giovedì 13 dicembre 2012

Quarant'anni nellarmadio di mamma: gli anni Ottanta ultima parte




L'avevo immaginata dalla finestra della “stanzetta” la mia maggiore età e ne avevo circa quattordici quando in quell'angusto stanzino dove mi rintanavo per sfuggire a loro, a Dio e  persino a me stesso, fissavo la finestra che dava sul giardino di casa immaginando di aprirla, o meglio, di passarci attraverso e volare.
Volare via da una famiglia spaccata a metà, volare via dalle domande, dalle risposte dogmatiche della religione, ma soprattutto dall'angoscia che a quell'età si prova per l'uomo che non si è ancora in grado di essere ma che il mondo “dei grandi” pretende  già di vedere in noi. “Farò questo, e quello” dicevo con poca convinzione  ad un uditorio fatto di pupazzi con cui non giocavo più da tempo, ma dai quali non volevo separarmi. Ogni tanto li prendevo tra le mani chiedendomi dove fosse finita la gioia e il conforto che  fino a poco tempo prima, erano in grado di suscitarmi e lentamente capivo che questo era il prezzo di  diventare grande: il silenzio degli amici di infanzia che rendeva inanimato anche me. La perdita dell'indulgenza, semmai ve ne fosse stata per me da parte degli adulti, che ora volevano di certo qualcosa “in cambio” per il tempo concessomi a fantasticare. Ma cosa? Qualunque cosa fosse, includeva per mia madre “come se fosse mia madre” una donna timorata di dio e un matrimonio, e come disse mio padre pochi giorni prima di morire: quelle cose non facevano per me.
Intanto che i Duran Duran si affermavano, insieme a diversi gruppi musicali le cui canzoni occupavano le musicassette che registravo dalla radio, dall'altra parte del mondo,( quella dove  credevo di finire a furia di scavarmi dentro) pacifiche proteste di giovani  in piazza Tiennamen  venivano soppresse nel sangue come sempre accade quando  un regime si oppone ai cambiamenti, di cui i giovani sono “portatori sani”.  Mi sentivo come loro, in un certo senso, ma il mio spirito non era pacifico quanto il loro, né la mia protesta sarebbe stata tanto dignitosa.

Diciotto anni erano arrivati e ora ero solo più colpevole di prima per ogni mia azione, pensiero o volontà che non rispecchiasse le aspettative di chi mi aveva cresciuto, e a sentire lei, anche di Dio, al quale i miei pensieri non potevano essere nascosti. Non c'è da stupirsi quindi se dal momento che la privacy era impossibile, non mi restò altra scelta che manifestarmi quasi apertamente. 
Gli anni ottanta furono il decennio dell'Aids che fu dichiarato pandemia e che con grande furbizia fu attribuito agli omosessuali come “logica conseguenza” della loro condotta, soltanto perché i primi casi in America furono scoperti su alcuni di loro. Immaginate che sollievo fu per mia madre vedersi materializzare la punizione divina, nonostante malattie altrettanto devastanti come la sifilide, prima di trovarne una cura,  avessero già decimato secoli prima, l'umanità eterosessuale ….e promiscua.
Non pensai mi riguardasse, come non lo pensava nessuno allora, e continuai a vivere.

L'avevo seguito quell'uomo incontrato una mattina in centro, l'avevo seguito nel suo ufficio e da li ne ero uscito un po disgustato ma certo che ormai non potevo più tornare indietro.
Non li rividi più quei pantaloni, probabilmente macchiati che non mi curai di ripulire perché in fondo volevo che lo sapessero. Ma ora che le peggiori paure di mia madre “come se fosse mia madre” si erano concretizzate, sotto forma di sporco biologico( non ho mai capito come ne riconobbe l'origine)  non mi restava che parlarne. Affrontai quello sguardo di disgusto nei suoi occhi, e gli dissi la verità senza nessuna garanzia di sopravvivere alla sua disapprovazione o a quella divina che fosse, e in fondo non cambiò nulla tra noi.  L'unica differenza era nell'opinione che “gli altri” si sarebbero fatti di lei,  venendolo a sapere. Questa la sua unica preoccupazione. Non mi parlò mai della possibilità ad esempio, che fossi potuto diventare sieropositivo, cosa che credo la preoccupasse molto meno data la sua ignoranza, o che quello non fosse amore.
La comunità religiosa a cui lei mi costrinse seppur senza dirmelo, a confessare i miei peccati prese i suoi provvedimenti ed io affrontai il mio tribunale. Un tribunale umano, fatto di vecchi senza più passioni e di giovani uomini  pieni di pregiudizi e desiderosi solo di mostrarsi virtuosi in vista di un futuro incarico o nomina. Il tutto nel nome di un Padre di un Figlio e di uno Spirito Santo che dubito si trovassero proprio li. Il verdetto chiaro: Colpevole poiché non pentito dei suoi errori. 
Di cosa pentirsi? Di quale misfatto se non quello di buttarsi via, solo per un po di calore umano? Perché di come si vive se stessi quando si è costretti a giustificarsi, nascondersi, camuffarsi non importa a nessuno. Nessuno sente la colpa di spingerti nel baratro della scarsità di autostima, preludio dell'autodistruzione, ma tutti ne attendono l'evidenza per la quale saremo di nuovo gli unici colpevoli.
Mio padre fu tenuto all'oscuro di tutto, mio fratello ebbe la sua occasione di farsi largo, ora che era certo che nessuno avrebbe saputo le cose odiose che mi aveva fatto, e mia madre aveva la  croce tanto agognata da ogni stupido martire.
Io ebbi  la mia libertà. Non fu indolore ovviamente, perché all'interno di quella comunità mi ero fatto delle amicizie, e la mia espulsione  includeva la netta impossibilità a frequentarci, fino a quando almeno non avessi completato il percorso di redenzione. Percorso che per il momento non desideravo intraprendere.
La libertà, così diversa da come me l'ero immaginata,  mi portò nel mondo degli “altri”. Fuori dal soffocante Eden famigliare, scoprii che il termine “mondo”, furbescamente usato dalla comunità religiosa, era usato perché efficace metafore di una vastità da temere, dalla quale fuggire al facile rifugio dei dogmi e dell'appartenenza. Invece, per me la vastità si associava alla quantità di scelte possibili, di opportunità che non senza la tipica ingenuità dei “catechizzati” mi apprestavo ad esplorare.
 In quel tempo di mezzo conobbi lei: Daniela.
Daniela era una ragazza qualsiasi, che conobbi una domenica pomeriggio passeggiando per il centro da solo, ma che ebbe la faccia tosta di rivolgermi la parola, immagino si comportassero così le ragazze, che sapessero ciò che volevano e lei voleva conoscermi. Non era bella Daniela ma era determinata e libera e in un periodo in cui nessuno sembrava gradire la mia presenza, e in cui affermare la mia differenza era difficile, mi lasciai lusingare dalla sua attrazione per me. Con lei e con gli amici di “piazzetta”, che a quel punto ero libero di frequentare, andai al mare quell'estate e fu divertente “avere una ragazza”. Il modo in cui il mondo tutto ti considera quando sei conforme alle sue aspettative è una lusinga difficile da rifiutare, come lo erano i suoi baci salati, ma a Daniela cominciò a non bastare, come non bastava al suo corpo, il succinto costume sgambato.  Il bomber di seta cotta evidentemente mi rendeva irresistibile, per una ragazza di provincia.
Mia madre come se fosse mia madre sembrava sollevata quando le dissi di lei, e purché fosse una ragazza fece deroga alle  sue regole che mi volevano fidanzato con una “buona cristiana”, credo che pensasse che in fondo, qualcosa si potesse ancora salvare della facciata, e si mostrò con lei molto più carina di quanto mi sarei aspettato. Che falsità era capace di approntare pur di “sistemarmi”!
Ma la storia durò poco, Daniela voleva fare sesso come tutte le ragazze della sua età e io dopo aver procrastinato come potevo, mi feci lasciare o la lasciai non ricordo, del resto, delle donne sapevo poco se non la squallida immagine del loro apparato riproduttivo interno vista nell'enciclopedia, e  qualche immagine pornografica  di nudo abbandonata nel parco. Entrambi devo dire affatto attraenti.
Gli anni Ottanta stavano finendo e anche se la vita dei jeans era ancora molto alta, si poteva dire concluso un periodo storico in cui tutti noi avevamo vissuto fuori dalle nostre reali possibilità: mio fratello “come se fosse mio fratello”, si fidanzò con la sua futura moglie, suggellando la sua “inviolabile normalità”, mio padre in silenzio si ammalò di cancro, la Maria Luisa faceva la samaritana seriale e  alla televisione guardavamo  un programma  che si intitolava  “Fantastico”.   
L'armadio di mia mamma, vide l'ingresso di un capotto grigio  a vestaglia lungo con le spalline come usava a quell'epoca, e come un intruso là nel buio di quei capi io aspettavo ancora che le ante si spalancassero e facessero entrare la luce di un amore incondizionato come quello di Dio per suo Figlio, e che francamente mi domandavo perché,  lei  non potesse provare per me.
Alla fine di quell'anno senza Natale, rientrai nei ranghi dai quali ero uscito per renderle chiaro che l'amavo più di me stesso, e ottenni solo di aver fatto “il mio dovere”. Mi dissi pentito e mi accorsi che Dio non era tra noi o io ero un attore magnifico.
Un biglietto freddo nella scrivania della stanzetta recitava:  ora sei il figlio che ho sempre desiderato avere.


I miei vestiti dark finirono nella spazzatura, e orribili maglioni disegno jaquard li sostituirono rendendomi veramente buio. Ma per fortuna, stavamo entrando negli anni Novanta!

martedì 4 dicembre 2012

Quarant'anni nell'armadio di mamma: gli anni ottanta seconda parte








Senza neanche uno straccio di parola, posò la sua borsa di pelle nera con le borchie sul banco di quella maledetta prima liceo, il mio banco, si voltò verso di me e da sotto un ciuffo riccio  rosso semaforo, due occhietti azzurri  mi fissarono inespressivi ma brillanti.
Ciao- dissi incantato dal suo trucco insufficiente a coprire un acne abbastanza vistosa-  vuoi sederti? 
Come se una così aspettasse il mio permesso.
La Simona rispecchiava follemente gli anni ottanta a differenza mia che al massimo sembravo un profugo dell'Est pachistano, in quanto tutto di lei, trasmetteva il desiderio di libertà individuale tipico di quegli anni. Credo che quella ragazza fosse, con quel suo fare lento e la voce che non superò mai la soglia acustica del sussurro, la persona più menefreghista delle convenzioni che avessi mai visto. Quindi la amai.
Lei sembrava ricambiare la mia predilezione, e mi insegnò tutto ciò che una cattiva ragazza può insegnare al suo stupido bambolotto, come  fumare, bere whisky mischiato alla cenere di sigaretta ( droga da poveri che mi fece rifuggire gli alcolici a vita) da un thermos, depilarsi le sopracciglia, vestirsi dark, e ascoltare i Culture Club,  solo per dirne alcuni.
Per lei avrei fatto di tutto, infatti mi depilai le sopracciglia e mi feci truccare tipo Boy George. Ma Do you really want to hurt me, dovetti chiederlo al Preside che mi sospese. Fui rimandato quell'anno ma con la Simona scoprii il fascino del centro storico e dei negozi che vendevano le Creeper il primo oggetto del desiderio di ogni dark, le famose scarpe appuntite con la suola di gomma rigata alta una spanna!
La mia svolta dark andò pari passo con la follia mistica di mia madre “come se fosse mia madre”, quindi mentre lei imparava qualcosa su Satana il Diavolo dai suoi fratelli di fede, io cominciai (per non deluderla) a impersonarne l'aspetto, incorrendo così anche in una sorta di “segnalazione” presso gli anziani della comunità religiosa che credo mi considerassero prossimo alla “possessione diabolica”.
A me giravano solo le palle, e come ogni adolescente mi tenevo tutto dentro, ma l'impressione in quegli anni fu che mia madre “come se fosse mia madre” cominciasse a non considerarmi più “come se fossi suo figlio” ma piuttosto come se fossi una pietra d'inciampo. Fa niente se il primo a farmi sgambetto fu proprio mio fratello “come se fosse mio fratello” il giorno che per umiliarmi mi fece entrare in camera sua abbassandosi i pantaloni,  fatto che poi fu del tutto nascosto proprio da mia madre, la quale passò gli anni successivi ad esorcizzarmi facendomi credere di essermelo inventato. Non fu quello a farmi diventare gay, ma direi che quello avrebbe reso  il mio futuro coming out, una perfetta scusa per tutti! Ormai ero quello strano, il ragazzo sbagliato.
Era il 1985 quando mi ritirai dagli studi, vuoi perché la bocciatura della Simona ci divise, vuoi perché data la fine imminente del mondo anche la Marialuisa non era propensa a farmi diventare un genio, ma di fatto rimasi a casa e mio padre fu chiaro: se non volevo studiare dovevo fare qualcos'altro. Non fosse altro che per ripararmi dai rischi che avrei corso bighellonando in quegli anni. Rischi che allora si chiamavano Eroina!
Siccome ero minorenne non potevo essere assunto, quindi per non marcire in casa nella “stanzetta”( un ripostiglio adibito a stanza dei giochi quand'ero bambino) tipo Harry Potter, quei Babbani dei miei mi mandarono dalla nipote di mio padre a fare l'apprendista pasticciere. La famiglia di mio padre era una famiglia normale in cui si lavorava di giorno, la notte  si giocava a carte a soldi, e si faceva sesso prima del matrimonio, e fu un sollievo stare un po' in loro compagnia...
In centro, paninari e dark se le suonavano di santa ragione, e aprivano i primi Fast Food in stile americano. La mia vita era un vero casino, in settimana tentavo di essere dark ma dovevo leggere la Bibbia e andare con mia madre dalla nonna, la domenica ascoltavo la “Superclassifica show alla radio per sentire i Culture Club di Boy George e mentre Cindy Lauper cantava “Time after time” il tempo sembrava non finire mai alla funzione domenicale obbligata, vestito come un impiegato in giacca e cravatta.
Camminavo come un equilibrista tra sacro e profano, in un sottile filo che mi separava dal vuoto. Io volevo compiacere mia madre, ma una sorta di insofferenza nel non riuscirci mai abbastanza mi squilibrava più dell'adolescenza stessa.
Mio padre ci considerava tutti degli scemi e aveva ragione ma non poteva opporsi alla “illuminazione” della Marialuisa, né tanto meno mettere una bomba sulla via di Damasco che lei aveva intenzione di farci intraprendere tutti “per il nostro bene” ma soprattutto per la sua tranquillità e il suo bisogno di sentirsi giusta. Comunque di fatto lui non si convertì nemmeno in punto di morte cosa che me ne rende il ricordo un fulgido esempio di vera integrità.
Negli anni Ottanta, tutte le ideologie precedenti vennero messe in discussione e il guadagno e la realizzazione personale divennero il nuovo oppio dei popoli, non a caso la conversione fondamentalista in atto a casa nostra rispecchiava la lentezza con cui gli esseri umani si adattano ai cambiamenti in atto, e il loro patetico rifugio in regole più rigide ancora. La società si trasformava più velocemente di come le famiglie erano in grado di fare, men che meno la mia, che di famiglia aveva già poco.
Noi eravamo più che altro una amalgama di persone incompatibili che cercavano di fondersi come l'acqua e l'olio. Pur essendo entrambi simili si separano e noi pur essendo due ragazzi e due genitori non potevamo che “sembrare”una famiglia.
A sedici anni, il mio corpo esile e lungo era oggetto di molta attenzione, perché posso dirlo ero proprio un bel ragazzino. Avevo anche i capelli che persi verso i vent'anni  credo per l'esaurimento che inconsapevolmente mi venne nel tentativo di essere amato da una “santa”, ma a parte i dettagli mi rendevo conto di piacere e questo dato che piacevo alle ragazze ma anche agli uomini, fu un altro passaggio difficile da gestire. Con  quale dei due fare la propria prima volta? 
Ne avrei avute due di prime volte, entrambe piuttosto deludenti come tutte le prime volte.
Finito il tempo della pasticceria e dei pasticci, mi iscrissi ad un tristissimo corso regionale blablabla, e conobbi li altre due icone della mia gioventù: La Cinzia e L'Armanda. Cinzia era bionda bellissima con un seno minuscolo che pur  non necessitando di sostegni sapeva farsi notare da sotto i suoi maglioncini a v altrettanto minuscoli, capelli biondi e risatina, completavano il quadretto della perfetta ochetta ma in realtà la ragazza era una personificazione della moderna emancipazione femminile. Fumatrice accanita e indipendente abitava da sola e aveva l'aria di chi sapeva cavarsela. L'Armanda invece era la sorella maggiore e filiforme della famosa Gilda della terza media, ma a differenza della sorella vestiva new wave che era la versione glamour dei dark( Un dark per ricchi). Così alle otto del mattino la vedevi arrivare con l'immancabile gonna a sirena, calze a rete e tacchi di vernice nera, con capelli ricci  naturali e voluminosi unghie nere e trucco pesantissimo, eppure la sensazione era quella di vederla uscita da una copertina di avanguardia.
Formammo subito un trio inviolabile anche se non ho idea di cosa ci facessi tra Calamity Jane e Elvira la Vampira, visto che il mio aspetto continuava ad essere più simile a un incrocio tra Capitan Harlock e gatto Silvestro! A quel corso di recupero per sfigati non avevamo tutti la stessa età ma la stessa confusione mentale, infatti, c'era pure Simone un uomo di una trentina d'anni moro con gli occhi blu che nel vano tentativo di concupire la Cinzia dispensava qualche manata anche a me, con mia grande soddisfazione, ma che ci tengo a dirlo,  andò in bianco con entrambi.
Con loro ottenni di andare al mio primo concerto rock. Gli Europe cantavano “The final countdown” (il conto alla rovescia finale), e mia madre “come se fosse mia madre” cedette solo perché ci andavo con ben due ragazze, e penso perché il titolo di quel concerto si abbinava in modo ipnotico alle sue recenti convinzioni! Fu stupendo anche se non ricordo nulla tranne la sensazione di enorme liberazione che provai saltando e cantando a squarciagola con la birra in mano!
Gioie da poco, il corso finì, la Cinzia tentò di sedurmi fingendosi malata a casa e invitandomi ad andare da lei che era poco vestita quando mi aprì la porta, ed io, risolsi il tutto gettandole una coperta addosso e facendole mille discorsi sui rischi della polmonite.
Non ci sarebbe più stato un periodo in cui cose tanto stupefacenti sarebbero accadute tutte insieme e con lo stupore e i drammi che le cose nuove portano con se. Di questo ne sarei stato consapevole molto tempo dopo.
Del resto la fine degli anni ottanta avrebbe segnato una svolta epocale per il “ragazzo strano”. Avrei raggiunto la maggiore età dopo averla immaginata in mille modi diversi, come diverso fu il modo in cui la raggiunsi.


Segue....