se ne fa una ragione. E' come una nota stonata, un tempo che manca in un ritmo, un passo saltato in una danza. All'inizio credevo fosse solo per brevità che dalle immagini di un cadavere si passasse alle immagini dei suoi congiunti impegnati in gesti quotidiani come imperturbati! Mi dicevo, che la vita col suo moto imperativo non ci consentisse altra scelta che riprendere a vivere, eppure c'era in quello sguardo di Zio Michele oggi, di mia madre ieri, un che di disumano, come anche nelle loro lacrime troppo difficili da tradurre e troppo facili da far scendere  che non sai se asciugare confortando o se fare analizzare alla ricerca del gene alieno. Troppe volte persino io di fronte all'amica scaricata brutalmente dopo anni, mi sono trovato a dire in fretta: è successo a tutti, senza voler davvero sapere quanto per lei fosse unico quel dolore. Troppe volte la gioia pur raggiungendoci non sembra rinfrescarci come la risacca del mare  su piedi nudi! E' la vita? Non è colpa nostra, ovvio.
E chi le vuole le colpe? Nessuno, allora ci si inventa delle frasi che sembrano spiegare tutto, la vita, la morte, il tempo che ci resta, se ne parla scioccati qualche ora e poi più niente,questo fino a quando non ci tocca personalmente.
Allora anche un semplice mal di pancia può diventare un oscuro presagio, qualcosa per cui non rispondere al telefono, o lavorare o finire ciò che avevamo iniziato. Io e solo io sono ciò che conta, le mie sensazioni, paure, desideri, bisogni! Forse tutta la finta luce che oggi gravita intorno a noi, e verso la quale sfarfalliamo impazziti alla ricerca di una fottuta singolarità, ci ha reso incapaci persino di viverla la vita ovvia o meno che sia, ma una cosa è certa: un ragazzino di quattordici anni ha diritto a “non sapere” come fare a vivere omosessuale o meno anche se diciamocelo fa ancora una certa gravissima, insopportabile, odiosa differenza, ma i suoi cazzo di genitori, quelli dovevano sapere come avevano fatto a dargli la certezza che non avrebbero accettato la sua natura. Vedendoli fare o dire cosa al riguardo lui se ne era convinto? 
Magari a tavola, quando lui cercava di dirgli che era deriso dai suoi compagni, e la televisione era troppo alta, li avrà sentiti parlare dei “froci”? O non se ne poteva nemmeno parlare? o ancora se ne parlava con  un tale esasperato entusiasmo da provarne vergogna comunque?  Non lo so, forse sbaglio, ma non riesco a provare nessuna pietà per loro e mi irrita profondamente l'ondata di solidarietà che si riverserà su di loro che ancora fin troppo ovviamente sono vivi, e ai quali si dirà come a lui non si può più dire: coraggio, la vita non è mai ovvia. 
 

mercoledì 7 agosto 2013

Tacchi e Rintocchi ultimo capitolo: fai un salto, fanne un altro.



Se le mie amiche erano come le descrivo perché non le mandavo semplicemente 
al diavolo seguendo l'idea femminile che ce ne fossero di migliori altrove? Nella Milano che avevo tanto amato per il suo anonimato leggero come ero finito in questo gine-praio?
In parte, perché nei dieci anni, che avevo vissuto col mio uomo, avevo avuto modo di apprezzare il suo amore per le donne, e in parte perché con i maschi non potevo avere rapporti di amicizia, che non fossero velati di una qualche impurità tra l'attrazione o l'invidia.
Mi ricordo però la prima impressione nell'entrare in un locale gay: il fatto di non vedere donne mi sembrava la cosa più simile alla perfezione che ero in grado di immaginare, e inoltre, vedevo ognuno di questi uomini come un esempio di coraggio, perché è chiaro che in un mondo machista ce ne voleva molto ad essere “noi”, e sebbene ci fossero come imparai col tempo diversi pezzi di merda anche tra “noi”, non potevo che sentirmi anche io parte di una “fratellanza” mondiale che cominciava ad osare a dire il suo nome.
A queste sensazioni rimasi legato per molti anni, a tal punto che quando incontrai il mio Sagittario, lui mi disse: tu vedi tutto il mondo gay! Riflettei molto su quella frase, e immaginai che forse rischiavo davvero di avere una visuale troppo “di parte” e mano mano che le nostre vite si fondevano, mi addentrai come Dante nei gironi di quell'inferno femminile che rappresenta il necessario equilibrio della vita.
Questa esplorazione mi fu agevolata da lui e da alcune sue amicizie femminili che con gli anni , in parte si affievolirono rimanendo conoscenze effettivamente affettuose ma meno vincolanti. La tendenza ad avere con le donne un rapporto molto intenso gli era rimasta essendo cresciuto come unico maschio in una grande famiglia di femmine, per cui,  lui era uno di quei gay che trovano opprimente la sola frequentazione di uomini, ma che però facilmente finiscono “schiacciati” dal   mutevole favore delle donne.
In fondo, dovevo aver pensato che  invecchiando i locali e la vita gay mi sarebbero apparsi meno sfavillanti, anche a causa del fatto che come le donne i gay dopo i quaranta non interessano più a nessuno, e che non avrei sopportato su di me lo sguardo di patetica commiserazione riservato ai “vecchi” nel mio ambiente, come alle donne “vecchie” nell'ambiente degli altri. Ben poco mi consolava inoltre la nuova tendenza dei giovani a concupire anziani signori e signore che in entrambi i mondi finivano col farsi troppo male, quindi quando incontrai i dolci occhi di Ahia, il sorriso da “ragazzaccio” di Secondo Te, e l'energico dinamismo di Assolutamente, mi dissi che in fondo dopo anni passati a considerarmi figlio di una donna “mio malgrado” potevo considerare la loro amicizia come una pacificazione con le mie origini.
Le dinamiche che vi ho raccontato di loro, non sarebbero poi così singolari se ad attuarle non fossero proprio state loro tre, perché se è vero che al buio le gatte si assomigliano, è vero che ognuna ha un suo miagolìo e che quel suono è fastidioso o infinitamente tenero a seconda della quotidianità in cui si produce. 
Resto dell'idea che conoscerle mi abbia chiarito che l'amore così come l'amicizia è eterna finché dura, ma che dura anche quando è negata o lasciata in disparte,  che per certi versi siamo tutti più uguali di quanto ci piaccia ammettere, che crediamo di dover fare la differenza solo se scambiamo l'esistenza per un casting da “protagonista” che non possiamo sempre vincere, ma più di ogni altra cosa vivere gli anni della nostra amicizia mi ha fatto immaginare un futuro in cui ormai vecchi potremo ancora scorgere nei nostri occhi quel “qualcosa” che abbiamo rotto o rattoppato mille volte ancora,  come un segreto tutto nostro. Sapere chi siamo stati e chi non potremo più essere, senza vergognarci. 
Perché questo credo sia davvero ciò che non si può comprare in una amicizia con una donna: la certezza di riuscire a viverle  abbastanza a lungo da permettergli di rinunciare a  mistificare chi siano, senza più il timore di essere abbandonate o giudicate per questo. Abbastanza da provare la gioia di “saperci” nei nostri  aspetti meschini e umani al tempo stesso, come nessun altro. Di saper  costruire la  fiducia che quella persona che ci ha detto di noi, ciò che non volevamo sapere, o che non vorremmo si sapesse,  lo ha fatto per restare con noi, con quella parte di noi che arriviamo a far finta che vada bene o a rifiutare fino a quando non sia più importante né l'uno né l'altra opzione.
Nella mia  incomprensione affettuosa, e nel ticchettìo del tempo che ci è voluto per accettarci come siamo, scandito dai loro tacchi che col passare del tempo non potranno essere più tanto alti, io mi auguro che i nostri passi possano continuare a scorrere vicini fino quasi a confondersi, così come il tempo confonde i generi e nella sua inclemenza ci spinge ad ammettere che siamo solo esseri umani e non dee o dei .
Tra le panchine di un parco, una di loro noterebbe un pampano disegnato per terra con un gessetto da qualche bambina: ogni casella un numero, ogni numero un salto o una giravolta da fare, e seduti vicini i nostri occhi forse velati( i miei) forse troppo truccati(i loro), si muoverebbero furbetti aspettando che Secondo Te si alzi fingendo che non le importi, si avvicini al disegno e tra le rughe che il botox non può più distendere, ci sorrida poggiandoci dentro un piede, come se volesse sfidarci ancora una volta. Allora Assolutamente tuonerebbe una risata fragorosa dicendole: tu sei matta, io ero bravissima a quel gioco e  Ahia  stringendosi a me con le scarpette morbide che diversi anni dopo avrebbe accettato in regalo, mi direbbe: sarà meglio che andiamo anche noi, prima che si faccia male malferma com'è diventata...e io che, a quel punto della vita, sarei un vecchio come tanti altri se non fosse per quel papillon rosa e la paglietta in testa regalata da loro, farei il primo salto strizzandogli l'occhio come se fossimo ancora noi, come se il tempo non fosse mai passato. Come se “qualcosa” ci fosse ancora. La vita, l'amicizia.

Tacchi e rintocchi capitolo 18: beati gli ultimi?




Le mie amiche erano felici per me? O soffrivano se io soffrivo?  Di certo io ero quello che soffriva quando tra loro le cose si incastravano nel dedalo di giochetti e rescusoni (espressione dialettale ligure che intende definire le bugie in modo carino) nei quali si perdevano, piccandosi l'un l'altra per quella frase o quel messaggio. Mi resi conto, che la mia sceneggiatura perfetta in cui tutti e quattro noi condividevamo umori e pudori ma anche la vita con i suoi colpi bassi, facendoci coraggio l'un l'altro,  era un tantino romanzata. 
Ahia fingendosi offesa, aveva dovuto fare una scelta tra gli spermatozoi del suo fidanzato e la mia amicizia e dato che con quest'ultima non si resta incinte, aveva scelto di farmi fuori anche perché sul social network avevo detto chiaro e tondo al suo fidanzato cosa pensavo del suo snobbismo, e quindi, secondo lei, avevo fatto sapere a qualcuna che “stava con un idiota”. Secondo Te, dopo aver tagliato per prima il nastro della convivenza col suo uomo finì a litigare con me sul treno proprio dopo averla aiutata a fare armi e bagagli per tornarsene a casa, preoccupata del fatto che “qualcuna si sarebbe sfregata le mani”per il suo fallimento.  Assolutamente dal canto suo, proprio non aveva sopportato che le dessi della stronza per la sua insistenza nel volere aver ragione ma era ben lieta di riconfermare la sua amicizia a chi lo pensava senza dirglielo nei denti una sola volta.
Che dire? Io e il mio sagittario “a vapore” rimanevamo sempre schiacciati dai loro dolori, dissapori, e tragedie, fino a litigare tra noi, mentre loro con incantevole candore parevano capaci di dimenticarseli in virtù di un week end o di una nuova alleanza che di nuovo aveva veramente poco. Ricordo come erano solite dirci: siete troppo buoni, per riferirsi al fatto che lo eravamo con quella di loro che meno lo meritava, ignorando che ciclicamente quell'una era una di loro!
Persino la decennale durata del nostro rapporto che di certo non era come loro descrivevano i propri ma più realisticamente fatto di grosse sfide e difficoltà superate al costo della reciproca salute mentale e fisica, e di una buona dose di eccitazione andata a farsi fottere, era visto per loro come una “fortuna”. Fortuna? 
Era proprio sfortunata Ahia a non rimanere incinta nell'esatto momento in cui lo voleva come voleva una telefonata di scuse al posto delle scarpe che le avevo mandato, perché spendere soldi non aggiusta le cose che “si rompono”. Quanto avrei voluto dirle che essere così cattiva con me non avrebbe reso gli spermatozoi di nessuno abbastanza coraggiosi per quel viaggio, né quell'uomo che usava,  più sensibile ai suoi dolori, oppure dire a Secondo Te, che la sfortuna non era stata quella di essere lasciata al telefono dopo tre anni di convivenza ma quella di non riuscire ad accorgersi che quell'uomo lo aveva fatto dopo aver accettato che esistesse solo lei ed essersi accorto che non valeva lo stesso per lui. Che era vero che i suoi bisogni venivano sempre prima di quelli di chiunque altro, e che in tutti quei tre anni lei aveva vissuto credendo che la fortuna fosse di quell'uomo, almeno fino a quando lui le chiarì che la fortuna non è amore.
Avrei detto volentieri ad Assolutamente che non era sfortunata se la cameriera andava in pensione o la lavatrice si rompeva, come lei sosteneva, ma che la sua vera sfortuna era quella di non sopportare di vivere un giorno da stronza, vivendone mille sotto il compromesso mal digerito delle vacanze estive  che il  suo “fidanzato” trascorreva che le piacesse o meno con lex moglie e le sue figlie. Vacanze che il suo ex marito non si era mai sognato di passare con lei e il suo.
Ma io ero “fortunato”, perché avevo un uomo che non mi aveva lasciato, sia che facessi sesso o no, che fossi bello o meno, che i soldi ci fossero o no, quindi non potevo dirglielo.
 Si ero fortunato e mi sentivo tale anche quando lui sembrava non avere più niente da offrirmi, quando miseri e preoccupati ci davamo la schiena nel letto per non farci vedere l'un l'altro piangere dal dolore di quella notizia di un medico o di un commercialista che vedeva i nostri progetti andare in fumo. Fortunato, quando la mattina dopo, lui trovava la forza di andare avanti nel farmi la colazione, e io la sera nel riporre nei suoi cassetti le polo tutte uguali che gli stiravo come se andasse tutto bene. Intanto che avevo delle amiche talmente “sfortunate” che mi dicevano: beato te. 

Tacchi e Rintocchi capitolo 17: la sorellanza mondiale

Parlando di ciò che si riteneva “normale” tra me e le mie amiche, ad altre donne mi sentivo sempre fare la stessa domanda: vabbé dai ma che donne frequenti? Non siamo mica tutte così!
Certamente io nell'esporre le mie sensazioni al riguardo da un lato non potevo non riferirmi ad uno
specifico punto(il mio) da cui guardavo un panorama così vasto, e dall'altro non potevo non generalizzare. In fondo ogni collina è fatta di platani, tigli, olmi e castagni ma non la definiamo forse alberata e basta?
Sembrava un po' come se loro, parlando di uomini, potessero generalizzarci  nel termine stronzi, ma guai a non fare le dovute peculiari differenze parlando di loro.  In questa Terra di Mezzo in cui io parlavo di donne alle donne, i miei piedoni di hobbit gay non potevano che inciampare rovinosamente. A tutt'oggi mi sono convinto che ci sia una coscienza femminile che  vive in ognuna di loro come parte di una collettività che però vale solo per i suoi membri, una sorta di setta in cui si appartiene tutte ad un culto superiore ma guai a confondersi tra discepole sacerdotesse e “anziane”, e che le vede “come un sol uomo”(curioso gioco di parole?) contro l'invasore maschile, che viene utile al fine di perpetuare la nascita di nuove adepte, ma al quale viene fatto credere di doverne trovare una che sia speciale e unica.
Nel caleidoscopio delle loro unicità io vedevo le mie amiche a turno adottare gli stessi schemi che le avevo sentite definire come non propri. Come quando, per un motivo sempre valido decidevano di uscire tra loro lasciandone una a casa, la quale poi veniva a saperlo da quella che non era una loro amica ma una di quelle che in quei giorni in cui le amiche non le sopporti va anche bene uscirci, e che suppongo non troppo involontariamente non teneva il “grande” segreto! Inutile dire che le rare volte in cui provavo a chiedere cosa mai le spingesse a simili panegirici piuttosto che dirsi in faccia: oggi non ti reggo e ho voglia di non vederti, mi sentivo dire: tu sei il solito sgarbato, in fondo è una mia amica! Oppure magari mentre sorseggiavo con una di loro un succo di frutta al pompelmo, rispondevano al telefono, senza dirsi che erano con me,  tenendolo lontano dall'orecchio per non sorbirsi la stufida dell'altra intercalando con qualche frase adeguata tipo: si certo, no certo, al termine della quale fargli notare che quella era la stessa persona a cui avevano telefonato in lacrime e che se le era sorbite(forse nello stesso modo?) qualche mese prima, sembrava più acido dell'agrume appena spremuto.
Fattori come la libertà individuale, l'affinità elettiva, la carica negativa, sembravano giustificare in egual modo atteggiamenti opposti e in tutto ciò non potevo fare a meno di chiedermi che ruolo avessi. Nella loro setta io ero come l'eunuco negli harem? Privo di quella minacciosa virilità ma in sembianza sufficientemente maschile da poter essere una buona “copertura” venivo lasciato libero di circolare per il loro tempio, e forse per questo privilegio non mi si perdonava la maniera diretta in cui talvolta gli dicevo che più che un tempio mi pareva una palafitta, e per giunta neanche stabile!
Il bello delle donne, è che trovano sempre il modo di riunirsi come le gocce di mercurio del termometro, ed è per questo che si sentono obbligate a dividersi: per il piacere di ritrovarsi come i maschi non sanno fare tra loro. La loro coscienza collettiva le mette in condizione di capire istintivamente che possono essere contraddittorie  singolarmente solo se lo possono anche le altre, che saranno sopportate, perché ne avranno bisogno, solo se sopporteranno le singolarità delle altre. Una sorta di eucaristica comunione che annulla nel mucchio delle “fedeli” l'imperfezione originaria, in un certo senso, quella femminile, è la più grande religione del mondo. Una autentica sorellanza mondiale che si protegge non ammettendo la propria esistenza.
Si, forse ero un privilegiato o uno stupido al servizio di una dea crudele, ma di certo le donne che dicevano che le mie amiche erano una sorta di aliene, avevano amiche con le quali sono certo riproducessero dinamiche simili in modi del tutto unici.  Io ero come tutti i maschi figlio di una di “loro” con la preziosa unicità di essere nato esente dal bisogno di risalire al mio delta e libero quindi di non doverne trovare una su tutte. E per questo in grado di guardarne una per vederle tutte sapendo però che se lo avessi detto, nessuno mi avrebbe potuto credere.

Tacchi e Rintocchi capitolo 16: gallina..nel suo brodo

Questa ricetta sobbolle da secoli, perché da sempre l'ingrediente principale è da viva accusata di essere scema ma da morta pare sia la panacea di tutti i mali. Ma se la Gallina fosse scema davvero perché da sempre le vogliono tirare il collo?  In ogni caso per la mia esperienza va lasciata nel suo brodo che pare abbia effetti corroboranti e calmanti, soprattutto per la gallina stessa, che se “vecchia” lo fa anche buono.
Ingredienti: una gallina di almeno quarantacinque anni che sia sola “come un gambo di sedano”, che va incluso, un po' di aglio contro i vampiri che le girano attorno, decisamente più di una carota che sarà facile trovarle accanto sotto forma di amante clandestino, una corona di alloro se laureata, un ciuffo di amiche presenti come il prezzemolo, una cipolla per facilitarne le lacrime, sale da aggiungere quanto basta poiché non ne ha in zucca, pepe perché tende ad essere apatica.
Preparazione:  per prima cosa la “gallina” va trovata! Potete facilmente trovarle agli happy hour.  Dopodiché, dopo averla lusingata vi seguirà in cucina o in hotel. Criticate il suo guardaroba a fiamma vivace fino a che non saprà più che farsene delle sue piume, anche se esistono galline già depilate che si sentono molto cool.
Una volta che sarà convinta di essere la regina del pollaio, mettetela in una “pentola dei desideri”da sola perché sarebbe capace di litigarsi il posto come se fosse un trono, o aspettate che ci si metta da sola( le galline single sono molto cooperative quando si tratta di farsi cucinare nei propri sogni) Aggiungete la solita carota dietro la quale c'è sempre il bastone, la corona d'alloro degli studi, le lacrime di cipolla, le amiche prezzemolo, la gamba di sedano “sola” e copritela di acqua di rose o benedetta se siete credenti.
Ci sono due tipi di “cottura” per la gallina single, entrambi efficaci: il primo, più facile,  è quello di farla cuocere da fidanzati, il secondo più elaborato ma che rende il brodo più saporito è quello di non esserle amico e rinunciare a capirla...lasciandola nel suo brodo. In entrambi i casi la gallina una volta nella pentola in cui si creda al sicuro,  va incoperchiata ma come già detto è capace di chiudersi da sola il coperchio in testa pur di sentirsi unica.
Lasciate per diversi anni che la gallina si lamenti, pianga, chiacchieri coi ciuffi di prezzemolo sminuendoli o facendoseli vicini, si giuggioli con la carota del beneamato, e tutta presa nell'organizzarsi l'esistenza nella Pentola dei suoi desideri, formerà un brodo denso nel quale lascerà tutti i grassi delle sue illusioni,  finendo per credere che va tutto bene.
 Una volta trascorso questo tempo, fatto di borbotii e progetti e discussioni monotematiche, fatela raffreddare in un luogo molto freddo non cagandola di striscio, fingete se vi pare una pausa di riflessione se il metodo di cottura è quello “da fidanzati”, o lasciatela convinta di poter fare a meno di voi se invece l'avete lasciata cuocere da “amico”. 
Prelevate la patina di illusioni dal “suo brodo” e gettatele nel water insieme a gran parte della sua autostima, e prelevate anche la gallina che di solito apparirà un po' lessa e provata. La carota potete buttarla perché se c'è una cosa di cui la “gallina single” non ha più bisogno dopo aver fatto buon brodo è di una carota molle( nel caso siate fidanzati tanto di più), dopodiché ditele che è troppo magra, o portatela davanti allo specchio dove improvvisamente si accorgerà di essere diventata “vecchia”.
Potete bere il suo brodo, o lasciare che vi ci anneghi come se l'avesse fatto per colpa vostra.
Anche la scienza concorda sulle proprietà rilassanti e curative del brodo di “gallina vecchia”, anche se in fondo è sempre la solita minestra.
Se credete che la gallina che ha fatto buon brodo ci abbia rimesso il cento per cento non conoscete le galline abbastanza bene, perché troverà il modo di credere che ora che è magra e lessa le abbia anche fatto bene la “remise en forme” e tornerà dopo un ragionevole periodo a “sgallinare” agli happy hour. La riconoscerete perché indosserà piumaggi troppo stretti o colorati per confondersi tra le giovani...in quanto alla teoria che sia scema....fate voi.