sabato 25 settembre 2010

"vissi d'Arte e farinate" Ge-Mi storia banale di u n gay speciale spciale cap 18


Il demone del liscio, si era impossessato di me, e raccontai alla mari delle nostre incursioni danzanti a Milano, mentre lei mi esprimeva le sue perplessità,circa il viverci, in quella città.

Lei c'era andata molto vicino quando aveva vissuto in un paese vicino a Novara, e capiva bene il mio entusiasmo mentre la pettinavo. Eravamo riusciti a farle crescere i capelli e glieli pettinavamo a onde morbide di color rame scuro. “Flamboyant” lo chiamavamo, e lei una volta finito scimmiottava per noi, la signora francese, facendo le facce della “Signorina Silvani”, mentre quando viveva a Novara indossava pesanti gonne di Giudice, in panno e capelli corti da catechista!

Lei era la mia bambola preferita, quindi sì , non ho mai smesso di giocarci, ma preferivo quelle multifunzionali in carne ed ossa.

Avevo deciso di diventare parrucchiere, dopo il grave incidente in motorino, perché avevo detto “se sono sopravvissuto è per fare ciò che voglio davvero!” così convinsi mia madre ad iscrivermi alla scuola di parrucchieri genovesi., inoltre era orribile vedere la propria “adorata” madre, sciatta e anche mal pettinata tutti i santi giorni! La scuola di parrucchieri era nella prestigiosa via XX Settembre, ed era decisamente costosa, ma la mamma non si scoraggiò e con la borsetta sulle ginocchia, ascoltava la padrona parlarle del programma. “il corso dura due anni e le possibilità di lavoro sono alte” le diceva mostrandole la lista delle assunzioni dei vecchi allievi “la rata mensile è di tot ed è compreso il materiale e la divisa”. La signora parrucchiera-padrona, era decisamente bruttina e col suo caschetto liscio e brillante mi ricordava “il pianeta delle scimmie”. L'idea che mi trovassero lavoro, sembrava buona alla mia mamma, che firmò col sangue i documenti-capestro della scuola. Da dopo l'incidente, forse la maria luisa, si era rassegnata a pensare che se facevo la parrucchiera almeno non mi potevo far male, oppure sperava rimanessi fulminato col phon , ma comunque quella fu la cosa più bella che fece per me, dopo aver pagato il dentista che mi aveva ridato il sorriso. Ero l'unico “maschio” del corso, e vestito da barbiere facevo cagare, ma giravo fiero con il pettine in mano. Nel corridoio annoiate signore aspettavano il loro turno come “cavie” perché pagavano pochissimo quindi il corridoio era pieno! Shampoo piega colore e colpo di sole il primo anno, taglio e acconciatura finale il secondo anno, poi c'era l'esame e se non stavi sulle palle a tutti, ma soprattutto se i tuoi non avevano saltato MAI una rata, eri promossa !

La mia insegnante Lasabrina tuttattaccato era brutta come la padrona , ma si sentiva una gran figa, con i suoi riccioli anni ottanta color pannocchia e la frangia bombata e laccata. Passava a dare il “tocco finale” alle cavie, col pettine a forchetta, e ti correggeva gli errori che non ti insegnava ad evitare! I colori venivano preparati di nascosto, nello stesso stanzino dove riempivano gli shampoo del lavatesta col detersivo dei piatti! Le signore si scambiavano sguardi e sorrisetti maliziosi, quando mi vedevano, ma io col mio ciuffo non sapevo proprio cosa avessero da ridere, uscendo con quelle teste orrende! Dopo due anni portai all'esame il caschetto identico a quello della padrona e fui promossa con pieni voti, e spedita a fare pratica da una parrucchiera che teneva un sacchetto di cose d'oro sul soppalco, che mi mandava a pulire, e che si incazzava come un fico quando le dicevo: “signora, quel sacchetto è ancora qui, glielo metto in cassa così non dimentica di portarlo a casa?”

Poverina, il marito era in galera ….chissà perché?, ci sono persone che fanno proprio fatica a vivere!La mari adorava il suo ruolo di mia mamma gay, ed era l'unica che mi sarebbe mancata nell'andare a Milano, e mentre le raccontavo il mio progetto di vivere con Claudio, potevo sentire le sue amorevoli rotelle macinare qualche pensata. La casa nei pressi di Novara era ancora di famiglia, e mi disse che potevamo appoggiarci lì per i primi tempi....”ma dovrai parlarne con tuo marito..” obbiettai commosso, “Non preoccuparti, ma devi solo promettermi di fare sesso in camera nostra, perché il letto è ancora quello di mia suocera!”- “Allora sai che facciamo?” dissi “Ti porto con me a Teatro, a vedere la Tosca, ti va? “- “ma al Carlo Felice? Ma come fai ad avere i biglietti, sono introvabili oltreché costosi”. In effetti, dal matrimonio, l'unico benefit che avevo conservato era una serie di biglietti per alcune prime d'opera, a due soldi, avuti dall'insegnante di tedesco della mia gà ex moglie, e che nessuno mi aveva chiesto indietro.(evidentemente meno preziosi della saliera, per alcuni) “amore, mai domandarsi da dove ti arriva qualcosa, ma piuttosto, cosa potersi mettere per quel qualcosa, è la domanda giusta!”

Il foyer del teatro era gremito di persone della Genova bene, e io e la mari stavamo un figurino, ma non potevamo riuscire a star seri, continuavamo a sgomitarci l'un l'altro per segnalarci quel vestito o quella pettinatura ridicola o eccessiva. La paralisi creativa, aleggiava nella stanza, perché ogni persona lì dentro era sintonizzata sulla frequenza di conferma del proprio status. A molti l'opera sarà anche piaciuta, ma ad altrettanti piaceva di più il fatto di “esserci”, la mari invece conosceva gli “usi di corte” ed era l'infiltrata perfetta, in quanto a me, mi aspettavo che uno degli uscieri, mi sbattesse fuori. Cinque minuti erano il tempo giusto per dover salutare alcuni dei presenti se li avessimo mai conosciuti, scambiarsi convenevoli, e spettegolare dopo il commiato, ma noi eravamo come i servi, alla Scala di Milano mandati lì per disprezzo all'imperatrice d' Austria, dai loro padroni, quindi per risolvere l'empasse la mari ebbe un colpo di genio! Ci baciammo come due amanti furtivi, mettendo fine al caso che e si era creato. “Mi sento sollevata” mi disse la mari “ Perché? risposi, “ vedi, è da quando siamo entrati che immagino voci sussurrare , o quello è suo figlio, o l'ha pagato”.

.”Capisco, mari sai quanto detesti l'ambiguità!” Dopo che la soprano si era lanciata dalla torre , io e la mari concludemmo che essere in sovrappeso può esserti fatale, ma in certi momenti è peggio non averci una torre. Convenimmo con Valentino che una festa andasse lasciata quando c'era ancora gente, e invece di brindare con una coppa di champagne al mio futuro milanese io e la mari, ci mangiammo una bella fetta di farinata.

To be continued.....





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