martedì 25 settembre 2012

Lussi Estremi3: coguare e ghéipardi, quando la natura non sa quello che fa!


“Cosa vuoi che voglia per te? Che tu abbia una moglie e dei figli, perché questa è la vita normale, non altro sai”?
Così tanti anni fa, vincendo un certo imbarazzo nel parlare di abitudini sessuali, mi scriveva la mia genitrice, non chiarendo se le abitudini sessuali normali fossero meno noiose di una qualunque altra abitudine. L'ossessione della normalità non ha afflitto solo chi si sentiva diverso, anzi mi viene da pensare che fosse più difficile da sostenere per chi la concepiva come unica possibile!
I più grandi sostenitori della famiglia naturale, hanno infatti l'aria di chi sopportando un grosso peso , cerca di sentirne meno la spinta gravitazionale verso terra, un po' come quando carico di borse della spesa sono solito dirmi che se ne ho quattro, e ne tengo due per mano, mi pesino meno!
Tuttavia, proprio questi hanno dovuto impegnarsi su fronti diversi, in quanto mentre strenuamente difendevano l'ordine costituito, ne sgasavano i fumi soffocanti in amene compagnie clandestine o con doppie vite talora virtuali o reali.
Si cominciò così a vedere che se la famiglia era un valore da difendere, come tale era anche soggetto alla naturale tendenza umana all'accumulo, infatti, certuni di famiglie cominciarono ad averne più di una nella stessa vita.
 Le prime vittime di tale fenomeno, che dei social network faceva il naturale terreno di caccia, furono proprio le donne. Quelle donne che vuoi indaffarate tra cambusa e stireria, o scrivanie e governanti, ritenevano di essere “a posto”. Certune, più indagatrici di altre cominciarono a beccare il naturale marito, in strane conversazioni cellulari o in rete, o a concedersi piacevoli escursioni in video chat, mentre altre di solito più benestanti  stufe di fingere naturale il fatto, che il marito imprenditore incontrasse i clienti a mezzanotte per parlare di lavoro fino a mattina,e di consolarsi con lo shopping, cominciarono a concedersi un Toy boy. Per un periodo di assestamento geologico nello strato di mogli e amanti, il conflitto fu tutto interno proprio alla famiglia naturale, con qualche eruzione “divorzista” o un bradisismo della struttura familiare verso la “separazione in casa”. Ma le donne, cominciarono a pensare che ci doveva essere qualcosa di molto gratificante,  che né il divorzio ne la separazione, (che ancora le figurava comunque come mogli) poteva dargli, qualcosa che lenisse meglio di un assegno, la propria perdita. Qualcosa di più interessante di una cinquantina di sfumature del solito grigio.
Così, che si trattasse di ex o di single le donne svilupparono creativamente una nuova “specie” sociale: le Coguare!
Diverse dal “lumacone coniugale”, il quale invischia le prede con la sua bava vittimistica e l'aria innocua e fragile, le coguare si inseriscono tra i predatori audaci della savana sociale. Grazie all'estinzione del “Leone di Riccione”(tipico maschio piacione abbronzato e tamarro), e alla già pacificata “procreazione”, si concentrarono su prede facili come “l'Impala impalato”( giovane ed energico maschio imberbe dai muscoli allungati). Pioniere di questa nuova rivalsa, celebri star hollywoodiane, mostrarono a tutte i prodigi mimentici che la chirurgia estetica poteva offrire affinchè la caccia fosse più efficace! Anche coloro che non potevano permettersela però intuirono che se una donna matura doveva risultare letale era necessario che apparisse innocua come una ragazzina, quindi il mimetismo nei livelli sociali più bassi si espresse con l'abbigliamento rubato dall'armadio delle figlie adolescenti, e il timbro di qualche discoteca sulla mano.
Funzionò eccome se funzionò! Branchi di Impala impalati furono letteralmente ghermiti dalle coguare e schiavizzati a suon di zumba dance ombelicali e pranzi e motel pagati, ma si sa che la natura, come dice mia madre sa quello che fa, e le coguare ben presto accoppiandosi con gli impala impalati generarono una nuova ibridazione famigliare: il branco allargato o più conosciuto come la famiglia “volemose bene, finché dura”.
Nel frattempo però, intanto che la famiglia tradizionale creava nuove tradizioni, (curioso come il termine tradi-zionale, sia del tutto simile al termine tradi-mento), la specie “Ghèi Ridens”che fino ad allora si era salvata dall'estinzione accoppiandosi dietro ai cespugli dei parchi pubblici, reclamò il suo posto nella Savana Sociale, e nonostante qualche rumorosa opposizione da parte dei “pappagalli porporati”, riuscì a costruirsi un habitat nelle rovine della famiglia tradi-zionale, ri-arredando con un certo gusto per l'eccesso le abitazioni lasciate sfitte dai lumaconi e dalle coguare( che si adattarono a più modesti appartamenti). Ma i Ghéi Ridens  non riuscivano a fare i cuccioli, nonostante ci provassero non sai quanto,  tranne alcune varietà americane che parevano capaci di convincere alcune femmine a partorirli per loro, forse per osmosi.
Come per i dinosauri, ogni specie emergente dalla brodaglia primordial-tradizionale sente la minaccia di una probabile estinzione, dovuta ad un meteorite Vaticano, o al semplice scatto evolutivo di una specie superiore, e coguare e ghèi ridens confidavano per la propria sopravvivenza nello scarso conflitto per la “preda” che la natura gli aveva concesso.
Questo fino a quando, proprio mentre le coguare si sentivano al sicuro, alcuni ghèi ridens furono affetti da una inspiegabile malattia autoimmune: la paternità.
Questo gene che il “lumacone coniugale” aveva inibito, e che gli “Impala impalati” invece subivano per volontà delle coguare, mutò la specie ghèi ridens in una specie polimorfa assai micidiale per entrembe le specie: il ghèipardo( l'anagramma del suffisso pardo farebbe padro).
Mancandogli una E e avendo invece una O il ghèipardo non poteva essere padre a meno che non trovasse una compagna con il gene a lui mancante con cui accoppiarsi.
Mia madre aveva torto. La natura non sa quello che fa, il sospetto è che lasci fare, che faccia come lei, che continui a fare quello che ha sempre fatto, mentre il caos genera la novità. 
L'appetito sessuale del ghèipardo che per la prima fase della sua vita si rivolge ancora verso i suoi simili lo spinge però ad indugiare nella ricerca della prole, e a sentirsi a disagio nella livrea della sua specie d'origine. Infatti sebbene mantenga i colori del Ghèi Ridens, e il suo gusto per il maculato, il ghèipardo si mimetizza tra la savana sociale, assumendo il passo dell'Impala e rifiutando il branco come le coguare. Annoiato dalla facilità con cui si può essere ghéi ridens, e smanioso di ottenere il potere delle coguare, il ghèipardo si propone come antigenere.
Cacciatore solitario, adora circondarsi di ogni creatura, dal momento che non riuscendo a classificarlo, nessuna specie si sente da lui minacciato. Libero si aggira tra gli habitat più disparati riuscendo a passare quasi inosservato, nei mercatini, nei centri commerciali negli spazi di design, e persino in chiesa. Solo la “ Gina Bradipa” è in grado di destare il suo interesse!
Data l'immobilità anche mentale di cui questa mutazione di struzzo femmina è capace,( di cui conserva l'abitudine di mettere la testa sotto la sabbia anche di fronte all'evidenza)  non è facile scorgerla e il ghèipardo ricorre per stanarla al suo miglior sistema! Tra mille pollastre rumorose che gli girano intorno lei è l'unica in grado di non eccitarsi ai suoi ruggiti!
Dopo aver allontanto le altre specie il ghèipardo mostra alla gina bradipa tutta la sua femminilità, accudendola per un periodo piuttosto breve in tutto e per tutto, inoltre, secerne per lei dalle sue ghiandole fashion un guardaroba piumato con cui le garantisce la supremazia sulle altre. La gina bradipa per sua natura, non si oppone ma emette qua e la flebili sussurri di gradimento più simili a lamentele e quando il gheipardo è pronto la feconda intanto che lei si finge addormentata. Dopo nove mesi il ghéipardo diventa ghéi-padre. Generalmente la Gina Bradipa, non accudisce il cucciolo avendo lei donato il gene E al suo compagno, ma questi per un certo periodo le consente di rimanere nel nido tutta bella, impiumata, e mantenuta.
Non ci è dato sapere quale evoluzione farà questa nuova generazione di cuccioli, ma presto la specie Ghèi Ridens sarà archiviata come le Coguare, e il Lumacone coniugale. Presentate nei manuali scientifici come semplici transizioni evolutive, ancor prima che io e mia madre riusciremo a sciogliere la questione, o che i gay vengano accettati da Chiesa e Stato.
 Di una cosa potete star certi, che grazie alla distrazione con cui la natura sa quello che fa, non ci estingueremo nemmeno se i maya avessero ragione, nemmeno “se tutti fossero come te”, come dice mia madre. La perfetta condanna che questa strana umanità davvero merita è la frustrazione dei suoi tentativi di affermarsi come unico “genere superiore”. La frustrazione di chiedere e  ottenere una parità intanto che si continua come cellule impazzite a dividerci e a creare più velocemente di quanto siamo in grado di scorgere, nuove varietà umane e comportamentali sulle quali pretendere una conoscenza che ci resterà ignota. 
 E  sapete che penso? Sarebbe fantastico se il castigo fosse eterno, non credete?

martedì 18 settembre 2012

Lussi estremi 2: L'Utopicizia.



Non ricordo chi disse che l'essere umano ha bisogno delle illusioni quanto della realtà, ma deve essere vero, poiché da sempre favole e leggende nutrono la nostra immaginazione da piccoli e poi da grandi, trasformandosi in luoghi comuni proverbi e pregiudizi basati su una qualche saggezza antica, continuano a influenzare le nostre scelte, gusti, e norme sociali.
In genere, le illusioni e la realtà, appartengono allo stesso mondo, quello della “percezione”, nonostante si dica che la differenza tra loro sia data dalla spiegazione razionale, che non trova applicazione pratica nelle illusioni.

Ma più continuo a vivere più ne dubito, probabilmente a causa di ciò che credo reale, o di ciò che mi illudo debba esserlo. Una delle mie preferite illusioni è la famiglia, ed è anche la prima in cui l'ingresso della realtà ne ha ridefinito il concetto di “possibile applicazione pratica”.
L'illusione di essere al sicuro, mi fu prima instillata con il racconto “reale” del come ero diventato figlio non biologico di un genitore, dopodiché l'illusione che non facesse differenza fu presto accolta a causa del reciproco bisogno di accudimento. Prima di divagare con inutili vicende personali, di cui nulla salverei se non la velocità del tempo con cui sono già “passato”, voglio però chiarire, che dovetti vivere “realmente” in modo da “illudere” me stesso di essere finalmente salvo, per tanti di quegli anni, che cominciai a valutare inutile la fatica di distinguere l'una dall'altra. Ragion di più che entrambe le percezioni provocavano reazioni identiche, e cioè “cambiamenti”. Ma questo, è ancora frutto dell'illusione di aver capito.
La seconda illusione che adoro e di cui ho realmente bisogno, è l'amicizia. Quel sentimento di solidarietà con un essere umano “scelto” che si sviluppa attraverso un percorso ad ostacoli chiamato conoscenza, non privo di cadute ed errori anche grossolani, ma con momenti di assoluta ammissione di colpa e concessione di perdono, e che si consolida tramite la tenera accettazione che in fondo i difetti dell'amico siano ciò che lo rende tanto caro, ma i cui valori lo rendono affidabile a tal punto da considerare che nulla sia insuperabile tra noi.

In questa mini collana intitolata -lussi estremi- intendo indagare su alcune distorsioni di quelli che erano valori fondanti delle relazioni umane, distorsioni insediatesi tramite l'uso, e l'abuso di social network. Devo però anche chiarire che non considero la tecnologia responsabile della distorsione in atto, ma quantomeno fornitore di valori surrogati che sono stati accolti talmente bene da aver modificato radicalmente la visione di ciò che realmente è il socializzare, e imposto perciò nuovi codici di percezione e azione che illudono i soggetti di poter gestire un sentimento in modo più pratico”.

Mentre una volta, la mamma di una mia cara amica, era solita dire: prendi l'amico tuo col difetto suo, intendendo con questo che una parte di “disfunzionalità” doveva essere considerata sopportabile in un amico, oggi , che gli amici si trovano e si frequentano on line, questa disfunzione non è più consentita. Sms e messaggerie, così come i profili facebook e twitter, consentono di analizzare il prodotto “amico”, tramite il genere di bisogno per il quale si intende averne l'amicizia. Ora mi direte che non è vero, che le scelte non sono così opportunistiche, che è una ovvietà cinica dovuta al mio percorso personale. Ma provate a chiedervi quand'è l'ultima volta in cui avete potuto scrivere sotto il post di una vostra amica che ciò che scriveva era una stronzata, senza vedervi arrivare un messaggio di posta privata in cui vi fa un mazzo di dimensioni atomiche? O ancora meglio, quante volte avreste voluto dirglielo ma qualcosa vi ha fermato?
Infatti, si scontrano sullo stesso presupposto di libertà due correnti diverse: quella di chi posta e quella di chi commenta. L'uno ritiene di condividere un pensiero, l'altro di poterlo sindacare o ampliare o comunque discutere. Illusione o realtà? Anche qui entrambe, poiché se è vero che chi posta un commento specie se personale( per quanto mi faccia ridere considerare un post in rete “personale”),realmente vuole provocare consensi, chi lo commenta può illudersi di negargli tale aspettativa come parte di un processo più creativo. Allora di cosa si tratta? Di Utopie, cioè di concetti che non si possono ridurre a pratiche esecuzioni.
Ricordo a tal proposito quella volta in cui, pubblicai una frase qualsiasi, e due dei miei “utomici”(amici utopici), cominciarono a scambiarsi commenti sempre più spinti, peraltro divagando assai dall'argomento(illusione di gestione). Dopo averli pregati di moderarsi o di considerare l'ipotesi di usare le proprie bacheche per farlo senza freni, fui tacciato di negargli la libertà d'espressione(diritto reale inalienabile, quanto utopico), fino a quando cercai di fargli notare che nemmeno loro in occasioni simili avevano gradito questa libertà da parte di altri. Bene, per farla breve, la risposta di uno di questi fu: “io, quando qualcuno esagera lo elimino”.

Mi dissi che l'idea era ottima e cominciai da lui stesso, non senza aver prima tentato una telefonata che rimase senza risposta. Non avete idea della valanga di insulti da cui fui inondato, con mio immenso stupore. Ma come? Me lo aveva suggerito lui stesso, e nemmeno mi aveva risposto al telefono, eppure non riteneva che io avessi il diritto di farlo proprio a lui.
Ecco come scoprii che molte delle persone che si “accettano” come amici nei social network in realtà non lo fanno affatto! L'Utopicizia è ciò che li lega davvero, cioè la utopica percezione di una amicizia sempre funzionale e compiacente, che mai gli rispedirà un feedback negativo sulle sue azioni.
L'utopicizia, è una reale percezione dell'antico valore dell'amicizia privato del suo naturale confronto, ormai nemmeno più buono per i detersivi. Ognuno crea la sua lista di “utomici”, che possono solo compiacere di “mi piace” ogni suo gesto, ma è nelle bacheche degli altri che invece va a perorare il diritto di fare e dire ciò che meglio gli viene. Un po' come i surfisti australiani che vanno ad insozzare le spiagge di Bali, poiché nelle proprie ci tengono a mantenere una certa immagine!
Se prima con una amica, si discuteva fino a chiarimento, o frattura, adesso è sufficiente “bloccarla” e questa non solo non avrà una spiegazione, ma ci eviterà di dargliela! L'ostracismo virtuale di cui la renderemo oggetto potrà poi essere revocato, e tutto ricomincerà come se non fosse mai accaduto nulla. Non è fantastico? Basta con le discussioni sincere, con i confronti fuori dai denti, con le inutili pretese di scuse, tutte illusioni costosissime che nessuno ha più tempo e voglia di affrontare realmente.
Sempre più spesso sento dirmi, a fronte di un qualche scontro, questa frase: non mi è mai successo con nessuno. Una frase che di per sé mi fa venire il dubbio di essere proprio uno stronzo, ma poi ci penso e capisco che è possibile!
E' possibile che io sia stronzo, come che lo sia tu qualche volta, ma ciò che davvero non è possibile, è che non accada mai di litigare tra amici, a meno che non si coltivino Utopicizie!

Così, in un mondo di illusioni e realtà Amicizia incontrò Utopia in rete, si scambiarono un click, qualche post e fu subito scintilla. Glielo aveva detto Realtà, di stare attenti , che il loro amore virtuale era solo un illusione...ma non vollero ascoltarla. Trovarono un buon server e un piano tariffario per cominciare la loro vita insieme, e dopo nove megabyte misero al modo la giovane Utopicizia!
Guardandola nella sua culla di megapixel, Amicizia e Utopia, il cui amore a prima vista, fu considerato sconveniente, pensarono la stessa cosa: Questa creatura farà molta strada tra gli uomini!

mercoledì 12 settembre 2012

Lussi "estremi": L'orfanesimo


Ci sono persone talentuose che sanno fare di ogni circostanza un occasione. Ma per cosa?
Tutti crediamo di crescere, di emanciparci da uno stato all'altro, o di volgerci comunque verso una più nitida immagine di noi stessi, ma in tempi in cui l'immagine ha violentemente preso il sopravvento sulla personalità, questo percorso peraltro impervio da sempre, non è più tanto scontato.
Ovvero, prima dell'avvento della rete, il proprio profilo, era si qualcosa che si sceglieva anche allora come il “migliore” da mostrare, ma il massimo a cui si poteva aspirare, restava nient'altro che una eccellente istantanea, e tra l'altro avere un buon profilo non era cosa da tutti.
Le persone che provenivano da ambienti culturalmente elevati, lo tenevano basso in quanto era già sufficiente ad un uomo, un buon titolo, per incutere il timore e la distanza necessari, mentre per le donne era il cognome,(specie se acquisito dal matrimonio) a fare la differenza.
Il resto del mondo si divideva tra lavoratori sottoposti, sciagurati e orfani.
Questi ultimi, da sempre hanno nutrito l'immaginario letterario, per la terribile sorte che li rendeva tali, ispirato racconti pieni di desiderio di riscatto e lieti fini, o tragici finali considerati l'ineluttabile destino degli sbandati. Ciò che rende l'orfano una figura misteriosa deve risiedere nella frattura che il non avere i genitori crea nelle certezze delle società di tutti i tempi. Mi spiego meglio. Ogni società che forma nuclei familiari si aspetta che i suoi “piccoli” vengano indirizzati dalle famiglie verso un ruolo produttivo a vantaggio della collettività. Delle pagine bianche su cui i genitori avrebbero il diritto/dovere di imprimere la propria “firma”. Di conseguenza un orfano sarebbe una pagina bianca su cui chiunque potrebbe scarabocchiare. L'assioma secondo cui i genitori “sviluppano” il figlio, spezzandosi genera caos, e il caos è da sempre frutto di angosce e mistero.
Solo nelle epoche più recenti un certo caos è stato sdoganato come creativo, anche se già le teorie darwiniane vorrebbero il caos come “inizio” di una evoluzione migliore.
Comunque ciò che suscita maggiore emotività, è che l'orfano subisce una perdita incolmabile e riceve per questo un segno meno sul suo ipotetico valore futuro, e produttività sociale.
Il senso della perdita come la personalità è stato centrifugato dai mezzi di comunicazione, finendo per assumere connotazioni alquanto curiose.
Oggi più della felicità, o di ciò che si raggiunge di buono i social network sono invasi da post riguardanti ciò che le persone ritengono di aver perduto, o di non avere avuto, in parte a causa del fatto che si è imparato a considerare ciò che abbiamo come un diritto inalienabile frutto di un qualche merito indiscusso. Per tale motivo ci sono una marea di persone afflitte da ciò che il dizionario definisce come orfanezza!
Il senso cioè di “non avere”. Dato che ormai ogni persona ad ogni strato sociale può avere un profilo su Internet, questo ha generato la sensazione di essere tutti “visibili”, e in qualche modo dovrebbe avere contribuito a evitare l'isolamento e il senso di mancanza di affetti o relazioni.
Abbiamo invece trovato di nuovo il modo di concentrarci su ciò che conta di meno. Risolto il problema di “essere” con il surrogato social di “apparire connesi”, ora siamo desiderosi di avere.
Ecco, che magari dopo un ventennio trascorso a tentare di essere qualcuno, capiti pure di riuscirci e dato il progresso anche di farlo sapere a tutti, ma invece di ritrovare equilibrio ci si trovi a lamentarsi di aver perduto qualcuno o qualcosa. Come se perdere uno o entrambi i genitori dopo i quarant'anni fosse una terribile ingiustizia che il destino non doveva riservarci! Ma mi chiedo: che ne è del naturale percorso della vita?
Fino a che età un uomo o una donna possono considerarsi orfani? Di solito il termine è riferito a minorenni, date le implicazioni, ma tuttavia ci si può trovare senza genitori a qualunque età. Qual'è dunque, la profonda differenza?
Decisamente la confusione nasce tra la profonda differenza tra essere adulti o meno. Se ci considerassimo sempre giovani bocciuoli, ancora da schiudersi, la sensazione di orfanezza prenderebbe il sopravvento sulla “perdita naturale”, anche oltre l'età in cui è sensato dirsi tali. L'orfano si chiede cosa ancora poteva imparare, quali necessarie malizie il suo genitore poteva insegnargli circa la vita e i suoi complessi misteri, e specie se giovane può sentirsi sprovvisto dei fondamentali strumenti necessari a timonare la sua personalità, nel mare della vita, o ancora dubitare che qualcuno lo ami davvero. Ma se a dichiararsi orfano è una persona adulta, di cosa si sta parlando? Di rimpianti o di rimorsi?
Temo che le definizioni che imperano sui social network, abbiano stravolto le concezioni e lo scandire del tempo. Così ci si riunisce e ci si chiede l'amicizia, come se un click bastasse, dopodiché si presenta il proprio miglior profilo, e si afferma l'immagine che intendiamo diffondere di noi o di ciò che facciamo. Alcuni selezionano per compiacenza, numero di contatti, reali conoscenze, opportunità e sa Dio cos'altro...Tutti si ritengono giovani belli e di successo, e accolgono solo coloro che glielo confermano.
Per esempio, io sul mio profilo facebook dico spesso che scrivo, e così spero che qualcuno legga, che mi confermi che lo faccio bene, ma se invece non lo fa? Nel mio caso capisco che logicamente ciò che spero non c'entra con ciò che mi spetta per ciò che faccio, e continuo a scrivere, senza preoccuparmi se qualcuno se ne accorge, dissente o gradisce,( non che queste parole abbiano lo stesso valore s'intende). Ebbi modo grazie al social network di contattare una mia vecchia conoscenza e appresi che aveva fatto proprio ciò che diceva di voler fare quando era solo una ragazza. Questo mi riempì di gioia, perché non vi è, credo maggiore pienezza di quella di “divenire” ciò che abbiamo sempre sognato di essere, quindi tentai di saperne di più, ma niente.
Forse il fatto che io, ai tempi, fossi stato solo il lavorante della sua parrucchiera, non facilitava la cosa, ma non ci pensai. Le mandai un link dove le chiedevo senza fretta un parere sui miei scritti.( deve aver pensato mendicassi qualcosa)ma niente. Mi dissi che forse data la sua posizione doveva essere troppo impegnata per parlare con me,o leggermi, così provai a commentare di tanto in tanto qualche sua attività non professionale, ma anche qui, la mia conoscente, la stessa che mi chiamava “amore”, se la incontravo in qualche locale milanese, (perché tante donne comincino a sperimentare la popolarità con noi gay, non lo capisco)sembrava voler mantenere le distanze.
Mi accorsi che le sue amicizie altro non facevano che lodarla e compiacerla, ma pensai che fosse logico avere un po' di lacché, quando si diventa “qualcuno”, e ancora non ci diedi peso.
Fino a quando però una sera pubblicò qualcosa di apparentemente generale sul fatto che un orfano scopra di essere stato la cosa più importante, solo per sua madre.
La frase mi colpì dapprima per la sua stesura, dopodiché andai su un noto dizionario etimologico a chiarirmi la questione dell'orfano, e allora premettendo l'ignoranza, ma ancora confidando nella sua grande evoluzione le chiesi chiarimento. Forse potevo imparare qualcosa, pensai.
Quel “qualcuno”, mi rispose in battuta, come mai prima aveva fatto, dicendomi che avrei dovuto evitare quelle domande visto che non sapevo quando lei avesse perso i genitori! Come se non la conoscessi, ma io sapevo eccome che di genitore le era rimasta solo la madre, avendola io pettinata più volte, e provai un grande dispiacere nel comprendere che doveva essere morta, così cercai di vincere lo stupore per la sua reazione ostile( mi sono abituato a considerarmi irritante,date le reazioni della gente alle mie domande e me ne prendo facilmente la colpa) e le scrissi in privato per spiegarle che non volevo affatto provocarla chiedendole fino a che età una persona potesse dirsi orfana, ma scoprii che lei mi aveva “bloccato”(modalità con la quale si impedisce ad un contatto di visualizzare il proprio profilo) ed eliminato.
Nonostante fosse diventata “qualcuno”, doveva mancarle “qualcosa”! La madre, immagino, o qualche nozione che quella donna tanto educata e mite poteva ancora darle?
Sì, ci si sente “orfani” quando si vuole procrastinare il sentirsi “figli”. Figli sempre giustificati o protetti, adorati, fatti oggetto di una devozione che gli impedirà non già di divenire “qualcuno”, ne di “avere” mariti, professioni, persino altri figli, ma più banalmente di sentirsi contraddetti, o interrogati da un altro, soprattutto se ritenuto “non alla pari”.
Così come, ci si sente vecchi solo se si insegue la gioventù eterna, o belli solo se magri, o capaci solo se approvati.
Per questo credo che sentirsi orfano sia un lusso che un adulto non dovrebbe (pur potendo) concedersi. L'Orfanesimo,(definizione mia) cioè il sentirsi privati di un particolare e indiscutibile favore, (ammesso che i propri genitori ce lo abbiano dato) che tutti devono riconoscerci, pena la nostra collera, è una religione pericolosamente commiseratoria, come la gioventù eterna. Entrambe vivibili solo nelle vite virtuali.
Ciò che rimpiango di più dell'amore mai avuto da non una ma ben due madri( sono stato abbandonato e successivamente adottato), non è l'incondizionato faro di luce su di me, ma la fiducia che esso genera di diventare un uomo forte e capace di stare sulle sue gambe, di mostrare un unico profilo di me stesso con la sicurezza che pur essendo discutibile, può continuare ad essere. Fiducia e sicurezza che ho dovuto trovare da solo proprio attraverso l'accettazione del rifiuto. Una circostanza che è accaduta ma che per me è diventata una occasione, per migliorare la mia personalità ben lungi oggi dall'essere giusta o piacevole per tutti, ma sufficientemente nitida da salvarmi dal senso di orfanezza, dal giovanilismo estremo, dalla lusinga menzognera del successo virtuale, e infine dal sentirmi privo di affetti e relazioni, quanto dal desiderarne di compiacenti.
Alla mia conoscente qualora dovesse riconoscersi tra queste parole: le mie più sentite condoglianze, per la tua perdita, e il mio più caloroso incoraggiamento a riconoscerti per ciò che inevitabilmente sei diventata: una donna adulta che dovrà farsi amare e amare, (da chi vorrà, non per forza da me), con la mitezza e la grazia di sua madre, senza poter più contare sull'indulgenza di nessuno. Parola di orfano e parrucchiere!

martedì 11 settembre 2012

E la chiamano Estate


Minosse, Caronte, e Lucifero, hanno arroventato quest'ultima estate, non senza un piacere del catastrofico, visto che siamo nel 2012, divertendo i media con la mitologia, e soffocando la gente comune, con temperature inaudite. Poi sono arrivate Beatrice, Poppea e il beone di Bacco a completare il quadretto. A sedarne i bollori.
Ma ciò che conta è che nemmeno il caldo soffocante ha placato i miei vaneggiamenti, quelli a cui sono così affezionato da considerarli ormai parte di una vera e propria visione laterale della vita. Quindi durante i primi tre anticicloni africani, mi si “svegliò l'Africa”!
Questa è l'espressione che uso per descrivere le discinesie romantiche che mi sussultano quando meno me lo aspetto, (del resto data l'età gli scompensi delle funzioni naturali sono da considerarsi piacevoli intervalli del processo di mummificazione degli ormoni stessi)
Inutile dire che esse sono assolutamente rivolte al di fuori della mia routine, e talora sconvenientemente relegate nel limbo che c'è tra la decenza della giornata tipo di una signora attempata, e il suo bagno privato! Così mentre mi recavo al mare, turbato dalla prova costume mi concessi quello che oggi mi è chiaro essere stata una sciocchezza, un pensiero stupendo e inutile, come l'ennesimo paio di scarpe nuove.
Complice di questa dèbacle di mezza età, il solito social network..dal quale proviene tutto ciò che non ti serve sotto forma di posta in arrivo, e belle faccette. Esattamente come per le caselle delle lettere, seppur pieno di apparenti contenuti, esso si rivela una pubblicità ingannevole del solito provolone o del ben noto mitomane. Ma non so che dirvi, saranno i quasi dieci anni di vita di coppia, sarà il caldo che mi rendeva insofferente, sarà che uno spiffero lo si confonde per corrente d'aria, mi sono lasciato trascinare in un flirt. Ci pensate, proprio io che li detesto, io che avevo coniato la teoria dei "mezzi", secondo la quale un amante all'interno della coppia dimezza il valore di tutto. Ma nessuno è immune al sottile avvelenamento della propria sicurezza, ecco perché ve lo racconto.
Dapprima le missive del “soggetto ignoto”, (la cui amicizia non ricordo se ho chiesto o accettato) sono cominciate con toni quasi neutri, ci si scambiava link di film famosi, ad una velocità che mi sbalordiva. Dopo anni passati a domandarmi se esisteva qualcun' altro col mio stesso amore per l'ironia e i crittogrammi, sembrava proprio di aver ricevuto una risposta! C'era eccome. Non ho indugiato nel piacere di curiosare tra le sue foto più del necessario, ed ero elettrizzato dall'idea che per fortuna non fosse affatto il mio tipo. Sebbene l'Africa voglia acqua e non un Martini, ed io non sia Uma Thurman,( la schweppes non può bastare), ciò che da sempre cerco è questo scambio rapido e perfettamente allineato di affinità tutt'altro che erotiche, con un altro uomo,(dal momento che non credo sia sano averlo col proprio compagno) non senza sorvegliare strettamente che lo spazio di ambiguità non mi inganni!
Comunque, strategie a parte, in fondo questo scambio aveva tutta l'aria di un corteggiamento reciproco, e mano mano me ne resi sempre più conto, ma c'era in questa danza una sincronia che non volevo rinunciare ad approfondire. No, non mi sono sentito in colpa, e mi spiace deludervi ma ritenevo pure giusto che questo regalo “torrido” mi fosse pervenuto!
Che cosa ci affascina davvero del fatto di ricevere attenzioni da qualcun altro? Il suo modo di farlo è davvero frutto del suo spirito vitale o piuttosto una suggestione? Se noi ci ritirassimo dal gioco questo "altro" farebbe davvero qualcosa per ritrovarci? Difficilmente, perché specie nelle messaggerie via Internet dei social network il vero rapporto non è con colui che ci scrive, o a cui scriviamo, ma con l'ignoto che la rete rappresenta, è come lo specchio della strega di Biancaneve, a lui chiediamo: sono ancora la più bella del reame? Ed è lui che ci risponde, l'ignoto, lui che parla alla nostra vanità, così ciascuno facilmente parla con il nulla, perchè solo quello è davvero attraente e misterioso, e da oggi accessibile a chiunque.
Infatti, non ho mai provato il desiderio di rendere “reale” questo contatto, non per viltà, ma perché era già perfetto così com'era, e soprattutto, era frutto di un sussulto transitorio, di cui grazie al cielo sono ora perfettamente cosciente.
C'è sempre un momento in cui alcune magie si svelano per la loro impostura, o rivelano l'imperizia dei maghi che le generano, alle volte è sufficiente fermarsi, interrompere il flusso che nutre l'intensità dello scambio, ed ecco che ti accorgi che il momento è passato....che l'altro non ha un potere che tu non gli dia.Ma raramente si ha la forza di farlo di propria sponte. Smisi di nutrire l'ego del mio corteggiatore, ma soprattutto, la mia stessa vanità, la sera che incontrai le lacrime di quell' ”uomo che passeggia in pianura” con me da quasi dieci anni, nella vita reale. Quello con cui lo scambio non è mai sincronizzato, né veloce, e tanto meno perfetto ma con il quale ho percorso le miglia reali di un amore “sgangherato” e talvolta incomprensibile persino a noi stessi. Quello per il quale sono certo che molti mi direbbero: non avresti dovuto farlo. L'unico che forse mi posso permettere di “provare” a tal punto.
Non piangeva per paura di perdermi, ma per la distanza che mi aveva concesso silenziosamente di aggiungere, mentre io parlavo “da solo” con la mia decadente vanità. Quello spazio che senza ombra di dubbio solo un innamorato sa concedere.
Che strano l'amore, che strano io, o forse lo è la vita che sogno quando ho caldo, tanto diversa da quella che amo nel freddo inverno. Mio padre, che era un uomo pratico, aveva riunito tutte le patologie comportamentali così come le contraddizioni umane, in un unico termine che ancor oggi mi sovviene con dolcezza: infelice.
Dove l'essere infelici non derivava dal mancar di qualcosa, ma dal mancar “sempre” di qualcosa. Questa mia natura irrequieta, sorella di tanta costanza invece, è qualcosa con la quale sia io che il mio compagno abbiamo imparato a convivere. Qualcosa che mi rende sfacciato, sciocco e talvota egoista e crudele, ma che scopro essere prezioso solo attraverso i suoi occhi. Qualcosa che non mi concede nessuna giustificazione, ma che nemmeno mi è vietato. Ciò che unisce una coppia è un mistero come ciò che la divide irrimediabilmente, ma c'è più libertà tra noi di quanta ne abbia mai visto altrove, il che mi rammenta che l'amore ha ancora la sua faccia.
Da sempre credo nella parte migliore degli altri, ma sia da dietro un computer che faccia a faccia, scopro che raramente una amicizia come la immagino io può essere sinceramente scevra di un secondo fine, e se non ce lo metti tu, ce lo mette l'altro, quindi forse ciò che può succedere è che, se cerchi ciò che immagini, tu incontri solo una immagine riflessa. Non per questo non bella, o autentica, ma frutto esclusivamente della quantità di cose che senza rendertene conto stai chiedendo all'altro di interpretare per te.
Prova ne è che questo mio flirt, fosse una persona che amava l'arte di recitare. Infatti, nulla ho da rimproverargli, poiché la sceneggiatura a cui si adattò fu partorita da me soltanto, e a lui va il mio applauso. Riconoscente, entusiasta e reale. Ma ogni attore scompare alla vista del suo pubblico quando la cortina del sipario cala sulla sua stessa abilità, ed egli può tornare ad essere solo un uomo, e la sceneggiatura interpretata, un'opera di fantasia, per quanto entrambi magistrali.
Si, la chiamano Estate, ma é una sceneggiatura, vitale romantica ed attraente, che sussurra torride promesse evaporabili di cui è bene non fidarsi, ma alle quali ogni tanto può far bene arrendersi, senza vergogna.


sabato 1 settembre 2012

Istruzioni di montaggio per stupori fai da te!


Cosa hanno in comune la Bibbia e le istruzioni di montaggio dell'Ikea?
Questa la domanda che mi attanaglia da quando una mia amica si è detta stupita perché sotto il suo post in un social network, che citava l'avvenuta scomparsa dai pascoli verdi del Cardinale Martini, io abbia scritto "Amen".
Una breve conversazione con lei, mi svelò che la parola finale di rito in ogni preghiera che si rispetti, nella cristianità, le era stata sufficiente a credere che "anche" io avessi familiarità con personalità di quell'ambiente, e ancor oltre, che quel lutto avesse per me particolare significato. Se fossi un Solito Idiota, direi: si dice stupita perché sono O M O S E S S U A L E? Ma dal momento che tutto sono tranne che "Solito", sono più perplesso per quel anche. Come se nonostante la parola voglia includermi in una qualche cerchia, in realtà la stessa inclusione generi stupore, imprevista partecipazione di cui urge spiegazione.
Non intendo aprire la annosa questione dei gay credenti,di cui non faccio parte, che personalmente ritengo l'ennesima sottodiscussione sul tema "Elemosina al diritto di appartenenza", e di cui temo non avere strumenti sufficienti a disquisirne, e neppure mi va di accodarmi al plauso dei laici sulla figura del cardinale, quindi di dirmi particolarmente colpito dalla morte di un mortale seppur porporato e mentalmente moderno. Quindi, la mia idiozia piuttosto insolita, mi spinge a puntare una lente di ingrandimento sulle sinfonie stonate del pensiero individuale che spesso diventa collettivo.
Quello di cui invece ringrazio la mia amica, è l'occasione che il suo stupore mi da di rinverdire la mia modesta conoscenza dell'animo umano. Quell'animo che adora dividere et imperare anche in salsa democratica, che accetta qualcosa a patto che questo escluda qualcosa di altro, che vota questo per l'odio che ha verso quell'altro. La sensazione che questa benedetta accettazione sia l'ennesima etichetta, che prevede questo ma non quello, mi viene proprio confermata dal fatto che, come tutte le etichette riporta una scritta, che potrebbe recitare così-
"Omossessuale"!
Ingredienti: un maschio o una femmina, conservanti fashion, addittivi chirurgici, addensanti contro natura, stabilizzanti lobbistici.
Avvertenze: si consiglia di consumare il prodotto di nascosto, e a temperatura ambiente specie nei parchi, servire ben caldo, invece, se mangiato "a letto".
Scadenza: dicembre 2012 secondo i Maya, non commestibile invece per Chiesa e Stato.
Peso: sotto controllo secondo i canoni del momento.
Conservare in un luogo asciutto e fuori dalla portata di preti e bambini.
Non biodegradabile al 100% . Una volta aperto tenere lontano dalla Canonica se non opportunamente confessato. si consiglia di servirlo con contorno laico.
Insomma, sembrerebbe che se uno è gay debba avere per forza un contenzioso con la Chiesa, o essere altrimenti destinato a generare stupore per un così sia, o magari ad avere un pastore spirituale a vita invece di uno tedesco di gran lunga più affidabile nella lotta contro i malintenzionati.
Io che da piccolo e fino ai ventiquattro anni ho letto la Bibbia non solo con regolarità ma con approfondito studio(di cui ricordo ancora molto), non ho potuto certo apprezzare l'assioma con cui la Chiesa Cattolica ha voluto furbamente accomunarci ai pedofili, ma neanche ho potuto amare Gesù al quale è stata dedicata meno attenzione che agli apostoli e ai loro presunti scritti, i quali mettono la mia natura alla berlina.
Ciò nondimeno quella è stata la lettura più interessante mai fatta, soprattutto da quando ho cominciato a interrogarmi sul come fosse possibile che tutto fosse già scritto esattamente come doveva funzionare per i secoli dei secoli (e di nuovo ci sta bene) Amen! Tutte le scelte già fatte da ricopiare come ricalcando. Come se fosse una cartina stradale scritta da chi in tangenziale non poteva ancora andarci, ma con la certezza che il punto di arrivo non si sarebbe mai spostato.
Una esperienza del tutto simile a quella fatta con L'Ikea e i suoi vangeli di montaggio, nei quali come per la Bibbia tutto risulta semplice e alla portata di chiunque! Un regno dei cieli svedese da aprire con una brugola. Un Essere Superiore che ha pensato a tutto, ma si è divertito a farti il cervello solo per riempire un cranio.
L'Ikea come la Chiesa è un luogo dove tutti possono sentirsi accolti e partecipare all'ecumenica messinscena della "comunione". Tutti possono fare da soli, ma come per la parrocchia ci si deve recare con una certa regolarità, per apprenderne i misteri. Infatti, come per i Vangeli, sarà anche facile seguire le istruzioni, ma alla fine c'è sempre una vite che avanza, o un peccato che ti scappa e che non si avvita alla personalità cristiana! La Bibbia e le istruzioni dell'ikea hanno in comune la mancanza di concezione dell'imprevisto, del singolo fattore individuale, che pur applicando il calcolo "pensato" da una mente superiore svedese o ultraterrena perché funzioni, non funziona. Nemmeno se prima ti fai il segno della Brugola!!! Ma ancor di più entrambe prevedono il pensiero singolo come il peggiore dei mali.
Chiamatelo serpente o tassello, ma la tentazione a fare le cose senza leggere le "istruzioni" è parte dell'animo di tutti. come la voglia di discernere tra razionalità e fede.
Sposo in pieno il pensiero che definisce la laicità espresso da Claudio Magris che mi permetto di citare: Laicità significa tolleranza, dubbio rivolto anche alle proprie certezze, capacità di credere fortemente in alcuni valori sapendo che ne esistono altri, pur essi rispettabili; di non confondere il pensiero e l'autentico sentimento con la convinzione fanatica e con le viscerali reazioni emotive; di ridere e sorridere anche di ciò che si ama e si continua ad amare; di essere liberi dall'idolatria e dalla dissacrazione, entrambe servili e coatte
Questo trovo davvero stupefacente, cara amica, che omosessuale o meno, siamo tutti pronti rimpicciolirci la visuale, a escludere o associare secondo degli schemi che come dimostrano i tempi non sono più applicabili seppur grandemente praticati. Come se io mi dovessi stupire del fatto che una donna divorziata coltivi un valore spirituale, o credere che dal momento che ha vissuto una vita eterosessuale per anni un giorno non possa innamorarsi di una donna.
Amen allora o così sia, se la morte è tutto ciò che di certo ci accomuna, con la pretesa di un "posto fisso" in Paradiso, per chi se lo crede o un più "precario" insieme cosmico e caotico che tutti ci accoglie così come siamo: contradditori, stupefacenti o stupefatti, osservanti delle regole di montaggio o liberi professionisti del "fai da te". Liberi, ma davvero, dal vizio interpretativo, o dallo stupore così com'è. Capaci soprattutto di fare la giusta differenza tra uno stato d'animo emotivo personale, e uno stupore senza senso.