venerdì 16 settembre 2011

il pelo nell'ovulo!


Il mio naufragio nel modo intellettuale, e il disagio nell'ambito dell'olimpo estetico gay, mi collocarono in una sorta di "terra di mezzo" del mio stesso ambiente, mi sentivo un piccolo Hobbit gay, che non poteva attrarre nè gli elfi palestrati, nè i trolls da libreria, insomma un piccolo Frodo che non sosteneva il peso di un anello, che non voleva al collo ma al dito!
In questo territorio limitante, godevo della compagnia di fanciulle che stravedevano per me, pulzelle con castelli di carta, fatine oche, e ninfe ninfomani, di cui mi trovavo sempre attorniato.
La compagnia femminile, è un tipico passaggio dell'adolescenza di un uomo gay, in quanto più rassicurante della compagnia maschile che il meccanismo di attrazione, rischia di far far diventare alquanto imbarazzante, eccezion fatta per le nuove generazioni, le quali a causa di uno scatto evolutivo, si sono ammantate del giusto mantello di invisibilità, che ne favorisce la vita sociale oggi più coesa tra i generi.
Una in particolare, meritò la palma d'oro della complicazione, l'Oscar del masochismo, la Coppa Volpi della furbizia, perchè per oltre due anni, riuscì a riempirmi di dubbi circa l'universo femminile, che fino a quel momento avevo considerato semplice come il labirinto dell'Enigmista.
Nessun maschio etero o gay, può sperare di uscirne senza lasciarci un pezzo, perché le donne, ti costruiscono piccole scuole di Hogwards nella testolina e proprio quando credi di aver imparato la strada, ecco che le scale, si spostano e le pareti si capovolgono imprigionandoti senza scampo.
Avevo fatto una gran fatica a trovare quell'appartamento, col mio nuovo fidanzato "l'architetto pieghina" di cui vi parlerò meglio nel prossimo capitolo delle modalità affettive, ma dopo mesi di lavori, e qualche porco di troppo, i 60 metri quadri di principesco splendore erano pronti, e riuscimmo a trasferirci. Ho sempre trovato adorabile, l'implacabile curiosità dei miei vicini di casa, la pervicacia con cui sbirciavano dalle finestre, la casuale dovizia di occasioni fortuite con le quali li avevo sempre fra le balle, e una in particolare, era un artista del genere, una piccoletta col muso di un roditore aggraziato, la Mery, la quale scricchiolava saluti e risatine, anche di fronte al tanfo oprrimente dei bidoni dell'umido d'estate, o sotto la pioggia più incessante era capace col suo 35 di piede di correre come Mennea, per bloccarmi col portone aperto e costringermi a salutarla.
Viveva sola, con un gatto nero, e faceva la segretaria, ma sembrava felice di esserlo, e giocava spesso coi doppi sensi per darsi un'aria cosmopolita e libertina mentre mi diceva, se ti serve lo zucchero suona pure, ella incarnava perfettamente il prototipo della single per scelta, tanto cara negli anni novanta, e ti costringeva a credere, che in fondo un uomo non fosse altro che un passatempo, e io ammiravo la sua serenità e lo spirito indipendente che mostrava. Inutile dire a chi, lo zucchero, il sale, e il detersivo dei piatti, finì per prima, e quindi, o per chiedere o per restituire, il nostro appuntamento, oltre che fisso, divenne quotidiano e scambievole.
Molto dedita all'igiene personale, e molto meno a quella della casa, la Mery faceva il bagno ogni giorno, proprio quando io le suonavo il citofono, "vieni pure", mi diceva dal microfono gracchiante, e una volta giunto alla porta, che trovavo sempre socchiusa, una vocina trillante diceva," stavo giusto facendo il bagno"! Le prime volte, mostrai l'imbarazzo che lei non provava affatto, dicendole un debole " magari passo dopo", ma la risposta era sempre la stessa, con il pelo in bella mostra mi sorrideva nuda, dicendo," ma tanto a te non interessa no? Ti faccio il caffè?"
Pensai che una volta poteva succedere, che la mancanza di pudore, fosse un'espressione della sua modernità, ma giorno dopo giorno, bagno dopo bagno, caffè dopo caffé, nemmeno cambiando l'orario, riuscivo ad evitare il peep show, e mi domandavo: se davvero una donna può raggiungere un grado di intimità, così ampio, con un vicino seppure gay, perché per comprare gli assorbenti, è invece capace di mille giochi di prestigio? Perché dirimere sulla densità del proprio ciclo mestruale con me, per poi dimenticare l'appuntamento col ginecologo? Oppure, perché nei film ,le donne strascinano lenzuoli chilometrici dopo aver fatto sesso col proprio uomo, se capaci di mostrare tutto il parco giochi serenamente, ad un amico?
Ormai assuefatto alla confidenza, cominciai in perfetto stile gay a sottolineare con umorismo alcuni suoi difetti fisici, come il culo a pera o le tette piccole, convinto che l'intesa raggiunta concedesse orizzonti quasi illimitati alla mia ironia, oltre che a quella, che la sorte le aveva già riservato, ma dovetti ricredermi. La ninfa ninfomane, che fino al giorno prima parlava di sesso orale, come di cornetti a colazione, cominciò a ridere sempre meno e a mostrarsi più nervosa, ed io per rilassarla aggiungevo dettagli al mio carnet di scherzi, fino a quando un giorno, arrivai all'appuntamento per un giro di shopping, con qualche minuto di ritardo, e la trovai infuriata come mai l'avevo vista! Mi coprì di insulti dicendomi che non ne poteva più di non essere nemmeno libera di farsi un bagno senza che io fossi lì a guardarla, che potevo almeno avere la discrezione di non farla sentire uno schifo, e dal quel giorno non mi rivolse più la parola fino a quando non lasciai quella casa.
Solo qualche anno più tardi un'altra amicizia femminile che adorava trascinare a letto gay ubriachi, mi chiarì l'equivoco, mi spiegò quanto dolore avesse provato nel vedere la mancanza di erezione di alcuni suoi trofei serali, e che almeno una volta, avrei dovuto capire cosa la piccoletta volesse da me, in fondo noi gay , noti tra gli etero, per essere promiscui, ci comportavamo da veri razzisti, nel non voler ignorare la differenza tra un ano e una vagina!
Di certo, capii che la" terra di mezzo", era un luogo dove non era il caso di guardare il "pelo nell'ovulo" ma proprio per questo, ripresi il mio viaggio verso il monte Fato, e cominciai a considerare l'ipotesi di praticare la castità più assoluta, e all'avvicinarsi di una forma femminile gioviale, cambiare strada.
Un velo di pena, mi colse pensando ai miei amici etero, i cui ormoni non consentivano alternative all'opprimente giogo della "vagina cervellotica" delle donne, in quanto una volta usciti maschi, da uno dei loro ovuli, erano condannati come salmoni a provare l'istinto insopprimibile di ritornare a casa, e perciò, sostenere l'ardua selezione delle loro femmine.
Anch'io in fondo ero nato così, e mi pareva proprio buffo, che dopo avermi partorito, la mia madre naturale, mi avesse abbandonato, perché forse le ero uscito dal ventre senza l'apposita "ricevuta di ritorno", o più credibilmente, perché il mio ovulo aveva più di un pelo di troppo, senza però affrancarmi dalle stesse difficoltà di tutti gli altri maschi!




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