giovedì 28 ottobre 2010

"nuvole scure" Ge-Mi storia banale di un gay speciale cap 25




Non diedi mai per scontata l'assunzione, ma mi impegnai affinchè non avessero scelta e mi assumessero. Intanto Claudio aveva finito la scuola di trucco ed effetti speciali, e pur preparandosi per l'esame, si cercò un lavoro.

Al contrario di me, lui si sentiva fiero di lavorare per uno dei Jean francesi che invadevano Milano, parole come “ovalage”, ed “effilage” divennero subito parte del suo nuovo vocbolario, e forse soddisfò così il suo bisogno di elitè.

Ci rendemmo conto che la condizione di stabilità raggiunta con il lavoro, ci imponeva di non approfittare più dell'appoggio della Mari, e della sua casa, quindi, decidemmo di cercarci un appartamento in città e nonostante la casa della mari, fosse già arredata, era molto comoda e grande e mi dispiaque molto lasciarla.

Avevo sparso la voce tra le clienti, e una di loro ci propose un suo appartamento, che sebbene fosse impegnativo a livello economico, ci convinse.

Se a Novara, i vicini erano schivi e sospettosi, a Milano, ne incontrammo subito una di tutt'altra pasta. Lei, abitava sotto il nostro appartamento, e una sera, mentre ero lì a pulire suonò alla porta!

- chi è?- chiesi, - Sono la Teresa rispose. La voce non era giovane, ed appariva enorme vista dallo spioncino. Aprii la porta ma non del tutto, e la signora teneva in mano un piatto di pasta, ed era proprio come l'avevo vista!

- Hai mangiato?- disse, intronducendo la testa in casa, e aggiunse, - Guarda che sono pulita- .

Non potei impedirle di entrare, data la gentilezza, e compresi che aveva una gran voglia di vedere la casa.

-Sto pulendo, prima di traslocare, e non ho molto da offrirle, ma prego si accomodi!-.

Teresa non era di milano, non più di me diciamo, e in un quarto d'ora mi aggiornò su molte cose che non avrei dovuto sapere sui proprietari, inoltre mi chiese della mia “ragazza”, - Si chiama Claudio, e lo conoscerà presto- annunciai convinto di vederla saltare dalla sedia in cerca dell'uscita, macchè! La Teresa mi confessò che quelli come me, gli uomini-sessuali, lei li aveva già conosciuti in calabria, e che a parte le malattie non aveva “pregiudizi”.

Quali malattie?

- Ai miei tempi, ci si chiaffava su la spirina(spirale), ma oggi c'è quella malattia, come si chiama? Ah sì l'AGS!-.

- Ah, capisco”, le dissi, “L'AIDS, beh! Diciamo che mi basta l'influenza di tanto in tanto-, e lei versai il secondo bicchiere di rosso, bella rubiconda e felice mi lasciò ai miei pensieri.

Era chiaro, che avrebbe tenuto un diario dei nostri orari, della posta ricevuta, e probabilmente della nostra attività sessuale, e data la rumorosità di Claudio, avrei dovuto informarlo o mettergli un silenziatore, comunque, la scelta di quella casa era giusta, e lo capii dagli avvenimenti che si susseguirono. La mia assunzione fu confermata, e alcune clienti cominciarono a chiedere di me!

Claudio, trasformò la nostra camera in un officina, il bagno in un laboratorio, e il soggiorno in uno studio fotografico, per affrontare l'esame, mentre io ero di nuovo alle prese con le tende da cambiare, la teresa, cominciò a farci visita con “regolarità” e decisi che data l'ora che sceglieva, era arrivato il momento di passare dal rosso alla grappa.

- Dobbiamo fare qualcosa amore, questa non molla, e io ho paura che un giorno dormiremo in tre!- osservai col mio fidanzato, - In effetti, una notte a tre, potrebbe starci- disse lui.

- Non puoi scherzare su tutto Claudio, quello che ci vuole è darle un compito, qualcosa che la tenga occupata, ma cosa?-

- Perché non proviamo a fare un figlio.....così farà la nonna!- sussurrò avvicinandosi.

Il sesso, e le manie di grandezza, completavano l'orizzonte del mio uomo, e mi chiedevo se quello, non fosse un cielo troppo piccolo per volare davvero, certo, data la stabilità raggiunta, avremmo dovuto considerare completo il quadretto che avevamo sognato sotto la vigna di casa sua in Liguria, eppure ora io ero “a Milano”, non vicino, ma proprio lì, e questo quadretto mi andava già stretto. Mi resi conto, ad esempio, che non avevamo amici, e che era l'ora di farsene alcuni. “Farsi “nuovi amici nel mondo gay non è difficile, e non per la nostra disposizione all'amicizia. Ma io cercavo amici con cui fare una cena, vedere un film, o andare a ballare, e Claudio non sembrava averne bisogno. Considerai questa differenza tra noi, un'impurità virile nella sua attitudine gay, ma non volli darci peso, certo potevo invitare le colleghe, ma erano tutte fidanzate, come me, cosa potevamo scambiarci, le ricette?

Decisi, quindi di fare volontariato. Mi dissi “Se trovo un associazione che mi piace troverò persone con cui fare delle cose, e da cosa nasce cosa”,e quando annuciai al mio compagno, la mia decisione di attività sociale, speravo ne fosse entusiasta, ma invece si rabbuiò. Avevo imparato da lui la tecnica della decisione imposta, e quindi ero convinto che avrebbe capito. Quella sera non fu carino con me, per la prima volta, e anche a questo non diedi peso.

In associazione si parlava di cose serie, come sieropositività, terapie, sensibilizzazione dell'opinione pubblica, e prospettive di vita, sebbene la mia preparazione in materia fosse pressoché nulla, le ragazze e i ragazzi presenti, seppero mettermi a mio agio, e la prima sorpresa, fu comprendere che le persone sieropositive erano come le altre. Alte, magre o basse non avevano segni visibili della propria condizione, e invece di mettermi ansietà, questo fatto, mi rassicurò. Non ero preoccupato di averci a che fare, come lo erano in molti, solo mi preoccupavo di avere una faccia stupida, pietosa, o comnque inadeguata, nel caso ne avessi incontrato una persona malata. Collaborai da subito con una ragazza decisamente sovrappeso, che era responsabile dei banchetti informativi, con la quale fu facile diventare amici, e una sera, durante un aperitivo mi disse:

- il tuo impegno in associazione è molto incoraggiante, parli con tutti, stringi le nostre mani, e ci hai abbracciato in silenzio, quando alcuni di noi se ne sono andati, voglio dirti grazie-.

Rimasi sbalordito e piangendo compresi che il momento tanto temuto, il confronto al quale, non mi sentivo pronto, era già accaduto, ed era stato facile come un abbraccio. Quella ragazza nonostante il suo aspetto florido, morì l'inverno dopo di polmonite. La stessa polmonite che io avevo superato tante volte.

Ero felice, di conoscere nuove persone, e di avere un lavoro ed un compagno, ma non sono mai stato bravo con l'equilibrio. In questa cosa ci avevo messo tutto me stesso, e spesso le sere c'erano da fare i banchetti informativi, e ora che lei non c'era più, la responsabilità fu affidata a me, quindi spesso non tornavo per cena, ma una volta a casa, ero allegro, e con molte cose da raccontare, ad un uomo che invece, diventava ogni giorno più triste...

Il cielo della mia relazione, si annuvolava.


To be continued


martedì 12 ottobre 2010

"l'ora x" Ge-Mi storia banale di un gay speciale cap24


Il treno di ritorno da Genova, era sempre affollato, ma scorgere la pesante struttura metallica della Stazione Centrale era un vero sollievo per me! Le visite alla mia genitrice, mi lasciavano sempre spossato, a causa della finzione a cui, mio malgrado mi assoggettavo!

Arrivavo lì con una pianta o con qualcosa di nuovo, per rallegrarla un po'. Aveva cominciato a collezionare bambole, e gliene comprai di molto belle, con graziosi vestitini bucolici, o retrò. Ripensavo sempre a Rosaria, quando le compravo, e al nostro atelier segreto, l'unico momento in cui avessi avvertito di esserle “intimo”. Sorrideva nel vederle seppure poco, mentre la nonna Verdina, le chiedeva per la centesima volta che giorno fosse!

Già, perché la “samaritana seriale” aveva portato a termine il suo piano, trasferendosi a casa di mia nonna, con la scusa della necessità di non lasciarla “sola”. La Verdina era vedova da anni, e da sola ci stava benone, ma lo stesso non poteva dirsi della Maria Luisa!

Ogni tanto mia mamma, che per trasferirsi lì aveva disfatto mezza casa alla nonna, la beccava al telefono con una delle sue sorelle, “La Maria, ...mi tratta male, mi ha buttato via la credenza...” bisbigliava come una sequestrata, cambiando subito in “Ahhhh se non ci fosse lei!!” non appena mia mamma la sorprendeva!

In questo polpettone emotivo, arrivavo io in visita, con i miei regali inutili infiocchettati di sensi di colpa. Non avevo rimpianti, poiché è impagabile vivere davvero, tuttavia, sapevo di non fare molto per loro, e sentivo la disapprovazione tra i denti insieme alle pietanze.

Vedere mia madre cucinare, nella cucina del mio matrimonio, era la cosa più triste da sopportare, non tanto perché finisse di pagarla, ma per come lo faceva. Piccole pentole senza amore contenevano improbabili perizie gastronomiche, che nel piatto, cadevano affrante come noi, quasi senza profumo, e venivano consumate sbrigativamente insieme alla nostra scarsa confidenza.

“come và il lavoro?” mi chiedeva,

“bene” rispondevo, da disoccupato.

Seguiva qualche racconto che la Maria, faceva per riportarmi al passato. “Sai che ho visto la Miriam qualche giorno fa, era così triste...” Ingoiavo l'involtino chiedendomi “ E cosa posso farci?”.

Dopo pranzo, si guardava la televisione, per non parlare fino all'ora X.

L'ora X era quella che scattava, quando la pantomima aveva raggiunto un qualche livello di guardia per mia madre, forse, dopo aver appurato che stavo bene, le saliva anche un po' di rabbia, o un senso di impotenza che esprimeva dicendomi:

“ Vabbè, ti conviene andare che se no perdi il treno!”

“ma ce l'ho tra due ore, mamma”- replicavo debolmente.

“Eh, magari prendi quello prima, così non arrivi tardi”- suggeriva, io mi alzavo, staccavo il caricatore del cellulare, che mi ero finalmente comprato, salutavo, e una volta nell'ascensore, tiravo giù il pacchetto di sigarette, che avevo nascosto nel cornicione della plafoniera, e girata la curva che le nascondeva la visuale (il saluto dal balcone era d'obbligo), me ne accendevo una.

Nel recarmi alla stazione guardavo i miei concittadini, sui mezzi pubblici, e li trovavo così sciatti e rassegnati, che mi meravigliavo di non essermene mai accorto prima. La città, mostrava al mare la sua faccia più bella, e a me le schifezze del sottopassaggio S.Agata!

E' incredibile come una realtà non più condivisa, fatta di persone e cose, mostri in quel momento la sua sgradevolezza “reale”. Come un abito, che hai sempre indossato con noncuranza, o abitudine, improvvisamente divenga obsoleto persino a te stesso, e ti spinga a chiederti “ma come ho potuto indossarlo per così tanto tempo?” Certo anche a Milano, c'erano persone sciatte, ma non erano la maggior parte. All'ombra del Duomo, le persone sentivano il dovere di mostrare la propria appartenenza alla città della moda italiana, mentre sotto la Lanterna, sentivano di doverne fare a meno.

Povera Agata, santa di un sottopassaggio sudicio, dove i tossici ti chiedevano cento lire! Forse, era la santa delle cause perse, ma quello non era Giuda? No, lui è il santo degli spiccioli! Allora forse sant'Agata è la santa dei pertugi, mah!

Il treno strideva le sue ruote di metallo sui consunti binari, mentre le facce dei milanesi indaffarati riempivano la banchina, e io ripensavo al mio fortuito colloquio.

Il negozio era in una piccola traversa del grande viale D'Este, a fianco ad un salumiere, l'ultimo baluardo contro la grande distribuzione, dove un rubicondo signore francese e la moglie vendevano puzzolenti formaggi alle ricche signore di zona.

Il negozio era piccolo, tutto sommato, ma arredato con sfarzi di radica e mogano laccato. Una grande torre esagonale dominava la stanza, e grandi specchi e vetri a mosaico, ne ampliavano la grandezza. Oltre la titolare altre due ragazze si muovevano indaffarate, e io, le osservavo in attesa di parlare con lei. Mi sorridevano, e i loro modi erano più rilassati di quelli dei lavoranti dei Jean francesi

Anche la clientela era piacevole e di tutte le età, bambini, signore anziane elegantissime, giovani mogli e professionisti/e. Ero eccitatissimo e pregavo il cielo che mi prendessero, infatti dopo poche parole con la signora Grazia, ottenni la mia settimana di prova!

Col mio cellulare chiamai subito mia madre, perché finalmente avevo una bella notizia da darle.

“Pronto mamma, ho un vero lavoro!” esclamai affannato dall'emozione.

“Beh, ti è sempre andata bene”.

To be continued

domenica 10 ottobre 2010

"una mela al giorno, te la toglie, l'anima gemella di torno?" - Ge-Mi storia banale di un gay speciale cap 23


L'anima gemella, si dice debba essere cercata, dando per scontato che ve ne sia una disponibile per tutti, ma sarà vero? Con quali strumenti la riconosceremo?

Questa leggenda, viene tramandata insieme alle malattie genetiche, di eguale pericolosità, di madre in figlia, di madre in figlio gay! Nel primo caso, la figlia sogna il principe azzurro, nel secondo il figlio sogna il principe palestrato. Ecco perché gli eterosessuali maschi, di solito, non sviluppano interesse nell'aspetto fisico. Essi infatti, sanno sin da piccoli che una stupida principessa bionda, tenuta a dieta da una grassa madre, aspetta che si dichiari come azzurro, per concedersi a lui in moglie! Capite? Lui non ha bisogno di essere bello e in forma, in quanto azzurro per nascita.

Una volta trovata la sua anima gemella, la principessa diventa serva e l'azzurro diventa polvere. Lei rimarrà legata a lui, e alla prole, lui rimarrà legato a chiunque ma di nascosto.


Nel secondo caso, invece, il figlio magro, sogna un corpo da favola come il suo, ma con una faccia e delle mani che non siano le sue! Non avendo recuperato dalle favole un ruolo preciso, il modello di appartenenza, risulta difficilmente ricalcabile. Potrebbe diventare principessa, principe, rospo, o fatina, e nel dubbio diventa drag queen, che incorpora tutte le favole in un unico corpo altrettanto favoloso! Non potendo aspettare che un azzurro si dichiari, lo cerca ben prima delle stupide principesse bionde, ed in alcuni casi, continua a farlo per il resto della vita. Non che non ne trovi uno, ma pazza di gioia, e con un certo amore per le feste, adora rimettere il film indietro, alla prima scena. Quella in cui una principessa chiusa in una torre a forma di UOMO, lancia bigliettini allo stalliere con su scritto “ ti adoro quando sudi”...ruba la chiave del mio cuore e aprimi!

La Porta!!!! che avete capito????

Una certa promiscuità, ci viene riconosciuta da sempre, anche se io ricordo benissimo l'andirivieni eterosessuale nel vano scale degli uffici della Regione Liguria. Mi chiedevo infatti, quale fosse la necessità di una coppia sposata, nel fare sesso sulle scale del posto di lavoro.

Comunque, il “nostro” bisogno ostinato di convolare a giuste nozze, temo abbia più a che vedere con la sfida, che con la necessità. Desideriamo profondamente, ottenere l'oggetto del nostro desiderio, come dimostrazione della nostra desiderabilità. E una volta ottenuta conferma, la passione bruciante riduce in cenere Bacco Venere, e aggiungerei anche Cupido al romantico falò!

Se ci penso bene, non ce la vedo tutta questa differenza tra noi e le coppie cosiddette normali, e se ho ragione, se attraverso strade diverse si può giungere al medesimo risultato, eccetto per i figli, non è che c'è qualcosa che non va nell'assunto iniziale di “anima gemella”?

Forse, il fatto che sia gemella indica una certa familiarità, la facilità con cui riconoscerla attraverso la sensazione di averla già vista o conosciuta., ma la psicologia moderna ci ha reso noto che proprio quella familiarità, può essere un campanello d'allarme, a seconda del proprio vissuto, o quantomeno, il meccanismo attraverso il quale evitiamo di confrontarci con l'altro, con ciò che è davvero diverso da noi o dai nostri familiari. Pur credendo di dare inizio ad un nuovo percorso, molto più facilmente, con la logica dell'anima gemella, finiamo per replicare una scena della nostra vita dalla quale non siamo usciti sufficientemente vincenti, per modificarne il finale!

Io personalmente, ero uscito sconfitto dalla lotta per essere “riconosciuto” amabile, e non desideravo consciamente un altra possibilità, cionondimeno era possibile che corressi il rischio.

Era possibile che ...pur non volendolo rimanessi attratto da qualcuno che compensasse la mia mancanza, magari fin troppo!

L'esagerazione è un'altra caratteristica che ci viene associata, ma che condividiamo con l'universo femminile. Avrei potuto rimanere attratto da uno che fingeva di volermi, come anche, da uno che mi voleva senza deroghe, nello stesso modo?

Lo avrei di certo scoperto, come tutte le principesse, che diventano serve indesiderate o desiderate “da morire”, quando invece di sentirsi attratte da un uomo del tutto nuovo, si attaccano al più azzurro dei principi rospi.

Da quando Eva mangiò la mela gli uomini e le donne vanno in cerca dell'altra metà, per ricongiungere il frutto. Ma la prima coppia, ci hanno insegnato essere non proprio ben riuscita, non credete? Eppure che siate principesse o gay , tutti noi non ci esimiamo dal lieto fine. Leggevo il giornale mentre riflettevo su questo argomento e l'occhio mi cadde su un inserzione: “cercasi Apprendista parrucchiere o lavorante finito per assunzione immediata”. Mi parve un miracolo, e chiamai subito “New Fashion buongiorno!” rispose una voce femminile, “buongiorno, ho letto il vostro annuncio e vorrei conoscerla prima possibile, posso venire subito?”- “Certo” e mi diede l'indirizzo.

La linea gialla era affollata, forse di anime gemelle, che invece di cercarsi, si scontravano facendo cadere mezze mele ovunque, e sapete che c'è? Nessuno si affannava a raccoglierle!

To be continued!

giovedì 7 ottobre 2010

"Il piumone" Ge-Mi storia banale di un gay speciale cap 22


I traslochi sono iscritti al secondo posto, nella lista degli eventi più stressanti della vita, subito dopo la perdita di una persona cara. E a mio avviso giustamente! Per nostra fortuna la casa della mari nei pressi di Novara, era completamente arredata, quindi la macchina era colma solo dei nostri vestiti e piccoli oggetti personali.

Ci andammo d'inverno, lasciando il vento per la nebbia. Avrei preferito avere un cane con quel nome, come Heidi, ma Claudio non era proprio Peter, e le caprette non ci fecero ciao, forse qualche cinghiale grugnì ma non lo sentimmo!

Cosa fa un gay “perbene” quando entra in una nuova casa?

Semplice, compra delle tendine nuove e sposta i mobili esattamente come fanno le donne!

La rigidità di quell'inverno non sembrava di buon auspicio, ma come tutte le coppie fresche di storia, sapevamo prendere i suoi lati positivi, come quello di dormire nudi sotto un caldissimo piumone. Dopo qualche anno, sapevamo che le cose si sarebbero invertite, avremo quindi dormito ben coperti da orrendi pigiami felpati, lamentandoci “Non fanno più i piumoni di una volta!” - “Ti ricordi come tenevano caldo?”-” ma no! Ma cosa dici? Non ce l'avevamo il piumone” - “si vabbè, ricordati la pastiglia della pressione”!- “ anch'io ti voglio bene!”

La vita domestica era un po' noiosa, perché Claudio si recava a Milano in macchina ed io restavo a casa, dato che un lavoro non ce l'avevo ancora. Eppure per qualche assurdo motivo, mi sentivo felice nell'andare a fare la spesa nel preparargli la cena, o pulire la casa, nel fare quelle cose che dopo molti anni, avrei lietamente pagato qualcun altro perché se ne occupasse al posto mio.

La sindrome della “mogliettina anni 50” mi rendeva così. La mia casa aveva molte stanze, e organizzammo persino una stanzetta come guardaroba con uno stand con le ruote come quello dei negozi. La mari sarebbe venuta a trovarci nel fine settimana, per controllare come ci eravamo sistemati, ed anche per rendere noto ai vicini, che non eravamo occupanti “abusivi”.

Talvolta però, accompagnavo il mio “moglio” a Milano, per cercarmi un lavoro. Avevo diviso la città per zone e fermate della metro, e setacciavo tutti i negozi di parrucchieri, del rione vicino alla fermata. I negozi erano moltissimi, e pensai che i milanesi avevano coi capelli, il rapporto che noi genovesi avevamo con la focaccia, e cioè di “irrinunciabilità”. Cappuccino, piega e brioches?

Le persone nella metro correvano come fossero un sol uomo, e la mattina potevo capirlo, ma alle due del pomeriggio, dove diavolo dovevano andare così in fretta? Nella mia Genova la gente correva per non perdere l'autobus, o per lo sconto del formaggiaio, ma a Milano la gente correva per spendere cifre astronomiche nei negozi, o per raggiungere dei tappeti nelle palestre, dove continuare a correre a pagamento, o per fare una piega “al volo”.

Non avevo mai sentito, questo termine, perché le genovesi, dal parrucchiere, di volare non avevano voglia, visto che pagavano, e la piega doveva “durare”, ma la sentii mentre aspettavo di parlare al titolare di una catena di negozi presenti in tutta la città. I lavoranti avevano divise uguali e molto simili a quelle dei camerieri, e non volava una mosca. Mi lanciavano occhiate furtive, forse innervositi dalla mia concorrenza? O l'arancione non mi donava? Io sorridevo come una ragazza sorride ad una cena di affari( l'avevo visto in un film), di cui non sa nulla, ma a furia di sorridere cominciavo a sentirmi come una annunciatrice a cui non parte il servizio!

In quegli anni, l'avanzata delle catene francesi di parrucchieri era inarrestabile, altisonanti nomi lunghissimi preceduti tutti da un Jean. Jean questo, jean quello, spuntavano come funghi o come baguettes, e proponevano linee realizzate con le macchinette al posto delle forbici. Povera Maria Luisa, con tutti i soldi che aveva speso perché potessi tenere le forbici in mano!

Comunque non ero particolarmente nervoso, circa l'idea di trovarmi un lavoro, forse perché convinto di essere nel posto giusto, un luogo pieno di possibilità, e questa convinzione la sentivo fisicamente, localizzata. Mi dava respiro e felicità, e mi sentivo grato per ogni no, che ricevevo, perché quei no, lasciavano spazio all'unico sì, di cui avevo bisogno.

Per tutto l'inverno cominciai a lavorare saltuariamente qua e la, ma nessuno mi voleva fare un contratto regolare, e quindi dopo poco mi lasciavano a spasso.

Facemmo molti sacrifici io e Claudio ma continuavamo a sentirci fortunati, anche quando il tubetto del dentifricio non era spremuto bene, secondo il gusto di ciascuno, o la cena era immangiabile.

Come tutte le famiglie senza televisione, ci “scaldavamo” un bel po' e avevamo imparato a parlarci e a ballare coi tacchi nel salone di casa!!!

to be continued